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Non dissi nulla.

— Dice che le hai detto che potremmo chiudere gli animali in un recinto, e stare qui anche quando arriva la neve — proseguì Dal tutto d’un fiato. — Che la prossima primavera possiamo piantare il seme del grano in tutta la valle e far crescere più grano di tutto quello che abbiamo visto finora.

Mi guardava con un’espressione quasi accusatoria.

— Le ho dette anche a te queste cose — dissi. — Le ho dette a tutti e due.

Dal scosse la testa. — Ma lei ci crede davvero!

— Tu no, invece.

— Non so cosa credere! — sbottò Dal confuso. — Viviamo bene qui, è vero. Potremmo andare nelle caverne quando arriva la neve. Purché non ci manchi il fuoco possiamo stare nelle caverne e tenerle calde e asciutte.

— È vero.

— Ma i nostri padri non l’hanno mai fatto. Perché dovremmo smettere di vivere come hanno sempre vissuto i nostri padri?

— I vostri padri non hanno vissuto sempre così — dissi. — Molto tempo fa i vostri antenati vivevano molto lontano da qui, in una terra dove c’era sempre caldo e loro potevano raccogliere i frutti degli alberi e vivere comodi e felici per tutto l’anno.

— Ah, e perché hanno lasciato un simile paradiso, allora? — ribatté Dal.

— Sono stati costretti ad andarsene da un cambiamento del tempo — spiegai. — Gli alberi rinsecchivano. La terra cambiava. Hanno dovuto spostarsi altrove. Così hanno cominciato a girare, come voi, seguendo i branchi di animali.

— Ma ogni anno i branchi sono sempre più piccoli — intervenne Dal, la mente concentrata sul presente, accantonando vecchie leggende alle quali non credeva poi tanto. — Ogni anno dobbiamo fare viaggi sempre più lunghi, e è sempre più difficile cacciare.

Gli indicai i campi. — Però il grano cresce bene. E qui ci sono abbastanza ammali da sfamare tutti i clan riuniti, basta che li teniate nel recinto e lasciate che si moltiplichino. Vi daranno tutta la carne e il latte di cui avete bisogno; dovete solo imparare a curarli.

Dal era estremamente perplesso. Per lui si trattava di un enigma gigantesco.

— Il grano va bene — ammise lentamente. — Dal grano ricaviamo cibo… e una bevanda che ti fa sentire come se stessi volando.

Pane e birra, i due prodotti base dell’agricoltura. Probabilmente Dal era attratto soprattutto dalla birra, pensai. — Allora perché non rimanete qui, dove il grano cresce rigoglioso? Potete tenerlo nelle caverne dopo averlo raccolto. Se farete crescere abbastanza grano, poi, potrete anche darlo da mangiare in parte agli animali nel recinto.

Sempre più cupo, Dal si chiese ad alta voce: — Ma cosa penserebbero gli spiriti dei nostri padri se smettessimo di seguire le piste della selvaggina? Come si sentirebbero se abbandonassimo i loro insegnamenti?

Mi strinsi nelle spalle. — Probabilmente, saranno contenti che abbiate trovato un sistema di vita migliore.

— Gli anziani dicono che il grano non crescerà se rimarremo qui tutto l’anno.

— Perché non dovrebbe crescere?

— Il suo spirito si spegnerebbe se guardassimo i campi di continuo.

Che gli anziani stessero brancolando verso un vago concetto di inquinamento ambientale? mi chiesi. Ma dissi: — Il grano cresce, e basta, così come il sole brilla e la pioggia cade dal cielo. È una cosa naturale, e avverrà sia che siate qui a guardare sia che non ci siate.

— La caccia è una cosa buona — borbottò Dal. — La caccia è la nostra vita.

“E io distruggerò questo sistema di vita e vi trasformerò in contadini,” riflettei. Mi rendevo conto che l’istinto di Dal lo esortava a respingere quelle strane idee che gli avevo messo in testa. Gli esseri umani erano cacciatori da migliaia di generazioni. Le loro menti e i loro corpi erano modellati per la caccia; le loro società si imperniavano sulla caccia. Adesso io gli stavo dicendo che potevano vivere meglio rinunciando alla caccia e passando all’agricoltura e all’allevamento. Era vero; l’agricoltura sarebbe stata il primo passo verso il dominio completo del pianeta da parte dell’umanità. Ma avrebbero dovuto volgere le spalle alla vita naturale che conducevano adesso; avrebbero dovuto rinunciare alla loro libertà, alla democrazia primitiva in cui ogni membro del clan contava quanto gli altri.

Per un attimo mi chiesi se li stessi veramente aiutando. Poi capii che non si trattava di una scelta tra modi di vita diversi; per quella gente si trattava di scegliere tra l’agricoltura o l’estinzione. Certo, avrebbero dovuto pagare un prezzo salato per la sopravvivenza, ma se non lo avessero pagato sarebbero morti.

“Rientra anche questo nei piani di Ormazd?” mi domandai. “Il Radioso ha un piano? O gli preme soltanto salvarsi dal Tenebroso, costi quel che costi?” Di fronte all’espressione dubbiosa e concentrata di Dal, fui tentato di dirgli di lasciare perdere tutto quanto e continuare a vivere come aveva sempre fatto. Poi pensai al ragazzo morto per una banale infezione. Pensai a com’era magra e lacera quella gente quando vagava in cerca di selvaggina tirando avanti a stento. Ricordai che i loro anziani avevano un’età che nei secoli a venire sarebbe stata considerata ancora giovanile. Mi resi conto che il clan viveva costantemente rasentando l’estinzione. Ahriman non avrebbe faticato a spazzar via il genere umano.

— È vero, la caccia è sempre stata il vostro sistema di vita — dissi a Dal. — Un buon sistema di vita per te e il clan. Ma non è l’unico sistema di vita. Non è il migliore.

Non sembrava per niente convinto, ed era tormentato dall’incertezza. Dal era un uomo onesto e schietto. Non sapeva cosa credere, ed era troppo onesto per prendere una decisione prima di essere convinto fino in fondo.

— Ava vuole restare — borbottò — ma gli anziani dicono che non dobbiamo farlo.

Gli misi una mano sulla spalla.

— Parla al clan, a tutta la gente che è venuta nella valle. Digli quello che ti ho detto. Se vuoi, gli parlerò anch’io e gli spiegherò la crescita del grano. Gli spiriti dei vostri padri non si arrabbieranno con voi; saranno felici che abbiate trovato un sistema di vita migliore.

Dal sorrise esitante. — Credi davvero che saranno felici?

— Sì, ne sono sicuro.

Dal si alzò, flettendo le gambe per sgranchire i muscoli, e annuì.

— Parlerò ai clan. Gli dirò quello che mi hai detto.

Si sentiva risollevato. Non avrebbe dovuto decidere. Avrebbe messo la decisione ai voti. Si era tolto di dosso un gran peso. O almeno, lo pensava.

Anche in quella semplice società neolitica, con meno di un centinaio di adulti, ci vollero tre giorni prima che Dal riuscisse a radunare tutti. Era affascinante vedere il funzionamento di una burocrazia primitiva. Ogni clan doveva discutere l’idea di quella riunione tra i suoi membri, e gli anziani esaminavano in modo mostruosamente dettagliato lo svolgimento delle riunioni di clan del passato, la posizione in cui doveva sedere il proprio clan rispetto agli altri, chi doveva occuparsi del fuoco, chi doveva parlare e in che ordine. Per quegli uomini rozzi, una riunione di clan era un evento eccezionale, un divertimento, oltre che un momento serio in cui prendere delle decisioni importanti. Tutti assaporavano i particolari organizzativi e il protocollo, eccitati perché finalmente avevano qualcosa di diverso da fare.

Infine i clan si radunarono attorno a un grande falò vicino alle capanne del Clan della Capra. Nelle prime ore della notte gli anziani raccontarono le loro storie più importanti, rievocando la storia e l’eminenza dei rispettivi clan con leggende cantilenate che tutti sapevano a memoria. Eppure tutti i partecipanti ascoltarono quei racconti di mostri ed eroi, di dei e di fanciulle, coraggio e astuzia, divertendosi apparentemente moltissimo… come una famiglia del ventesimo secolo che passasse una sera in casa davanti al televisore.

Finalmente, Dal presentò la proposta all’assemblea. Ormai l’oscurità era fitta, era notte fonda. Nonostante il falò, in cielo si vedevano le stelle che annunciavano l’autunno: la mia costellazione omonima stava sorgendo sopra l’orizzonte frastagliato, fissandomi. Era diversa dai miei ricordi di altre ere, facilmente riconoscibile, ma un po’ storta. E c’erano quattro stelle nella Cintura, invece che tre.