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Gli uomini si bloccarono. Tutti, tranne Dal, che si gettò addosso ad Ahriman brandendo solo il suo inutile pugnale. Ahriman lo stese con un pugno, si tirò in piedi e si allontanò barcollando in direzione del dirupo.

Per parecchi istanti, nessuno si mosse. Mi drizzai sulle ginocchia, indolenzito. Dal si alzò a sedere lentamente, scuotendo la testa, intontito, la mascella segnata da un livido.

Gli altri sembravano paralizzati, spostando continuamente lo sguardo da noi due al corpo del compagno morto. Ahriman era scomparso tra le rocce, dove la luce dell’alba non era ancora arrivata.

— Chi era? — chiese infine Dal. Si passò due dita sulla faccia gonfia e sussultò.

— Un nemico — risposi.

Gli altri si avvicinarono, mettendosi a vociare contemporaneamente. Ava si fece largo a spintoni e si inginocchiò accanto a Dal. Lo esaminò e concluse che non c’erano ossa rotte. Quindi si rivolse a me.

— Sto bene — dissi, alzandomi. La gola mi bruciava, però, e avevo la voce rauca.

Gli altri mi fissavano.

— La tua gola porta i segni del nemico — disse Ava, esaminandomi. — Si vedono le impronte di tutte le dita. — Mi accostò le mani alla gola. — Ha delle mani enormi!

— Chi è? — volle sapere Dal.

— Il nemico di tutti gli uomini — risposi. — Il nemico di tutti gli esseri umani. È il Tenebroso, un nemico che desidera solo ucciderci tutti.

Avevano visto Ahriman, ma io lo descrissi il più accuratamente possibile. Non volevo che cominciassero a considerarlo uno spirito o un demone dai poteri sovrumani. Li ringraziai per averlo messo in fuga, per averlo ferito, salvandomi dalla sua stretta strangolatrice.

— Possiamo seguire le sue tracce e arrivare alla sua tana — disse Ava, indicando le macchie di sangue sull’erba.

Gli uomini mostrarono una netta avversione all’idea. Anche Dal, così temerario pochi attimi prima.

— No — dissi. — Ormai si sarà nascosto nelle caverne. Non riusciremmo a trovarlo, e potrebbe anche avere preparato delle trappole per noi. Meglio restare qui alla luce del sole. Non tornerà.

— “Non subito, almeno”, aggiunsi tra me.

Gli uomini si raccolsero attorno al compagno caduto e lo sollevarono delicatamente per riportarlo alla sua capanna. La mole e la ferocia di Ahriman crescevano sempre più, man mano che chiacchieravano tra loro, e parimenti gli uomini ingigantivano anche la propria forza e il proprio coraggio.

Dal indugiò accanto a me, affiancato da Ava.

— Mi hai salvato la vita. Grazie — gli dissi.

Lui scosse la testa, preoccupato. — Sei uno di noi. Ho fatto quello che andava fatto.

— Hai fatto più di tutti gli altri.

— Sono il loro capo.

Mi venne in mente un aforisma: Da coloro ai quali si dà molto, ci si aspetta molto. Dal era un vero capo, e un buon capo. Eppure sembrava turbato.

— Ahriman non è né uno spirito né un demone — dissi. — È un uomo, come me.

— Aveva un’asta nel fianco e l’ha strappata come se fosse un fastidio da nulla.

— È molto forte.

Dal si toccò il livido sulla mascella. — È vero. Ha infilzato Radon lanciando l’asta mentre era a terra.

— Però è scappato. — Non volevo che Dal temesse Ahriman più del necessario.

Mi fissò negli occhi. — Non mi avevi detto di essere inseguito da un nemico.

— Non sapevo che lui fosse qui — risposi, mentendo per metà. — Credevo di averlo lasciato molto lontano da qui.

Intuendo che stava per iniziare una discussione accesa, Ava intervenne. — Vieni a mangiare con noi. Il sole è già alto sulle colline. Sarà una bella giornata.

Ma adesso Dal mi osservava nuovamente sospettoso, anche se provavo un senso di rispetto e ammirazione per l’uomo che aveva attaccato con notevole coraggio il Tenebroso, salvandomi la vita.

28

I giorni successivi furono abbastanza tranquilli. Tre altri clan arrivarono nella valle, per un totale di centosei persone in più. Grosso modo, due terzi erano adulti, il resto bambini di tutte le età. In quella società neolitica dove la vita media era così corta, gli adolescenti diventavano adulti non appena raggiungevano la maturità sessuale. I dodicenni erano già padri. I quarantenni spesso erano troppo deboli e sdentati per andare a caccia e mangiare, e venivano pietosamente eliminati dai compagni.

— Stiamo qui nella valle finché il grano diventa d’oro — mi disse Ava. — Poi lo raccogliamo e lo portiamo con noi per l’inverno. — Corrugando la fronte, aggiunse: — A meno che non venga la neve prima che il grano maturi.

E in un lampo di intuizione capii perché Ahriman si trovasse lì e a cosa mirasse.

Quello era un altro punto cruciale della storia umana. Quei clan di cacciatori sporchi e laceri stavano per compiere la transizione dalla caccia all’agricoltura. Sarebbero stati gli artefici della Rivoluzione del Neolitico, il passaggio che avrebbe trasformato gli uomini da nomadi selvaggi a costruttori civili di città. Ahriman voleva impedire la trasformazione, soffocare questa fase di sviluppo.

Se fosse riuscito a impedire a quei cacciatori primitivi di progredire, alla fine avrebbe potuto spazzar via tutte le tribù umane sparse nel paesaggio del Neolitico. Ne ero certo. Avrebbe annientato il genere umano, un clan dopo l’altro, una tribù dopo l’altra, fino a cancellare dalla Terra anche l’ultimo uomo. E avrebbe vinto.

Però se l’umanità fosse passata all’agricoltura, se fosse avvenuta l’esplosione demografica da cui sarebbero sorte le civiltà dell’Egitto, della Mesopotamia, della valle dell’Indo e della Cina, nemmeno Ahriman con tutti i suoi poteri sarebbe stato in grado di annientare il genere umano. L’umanità avrebbe imboccato la strada che l’avrebbe condotta al dominio dell’intero pianeta; al posto di poche tribù di cacciatori affamati ci sarebbero stati gruppi prosperi di agricoltori e una popolazione in costante crescita.

L’agricoltura sarebbe stata inventata lì, nella valle dove il clan di Dal e i suoi alleati trascorrevano l’estate? Anche se Ahriman avesse impedito che l’invenzione avvenisse proprio lì, stentavo a credere che un fenomeno uguale non dovesse verificarsi altrove, in qualche altro clan, in un’altra zona dove esistessero condizioni favorevoli. Poi mi resi conto che, con la sua padronanza del tempo, Ahriman avrebbe potuto setacciare tutti i posti in cui l’invenzione era imminente e intervenire in modo repressivo. Mi sentii l’animo oppresso da un peso enorme al pensiero che Ormazd mi avrebbe inviato in tutti quei posti, in chissà quante epoche, perché continuassi la battaglia eterna contro Ahriman.

Era una prospettiva insopportabile. O quasi. Mi consolai ragionando… Se Ahriman era lì, quello doveva essere il posto dove era nata l’idea dell’agricoltura. Se lo avessi bloccato lì, non ci sarebbe stato bisogno di affrontarlo altrove… in quell’era. Era ovvio che dovevamo esserci incontrati almeno un’altra volta in un’era precedente. Forse durante La Guerra di cui parlava.

Il nuovo atteggiamento di diffidenza di Dal si diffuse e contagiò il resto del clan, e gli altri clan che ci raggiunsero nella valle si tenevano alla larga da me. Ero considerato un essere in parte divino in parte umano, temuto e rispettato. Tutti sapevano che potevo insegnare cose strabilianti, ma anche se si rivolgevano a me per imparare a costruire archi e frecce e catapulte, anche se impararono a chiudere le bestie in un recinto addossato alle rocce e ad allevarle invece di ucciderle subito, continuavano a escludermi dalla loro vita sociale.

Tutti, eccetto Ava. Trascorreva parecchie ore con me, imparando tutto quello che sapevo sulle stelle, sulla filatura e tessitura della lana delle capre e delle pecore, sulle regole elementari della pulizia e della medicina.