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Dal mio nascondiglio sentii che Dal, il capo diceva con tono grave: — Solo Orion può averlo fatto.

— Sarà tutta per noi questa roba? — chiese Ava.

— Siamo la sua gente — rispose Dal. — Questo è il campo del nostro clan da tanto tempo che nemmeno il vecchio Makar può ricordarlo. È un dono di Orion, per noi. È tornato. Non è più arrabbiato con noi.

Lasciai che accendessero il fuoco e dessero inizio al festino, mentre la sera stendeva il suo velo viola sul cielo senza nubi. Avanzai lungo la riva e in un punto dove il ruscello formava un piccolo stagno vidi un bel cervo solitario che si abbeverava.

Prendendo l’arco, mi mossi lentamente verso la bestia. Mi vide, ma era così poco abituato alla presenza di esseri umani che mi lasciò avvicinare, consentendomi di portarmi a tiro. Lo abbattei trapassandogli il collo, poi lo sgozzai rapido col coltello di pietra. Mi rimordeva un po’ la coscienza pensando a un’era successiva in cui gli uomini cacciavano quegli splendidi animali per sport non per esigenze alimentari. Scuotendomi, mi caricai in spalla la preda e tornai verso il campo. Non era un peso indifferente, e camminai lentamente, con cautela nell’oscurità del crepuscolo.

Mentre le prime stelle si accendevano in cielo, entrai nella luce tremolante del campo. Stavano ancora mangiando, ingozzandosi come gente abituata a lunghi periodi di fame, le dita e le facce unte e sporche.

Avanzai in mezzo a loro e scaricai il cervo ai piedi di Dal.

Nessuno pronunciò una sola sillaba. Si sentiva solo lo sfrigolio della carne sul fuoco.

— Sono io — dissi infine. — Orion. Vi porto un altro dono.

Erano vittime della loro stessa propaganda. Avevano gonfiato tanto le storie sul mio conto che adesso sembravano terrorizzati dalla mia presenza. Erano immobili. Le loro facce erano contratte per la paura e lo stupore. Probabilmente si aspettavano che li colpissi con un fulmine, o qualcosa di altrettanto drastico, immagino.

Ava fu la prima a riaversi. Alzandosi, tese le braccia verso di me.

— Ti ringraziamo, potente Orion. Cosa possiamo fare per dimostrarti la nostra gratitudine?

Era sudicia, macchiata di sangue e di carne bruciacchiata. Ma nel riflesso del fuoco vidi i calmi occhi grigi che avevo conosciuto e amato in altre epoche, e dovetti compiere uno sforzo di volontà per non stringerla tra le braccia.

Respirai a fondo, e cercai di parlare col tono cupo e solenne del semidio che vedevano in me.

— Sono stanco della solitudine — dissi. — Voglio stare con voi per un po’.

Dal clan si levò un mormorio. Dal si alzò, mettendosi alle spalle di Ava.

— Vi insegnerò a cacciare come caccio io. Vi insegnerò a prendere tutta la selvaggina che vorrete.

Rimasero immobili, Dal e Ava di fronte a me, gli altri seduti in semicerchio attorno al fuoco. Le loro facce sporche esprimevano sentimenti contrastanti. Io li spaventavo a morte. Però, riuscire ad ammazzare tanti animali! Era un’offerta allettante. Dovevano dar retta alla paura o alle loro pance?

Ava si avvicinò e studiò il mio viso nei riflessi guizzanti della fiamma. Probabilmente anch’io non ero un esempio di pulizia e ordine.

— Sei un uomo o uno spirito? — mi chiese baldanzosa.

Era bella come la ricordavo. Alta e snella, quasi della mia statura, più alta della maggior parte degli uomini del clan. Ma il suo corpo agile e robusto era innegabilmente femminile; le pelli che portava erano piuttosto rivelatrici. Le braccia e le gambe nude erano sporche e piene di graffi. Aveva la crosta di una ferita su un ginocchio. I suoi capelli arruffati erano rossi come quelli degli altri, invece della massa scura che ricordavo. Però era la stessa donna… splendida, intelligente, coraggiosa… La donna che amavo.

Sorrisi. — Sono un uomo — risposi. — Sono semplicemente un uomo.

Dal si fece avanti per esaminarmi più da vicino. Era disarmato, ma il suo era chiaramente un atteggiamento protettivo nei riguardi di Ava.

— Sembri un uomo — disse. — Eppure…

Sono un uomo.

— Ma fai cose che nessun uomo può fare.

— Vi insegnerò come fare queste cose.

Ava domandò: — In che clan sei nato, se sei un uomo?

— Il mio clan vive lontano da qui. Ho viaggiato a lungo.

— Quelli del tuo clan sanno cacciare tutti come te?

— Alcuni, sì — risposi. — Alcuni cacciano meglio di me.

Per la prima volta, un sorriso le incurvò le labbra. — Devono essere molto grassi, allora.

Risi. — Alcuni, lo sono.

— Perché sei solo? — insisté Dal, ancora sospettoso. — Perché sei venuto da noi?

— Il mio clan è lontano. Sono in viaggio da molto tempo. Sono stato mandato qui ad aiutarvi, insegnarvi a cacciare, proteggervi dai vostri nemici. Sono solo da tanti giorni che nessuno di voi riuscirebbe a contarli, e sono stanco della solitudine. Voi siete il clan che cercavo. Siete la gente con cui voglio stare.

Mentre parlavo, mi resi conto della verità contenuta nelle mie parole. Ero solo da una vita, se si escludevano quei pochi mesi insieme ad Agla.

— Non è bene che un uomo sia solo — disse Ava, la voce sorprendentemente ricca di colore e comprensione. — Anche il cacciatore più forte ha bisogno di un clan e di una famiglia.

Da bravi esseri umani di fronte a una decisione difficile, optarono infine per un compromesso. Dal parlò fitto coi due anziani del clan, quindi tutti gli adulti, maschi e femmine. Potevo unirmi a loro, e insegnargli i miei segreti di caccia; però dovevo dormire da solo, lontano dal fuoco. Molti erano ancora convinti che fossi un essere soprannaturale e volevano rischiare il meno possibile.

Accettai la loro decisione. Dovevo. Nessuno sollevò la questione della mia posizione futura, cioè come regolarsi con me una volta apprese tutte le mie tecniche di caccia. Quella gente non pensava molto al futuro; vivevano nel presente, come tutti gli animali, e intuivano solo in modo vago che il domani avrebbe potuto essere diverso da ieri.

Comunque, per il momento, la loro decisione mi andava bene. Adesso potevo eseguire gli ordini di Ormazd. E stare accanto ad Ava.

25

Dal e Ava mi erano sempre accanto mentre il clan proseguiva la sua migrazione attraverso il territorio verdeggiante.

Dal era un buon capo, che prendeva seriamente il suo ruolo. Alto quasi quanto me, anche se molto più magro, era dotato di una discreta muscolatura e di occhi acuti, vigili. Mi osservava attentamente per tutta la giornata. Non temeva che potessi essere uno spirito, una minaccia soprannaturale per il clan. No, le sue erano preoccupazioni pratiche, terra terra. Temeva che potessi essere la spia di un altro clan, un infiltrato che voleva attirarli in un’imboscata.

Non me ne resi conto subito. Ma dopo qualche giorno di stretta e continua sorveglianza, cominciai a farmi un’idea della situazione. Di notte, quando gli anziani raccontavano le loro storie accanto al fuoco, sentii narrare tanti fatti di sangue e battaglie da capire che anche in quella specie di paradiso, dove i clan erano sparsi su un territorio immenso e i contatti tra loro erano rari, la guerra e l’omicidio erano una cosa abbastanza comune, e glorificata.

A quanto pareva, incontravano gli altri clan durante quelle migrazioni, e quasi sempre finivano con lo scontrarsi per il controllo dei territori di caccia. Anche se a me sembrava che lì la selvaggina abbondasse, per quei cacciatori nomadi i diritti territoriali erano di importanza vitale per la sopravvivenza. Occorrevano parecchi chilometri quadrati di terra per fornire selvaggina sufficiente al sostentamento di un piccolo clan, perché quella gente primitiva viveva quasi esclusivamente di caccia. E la caccia non era mai abbastanza buona da garantire loro un’alimentazione decente.