— Che idea assurda.
— Non ti è mai capitato di fare qualcosa solamente perché avevi voglia di farla? Non ti è mai venuta voglia di fare qualcosa che nessun altro ha mai fatto?
— No — rispose Ava, in modo non troppo convincente. Guardò la parete rocciosa e i suoi occhi grigi traboccavano di curiosità. — Facciamo sempre delle cose che sono già state fatte. È il modo migliore, seguire i nostri padri e i padri dei nostri padri.
— Però, un giorno, uno di loro deve aver fatto qualcosa per la prima volta. Deve esserci una prima volta per tutto.
Ava mi squadrò corrucciata. Stavo sfidando le abitudini sicure e ordinate del suo mondo, e lei non sembrava eccessivamente contenta di questo. Poi la sua espressione si addolcì, e mi chiese: — Credi davvero che potremmo arrivare lassù?
— Sì, unendo i nostri sforzi.
Osservò ancora le rocce. Erano ripide, d’accordo, però qualsiasi scalatore dilettante avrebbe saputo affrontarle, ne ero proprio sicuro. E avevo la certezza assoluta che Ormazd mi avesse programmato con energie e doti di gran lunga superiori a quelle di dilettante.
Ava tornò a contemplare i campi di grano che avevamo attraversato, che ondeggiavano dorati nella brezza pomeridiana. D’un tratto mi rivolse un largo sorriso.
— Sì! — esclamò smaniosa. — Anch’io voglio vedere cosa c’è lassù!
Usammo delle liane come corde, mentre i nostri piedi nudi induriti da chilometri e chilometri di marcia fungevano da scarponi. Il dirupo non era affatto l’ostacolo insormontabile che poteva sembrare a prima vista. Fu un’arrampicata di due ore, ma alla fine toccammo la cima, ansanti, sudati, stanchi.
Il panorama che si godeva da lassù compensava senza dubbio lo sforzo fatto.
Ava rimase incantata, un sorriso sulle labbra. A est e a ovest, un susseguirsi di valli e di fiumi che scorrevano verso sud attraverso campi dorati. Sopra di noi, la mole torreggiante dell’Ararat si stagliava nel cielo limpido, col vertice innevato, e un pennacchio di fumo che si levava dal più alto dei suoi due picchi. E più in là, a nord, una distesa candida di ghiaccio accecante, un diamante enorme che feriva gli occhi con la sua intensità.
Quella distesa copriva ancora gran parte dell’Europa, anche se stava ritirandosi lentamente, cedendo a un clima più benevolo.
— Quante cose da vedere! — gridò Ava, — Guarda! Come sembra piccola la nostra valle da quassù!
— È grande il mondo — annuii.
Ava osservò la vallata, e lentamente la sua espressione entusiasta e felice si spense.
— Che c’è, Ava?
Si girò verso di me. — Se vivessimo lontano dagli altri, se trovassimo una valle tutta per noi… solo tu e io, insieme…
Restai allibito. — Cosa stai dicendo?
Nella sua lingua non esistevano le parole per esprimere quello che provava.
— Orion — mormorò con voce tremante — voglio stare con te. Voglio essere la tua donna.
Mi avvicinai e lei mi si gettò tra le braccia. La strinsi forte, sentendo il suo corpo agile e vigoroso contro il mio, e restammo così per un’eternità, abbracciati, scaldati dal sole e dal calore della nostra passione.
— Ma è impossibile — mormorò infine Ava.
— No, è possibile. Questo mondo è così vasto, così vuoto. Possiamo trovare una valle tutta per noi, e viverci…
Mi guardò, e io la baciai. Non sapevo se il bacio fosse già stato inventato da quei primitivi, comunque lei lo accettò con la massima naturalezza.
Però quando le nostre labbra si separarono aveva gli occhi umidi di lacrime.
— Non posso stare con te. Sono la donna di Dal. Non posso lasciarlo.
— Puoi, se vuoi…
— No. Sarebbe una vergogna per lui. Dovrebbe radunare gli uomini del clan e darci la caccia. Dovrebbe ucciderti e riportarmi nel clan.
— Non ci troverebbe mai — replicai. — E anche se ci trovasse, non riuscirebbe mai a uccidermi.
— Allora dovresti ucciderlo tu. Per colpa mia.
— No. Possiamo andare tanto lontano da…
Ava scosse il capo e si staccò adagio da me. — Dal ha bisogno di me. È il capo del clan, ma come potrebbe guidare gli altri se la sua donna dovesse abbandonarlo? Non è sicuro come credi; di notte, quando siamo soli, mi parla delle sue paure e dei suoi dubbi. Ti teme, Orion. Ma è abbastanza coraggioso da vincere la paura perché capisce che tu puoi essere utile al clan. La sua responsabilità verso il clan per lui è più importante della paura che ha di te. La mia responsabilità verso il clan deve venire prima del mio desiderio per te.
— E io? — dissi, sentendo la rabbia crescermi dentro. — Io non conto?
Ava mi fissò negli occhi. — Tu sei forte, più forte di qualsiasi uomo, Orion. Sei stato mandato tra noi per aiutarci, lo so. Portandomi via a Dal, al clan, non aiuteresti nessuno. Distruggeresti Dal, forse anche il clan. E non è per distruggere che sei venuto tra noi.
Avrei potuto ribattere. Avrei potuto sollevarla di peso e portarla via, scappare. Ma alla prima occasione lei sarebbe tornata nel suo clan. E mi avrebbe odiato.
Così, distolsi lo sguardo e fissai il sole, basso all’orizzonte.
— È ora di scendere a valle — borbottai. — Andiamo.
29
Il grano mi arrivava alle spalle, e la gente dei clan era sempre più eccitata e impaziente di mieterlo.
Io me ne stavo in disparte. Avevo insegnato loro tutto quello che sapevo. Adesso, aspettavo anch’io. Non il tempo del raccolto. Aspettavo Ahriman. Sarebbe tornato; intendeva attaccare quella gente, e me, e l’esistenza futura dell’umanità. Era un’attesa logorante.
Setacciai la valle, perlustrai le caverne che si aprivano nella parete rocciosa, in cerca del Tenebroso. Trovai solo serpenti e pipistrelli, umidità gelida e acqua gocciolante. E un orso, che mi avrebbe fracassato il cranio con un’unica zampata se non fossi stato svelto a schivare il colpo e ad allontanarmi dalla sua tana.
Sapevo che Ahriman era lì, nascosto, intento a scegliere il punto in cui sferrare l’attacco. Non mi restava che attendere. Ormazd non mi apparve di nuovo per darmi qualche informazione o un piccolo appoggio morale, dimostrandomi che esisteva ancora e che gli stava a cuore la mia esistenza. No, niente. Ero solo, collocato lì come un congegno a orologeria, in attesa di entrare in azione.
Ava manteneva le distanze da me. Dal invece veniva alla mia capanna quasi ogni giorno, adesso. Dapprima pensai che stesse cercando di trovare il coraggio di provocarmi e battersi con me. Ma dai suoi tentativi stentati di imbastire una conversazione, mi resi conto invece che tentava di trovare il coraggio per affrontare qualcosa di più difficile di una sfida.
— Presto il grano sarà pronto per essere tagliato — disse un pomeriggio. Io ero seduto davanti alla mia capanna, stavo fissando una lama di selce nuova all’impugnatura del coltello. Uno degli anziani del clan era un artista nel fabbricare attrezzi affilati; era per questo che gli consentivano di restare nel clan anche se era troppo vecchio e lento per cacciare.
Dal si accovacciò accanto a me, abbozzando un sorriso forzato. — Se nei prossimi due giorni non piove, potremo tagliare il grano.
— Bene — dissi.
— Sì.
Lo guardai. — Cos’è che ti preoccupa, Dal?
— Che mi preoccupa? Nulla! — Lo disse così bruscamente che era chiaro che era turbato.
— È qualcosa che ho fatto?
— Tu? No, certo che no!
— E allora che cos’è?
Col dito tracciò un ghirigoro nella polvere, come un ragazzino imbarazzato.
— Si tratta di Ava?
Per un attimo Dal mi fissò, poi abbassò di nuovo lo sguardo. — Riguarda lei, e le cose che le hai detto. Pensa che dovremmo restare in questa valle… sempre.