Dal non era un grande oratore, ma illustrò con semplicità e chiarezza l’idea di restare nella valle anche durante l’invero. Si mostrò un po’ perplesso, comunque rese bene l’idea che avrebbero potuto chiudere gli animali in un recinto e ucciderli con comodo invece di doverli inseguire, che avrebbero potuto vivere del grano che cresceva nella valle, anzi farne crescere dell’altro.
Tutti ascoltarono senza interromperlo, anche se molti anziani scossero il capo, facendo oscillare le barbe grigie con sincronismo perfetto.
Per concludere, Dal disse: — E se volete sentire anche le parole di Orion, bene, sarà felice di parlarvi. È un’idea sua, infatti.
Un uomo dell’età di Dal, del Clan del Lupo, balzò in piedi. — Noi non dobbiamo stare in un unico posto! Ogni anno i nostri spiriti-padri preparano questa valle per noi! Come potranno preparare il grano se staremo qui a guardare tutto l’anno? Gli spiriti andranno via e il grano morirà!
Dal si girò verso di me, imbarazzato. Sedevo su un lato del settore del Clan della Capra, all’estremità, e in pratica mi trovavo isolato nello spazio tra i clan. Mi alzai e feci un passo verso il fuoco perché tutti mi vedessero bene, vedessero che ero un uomo, anche se straniero, un uomo e non uno dei mostri dalle cento braccia di cui gli anziani avevano parlato prima.
— Sono Orion — dissi — un nuovo venuto in questa parte del mondo. Mi piace cacciare, come piace a voi. Però so che c’è un sistema migliore per vivere, un sistema che porterà a tutti più comodità, che permetterà a tutti di mangiare bene per tutto l’anno. I bambini saranno grassi e sani anche col freddo e la neve del peggior inverno. Potremo…
Non riuscii a dire altro. Un’esplosione di grida agghiaccianti lacerò la notte, e il fuoco sembrò avvampare ovunque.
Tutti balzarono in piedi scompostamente. Una lancia si conficcò nel terreno accano ai miei piedi. Urla e gemiti si levavano da ogni parte mentre uomini e donne stramazzavano, i corpi trapassati da aste. Il falò sibilava, per il sangue schizzato sul fuoco. La gente dei clan corse verso le capanne, terrorizzata.
Ma non Dal. — Stanno bruciando il grano! — ruggì. — Prendete le armi!
Attraverso le lingue di fiamma vidi degli uomini nudi dipinti di colori spaventosi che si precipitavano in direzione delle capanne. Alcuni reggevano delle torce, altri delle lance.
— Demoni! — strillò Ava. E in effetti erano spaventosi, non sembravano esseri umani, con quei colori addosso, coi riflessi del fuoco sui loro corpi luccicanti.
Dal aveva già estratto un’asta dal corpo di un compagno caduto e stava correndo verso un guerriero nemico. Ava lo seguì, raccattò un’asta da terra e gli si affiancò. Un’altra lancia mi sfiorò la testa. Tre guerrieri penetrarono in una capanna, e poco dopo dall’interno giunsero grida di dolore.
Accadde tutto nel giro di pochi secondi. Mi precipitai verso la mia capanna, atterrai due guerrieri che cercavano di bloccarmi, e presi l’arco e una manciata di frecce. Fuori le urla e i gemiti continuavano, e la voce di Dal risuonava chiara e autoritaria nella confusione dello scontro.
Mentre mi chinavo e uscivo, un aggressore dipinto mi balzò addosso puntandomi l’asta al petto. Lo schivai e lo atterrai con un colpo micidiale al collo. Scavalcai il cadavere e avanzai nel furore infuocato della mischia, i riflessi in funzione a pieno regime. Provavo un’euforia selvaggia: l’attesa era finita, la battaglia aveva avuto inizio.
Incoccai una freccia e trapassai il cranio a un guerriero. Dal e Ava erano sulla mia destra, intenti a respingere quattro assalitori armati ai aste. Ne misi fuori combattimento uno, mentre Dal ne sbudellava un altro. Ava si inginocchiò di fronte all’attacco di un guerriero e lo infilzò dal basso. L’uomo le cadde addosso agonizzante, ma lei si divincolò subito, gli prese la lancia e tornò a combattere. Nel frattempo io avevo centrato il quarto invasore con una freccia nel collo.
Nei bagliori del grano che brudava, vidi molti uomini dei clan esanimi a terra. Ma molti di noi erano in piedi, e si battevano. Adesso gli aggressori stavano arretrando, scagliandoci le loro torce per rallentare l’inseguimento.
Una furia cieca mi spinse a stargli dietro. Mugghiando come un ossesso, gli scaricai addosso tutte le frecce che mi rimanevano, poi raccattai l’asta di una vittima e li incalzai, sfogando la rabbia accumulata. Abbattei il primo che cercò di contrastarmi calandogli l’asta sul cranio come se fosse una mazza. Un’altro mi si parò di lato, e gli conficcai la punta dell’arma nel ventre. Urlò, mentre estraevo l’asta e colpivo in faccia un terzo guerriero.
Nel giro di pochi secondi, la mia lancia grondava di sangue da cima a fondo, mi guizzava viscida tra le dita mentre massacravo tutti quelli che mi capitavano a tiro. I guerrieri superstiti fuggirono, gli occhi sbarrati di paura, ma io continuai a inseguirli, uccidendo, uccidendo, colpendoli inesorabile. Dietro di me, le grida di Dal e degli altri si facevano sempre più deboli e lontane.
Seguii il nemico in ritirata verso la parete rocciosa costellata di caverne. Un guerriero inciampò e cadde di fronte a me; gli affondai la lancia in corpo e sentii che la punta penetrava nel terreno. Il suo ultimo respiro fu un rantolo raccapricciante. Con un violento strappo, liberai l’asta e ripresi a dare la caccia agli altri.
Gli invasori fuggivano in tutte le direzioni, abbandonando le armi, cercando di sottrarsi alla mia furia omicida. Rallentai e mi voltai. In lontananza, Dal e i suoi stavano occupandosi degli incendi nei campi di grano. Ava, bagnata di sangue nemico, agitava trionfante le braccia, sollecitandomi a tornare indietro.
Ma io continuai ad avanzare verso quelle caverne, perché sapevo che là avrei trovato il tenebroso Ahriman. Era stato lui a organizzare quell’incursione, ne ero sicurissimo. Era nascosto là, e io dovevo trovarlo, dopo avere assaggiato il sangue dei suoi sicari. Come un automa impazzito, seguivo la pista che mi avrebbe portato fino a lui, perché morivo dalla voglia di aggiungere anche il suo sangue a quello che già macchiava la mia lancia.
C’era buio pesto alla base del dirupo; e nemmeno il chiarore dei campi in fiamme diradava almeno un po’ l’oscurità. Ma nelle tenebre silenziose, dove anche gli insetti e gli animali notturni se ne stavano immobili spaventati dal clamore della lotta, percepii dei respiri e un frusciare di piedi nudi sul terreno sassoso.
Erano in tre, sulla sinistra, pronti ad attaccarmi… e ce n’erano altri due a destra, pronti ad aggirarmi e a far scattare la trappola.
Proseguii, come se fossi ignaro della loro presenza. Ma nel preciso istante in cui scattarono verso di me, mi girai, li colpii alle gambe usando l’asta come una falce e li atterrai tutti e tre. Mentre cadevano rovinosamente, impugnai nella destra la lancia e la scagliai nel petto del primo dei due nemici che tentavano di aggirarmi. Il tud dell’asta che lo trapassava fu più forte del gemito strozzato che esalò mentre moriva. Uccisi i tre uomini a terra, in fretta, con le mani, mentre l’unico superstite fuggiva.
Raccolsi le loro tre aste e mi diressi verso la caverna più vicina, guidato dalla certezza interiore che lì avrei trovato Ahriman.
Nella caverna regnava un’oscurità impenetrabile, ma io avanzai deciso nelle sue fauci, trasportato da una rabbia non ancora placata.
Fu il ruggito dell’orso a salvarmi la vita. Se la bestia fosse stata animata dai miei stessi istinti omicidi, avrebbe atteso che le finissi addosso e mi avrebbe stritolato. Invece era solo un animale che difendeva la propria tana; non possedeva l’aggressiva ferocia degli esseri umani. Ruggì, prima di artigliarmi. Mi lanciai in avanti verso il ruggito, stringendo le tre aste. Fui fortunato. Lo centrai al cuore o ai polmoni. Una lancia si spezzò, ma le altre due andarono a segno e l’animale morì dopo una breve agonia.