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Era una pazzia, lo sapevo. Avventurarmi nella bufera in cerca di Agla era come sperare di trovare un fiore particolare in una giungla sterminata… con gli occhi bendati. Eppure dovevo farlo. Dovevo trovarla prima che un lampo la fulminasse… Strano, io invece non avevo paura di essere colpito da un fulmine.

Il mio cavallo era ombroso, spaventato, e per poco non si imbizzarrì quando un lampo crepitò più vicino. I tuoni però non lo infastidivano; probabilmente era stato addestrato a sopportare il frastuono delle battaglie. La pioggia divenne torrenziale, e la visuale era praticamente nulla. Strizzando le palpebre nell’oscurità, ingobbito per ripararmi dal vento gelido, spronai l’animale a proseguire, addentrandomi sempre più nella notte e nella tempesta.

Una parte della mia mente, intanto, stava vagliando informazioni, assimilando dati. Al di sopra di tutto, la priorità della mia missione: bloccare Ahriman. Già, ma come, se non sapevo cosa stesse cercando di fare?

Provai a mettere insieme tutti i pezzi del, mosaico. Ahriman mi era sembrato davvero sorpreso quando l’avevo accusato di voler assassinare Ogotai. Eppure sapevo che dava al Gran Khan una misteriosa pozione quasi ogni notte. Se non era un veleno lento, cosa poteva essere?

Il cavallo rallentò, passò al trotto, poi rallentò ancora di fronte alla cortina di acqua e di vento. Nemmeno il guerriero mongolo più coraggioso si sarebbe azzardato ad affrontare una bufera del genere. Io dovevo farlo. Dovevo.

A cosa mirava Ahriman? Se voleva uccidermi, avrebbe potuto uccidermi subito nel suo tempio. Perché spingermi in quell’inferno? Perché a uccidermi fosse un fulmine, invece che le sue mani? Un po’ stiracchiata come ipotesi.

Per tenermi lontano dalla città? Sì, questo era più logico. Per tenermi lontano da Ogotai. Ma perché, se Ahriman non aveva alcuna intenzione di assassinarlo?

Chiusi gli occhi, più che altro per concentrare al massimo la memoria su quanto avevo letto riguardo l’impero mongolo nel ventesimo secolo. Con una visione mnemonica perfetta, mi si presentarono intere pagine di storia. Potevo leggere le parole come se avessi un libro aperto in mano. Sì, ma non potevo ricordare quello che non avevo letto! Quanta storia avevo studiato nella mia esistenza precedente? Sapevo che i mongoli non avevano mai conquistato l’Europa; Subotai aveva sgominato le forze raccolte da Bela, d’accordo, però non si era mai spinto oltre in territorio europeo. Perché?

La risposta esplose davanti ai miei occhi come uno dei lampi che laceravano l’oscurità. Vidi il brano di un libro letto nel ventesimo secolo:

“Non fu una vittoria in battaglia a salvare l’Europa occidentale dal disastro inevitabile. I suoi eserciti, guidati da sovrani incapaci quali Bela o Luigi il Santo di Francia, non erano in grado di opporsi alle rapide manovre dei mongoli guidati da Subotai. Ma la guerra non si concluse com’era lecito aspettarsi. Un corriere proveniente da Karakorum arrestò la marcia vittoriosa di Subotai, che ripiegò e tornò nel Gobi. Il messaggero portava notizia della morte di Ogotai.”

La morte di Ogotai! Quando il Gran Khan moriva, gli orkhon e i generali tornavano a Karakorum per eleggere un nuovo sovrano. La morte di Gengis Khan aveva arrestato l’espansione dei mongoli per circa un anno. La morte di Ogotai avrebbe bloccato l’invasione mongola dell’Europa… per sempre!

Ahriman non voleva uccidere Ogotai; era a Karakorum per proteggerlo, per tenerlo in vita, per consentire a Subotai di completare la conquista dell’Europa. Perché dopo Subotai sarebbero giunti i mandarini di Ye Liu Chutsai, a portare pace, ordine e le leggi della Yassa ai popoli assoggettati. A portare all’Europa lo stesso immobilismo e ristagno che la loro burocrazia aveva introdotto in Cina e Medio Oriente.

L’Europa sarebbe stata resa omogenea dai mandarini, sotto il braccio armato dei conquistatori mongoli. Gli esuberanti staterelli europei sarebbero stati cancellati, fusi nel ferreo dispotismo dell’est. Le grandi città avrebbero languito, o sarebbero state distrutte. Il Rinascimento non sarebbe mai fiorito. Gli europei non avrebbero mai scoperto la scienza, non avrebbero mai costruito le alte tecnologie necessarie allo sviluppo della democrazia e della libertà. L’America sarebbe stata scoperta da navigatori cinesi, nella migliore delle ipotesi.

Finalmente il piano di Ahriman mi appariva chiaro. Permettendo ai mongoli di conquistare tutta l’Eurasia, Ahriman, avrebbe fatto in modo che il genere umano ristagnasse e si spegnesse lentamente, schiacciato dall’immutabilità della tirannia orientale. Quella che Ye Liu Chutsai considerava la più grande civiltà del mondo era in realtà una trappola in cui l’umanità si sarebbe estinta.

Se fosse riuscito nel suo intento, Ahriman avrebbe alterato il continuum a tal punto da lacerarne la struttura. Il continuum si sarebbe spaccato. Ormazd sarebbe stato rovesciato. L’umanità sarebbe morta. Le forze delle tenebre avrebbero vinto la lunga, eterna lotta.

Tutto questo, a patto che Ogotai vivesse. Era questo l’obiettivo di Ahriman. Era questo che io dovevo impedire. La mia missione non consisteva nell’uccidere Ahriman. Era Ogotai che dovevo uccidere.

Imprecando, urlando nella notte tempestosa, girai il cavallo in direzione della caotica capitale mongola, lasciando Agla sola e indifesa, tornando a Karakorum per uccidere l’uomo che mi era diventato amico.

21

Legai il cavallo sotto il cornicione della casa che i mongoli ci avevano dato come alloggio. Violenti scrosci di pioggia continuavano a spazzare lo spazio perimetrale dell’ordu. I due falò erano spenti. Non si vedeva nessuno in giro. La tenda di Ogotai oscillava sotto le raffiche di vento. Le corde scricchiolavano.

La parte conscia della mia mente mi sollecitava a tornare nella steppa in cerca di Agla. Lei era là fuori che mi cercava, che rischiava la vita per salvare la mia, e io l’avevo abbandonata per compiere una missione omicida.

Ma qualcosa più forte della mia volontà mi stava guidando, adesso. Come un guerriero che avanza insensibile in battaglia anche se ogni fibra del suo essere vuole fuggire verso la salvezza, mi incamminai verso la tenda dove Ogotai dormiva, intirizzito dal freddo, piegato contro il vento e la pioggia.

Ero un bravo assassino. Invece di puntare direttamente sulla tenda privata, attraversai il corridoio di terreno attorno all’ordu sul lato opposto della tenda principale del Gran Khan, lontano dalle ceneri dei falò, per evitare che qualche guardia mi notasse. Entrai nella tenda principale. Era buia, deserta. Il tavolo d’argento era stato sgomberato. I cuscini sui quali i mongoli si sdraiavano per essere serviti dagli schiavi erano stati tolti.

Attraversai svelto la tenda, strisciai nell’ombra lungo gli arazzi di seta che nascondevano l’ingresso che collegava la tenda principale all’altra. L’entrata era sorvegliata da due guerrieri, svegli e armati. Scivolai dietro i drappi e cercai di riflettere.

Sveglio o addormentato che fosse, nella tenda di Ogotai c’erano senza dubbio quelle sei guardie sordomute. Per ucciderlo dovevo fare irruzione all’interno e colpirlo prima che le guardie avessero il tempo di reagire. Quello che sarebbe successo dopo, non aveva importanza, mi dissi più volte, fino a sentirmi pronto. Però una parte della mente mi supplicava di fuggire, di trovare Agla e allontanarmi da lì, di cercare un posto dove la morte e l’omicidio fossero sconosciuti, un posto dove poter vivere insieme per sempre, in pace, amandoci.

Già, mentre i mongoli conquistavano il resto del mondo e spegnevano inesorabili le scintille della conoscenza e del progresso, ribatté una voce nel mio intimo… Mentre l’umanità sprofondava nella decadenza, nel dispotismo, nella disperazione. Mentre il tenebroso Ahriman vinceva la sua battaglia eonica e assisteva all’estinzione del genere umano.

Mi scossi, come un cane bagnato. — Agla — mormorai a voce bassa, così bassa che non sentii le mie parole — forse ci incontreremo ancora, chissà quando, non so dove.