— Sarà facile spingere le tue tribù sanguinarie a massacrarsi a vicenda — continuò Ahriman. — Basta solo portarle su rotte di collisione, farle incontrare inaspettatamente. I vostri istinti selvaggi provvederanno al resto.
— Non sempre i clan combattono quando si incontrano — replicai. — Qui nella valle lavorano insieme…
— Solo perché si conoscono, e il cibo qui abbonda. Ma sono talmente sciocchi, irresponsabili, sventati… Il numero degli animali da allevare è già molto ridotto, e hanno già provocato l’estinzione di alcune specie. Il cibo diventerà più scarso per loro, te lo garantisco.
— Se non passeranno all’agricoltura — mormorai.
— Non lo faranno. E quando una di queste bande nomadi di cacciatori si imbatterà in un gruppo di stranieri, ecco, si annienteranno reciprocamente.
Scossi la testa ostinato, rifiutandomi di credergli. — Ci sono troppe tribù umane. Non puoi distruggerle tutte. Sono disseminate in tutto il mondo…
— No. I ghiacciai coprono gran parte dell’emisfero settentrionale. E anche se non fosse così, che differenza ci sarebbe per me? Ho tutto il tempo di questo mondo per eliminare le tue tribù di selvaggi. Pensaci! Secoli, millenni, eoni! Una lunga, deliziosa festa di morte.
I suoi occhi di brace sfavillarono al pensiero. Io ero immobile, silenzioso, calcolando quante possibilità avessi di tuffarmi attraverso la scrivania e serrargli la gola prima che potesse fermarmi.
— E alla fine — proseguì inesorabile Ahriman, un’espressione quasi felice sul volto — quando i tuoi primitivi sanguinari avranno terminato di massacrarsi, il continuum subirà una scossa così violenta che la Terra, il sole, le stelle e le galassie crolleranno, imploderanno. Un buco nero temporale. La fine di tutto, finalmente.
Mi scagliai verso la gola oscena di Ahriman. Ma dal ghigno beffardo della sua faccia mi resi conto che aveva fatto un calcolo identico al mio, sistemandosi a una distanza sufficiente che gli consentisse di bloccare in tempo la mia mossa. Le sue mani poderose si serrarono a pugno e scattarono incontro alla mia faccia. Un’esplosione di dolore nel cervello. Persi di nuovo i sensi.
Mi ripresi, sentendo un gocciolio d’acqua. Ero steso su una superficie di pietra, nell’oscurità più assoluta. Passò parecchio tempo prima che la pulsazione nella mia testa cessasse, nonostante i miei sforzi di controllare il sistema nervoso ed escludere il dolore.
Quando cercai di drizzarmi, urtai con la testa contro la roccia. Toccai in alto con le mani e mi accorsi di essere incastrato in una specie di stretto crepaccio. Sulla destra, una parete di roccia; a sinistra, un bordo, oltre il quale si apriva il vuoto.
Ahriman se n’era andato. Per ultimare il suo piano, o cacciando i clan dalla valle, o uccidendoli tutti. Dovevo liberarmi e impedirgli di vincere.
La vista non serviva; non c’era un filo di luce. Il rumore d’acqua proveniva dal basso. Mi girai adagio sullo stomaco e tastai oltre il bordo allungando il braccio più che potevo. Niente fondo. Cercai un sasso lì attorno, ne trovai uno, e lo lasciai cadere. Mi concentrai, tesi l’udito, aspettai un’eternità ma non sentii nulla. Cercai un sasso più grosso e riprovai. I secondi trascorsero lenti, lentissimi… poi finalmente udii un tonfo lievissimo. C’era dell’acqua laggiù, molto in basso.
Cominciai a strisciare in avanti, ignorando se stessi muovendomi nella giusta direzione. La roccia sembrava salire leggermente, ma non era detto che fossi diretto verso la superficie. Comunque, non mi venne in mente un’idea migliore, e continuai a strisciare, lentamente. Non mi giungeva nessun rumore, se non il mio respiro e lo strusciare del corpo lungo il costone di roccia.
Poi mi accorsi gradualmente che la roccia stava diventando più calda. Pensai alla cella sotterranea in cui Ahriman mi aveva intrappolato la prima volta che ci eravamo incontrati. Ma, no, questa era una caverna naturale, non una bolla di energia distorta. Il calore proveniva da una sorgente naturale. Magma del vulcano, riflettei. Forse stavo scendendo in profondità, invece che verso la luce del giorno.
Mi fermai, ansimando nell’aria umida e scura, e cercai di ragionare. Non conclusi nulla; non disponevo di informazioni sufficienti. Poi provai a mettermi nei panni di Ahriman. Cosa voleva fare?
Distruggere il Clan della Capra, fu la risposta.
Come? mi chiesi. L’attacco era fallito. Adesso quegli uomini non si sarebbero più lasciati sorprendere. Invece di allontanarli dalla valle, l’attacco probabilmente era servito a fargli capire quanto fossero preziosi i campi di grano. Forse a questo punto avevano addirittura deciso di restare nella valle tutto l’anno, per proteggere il grano dai razziatori.
Ma Ahriman non era uno sciocco, mi dissi. Doveva avere previsto tutto quanto.
Dunque, il vero scopo dell’attacco era convincere i clan a rimanere sempre nella valle. Ma questo non aveva senso… a meno che Ahriman non intendesse distruggere i clan e la valle, insieme!
In che modo? Con un terremoto? Ahriman era in grado di controllare le forze tettoniche? Non lo sapevo. Ma la risposta mi arrivò poco dopo, mentre mi trovavo nella mia buia prigione di roccia. Sentii uno sciacquio, uno sciabordio sotto di me. Un’onda stava percorrendo il fiume sotterraneo che scorreva laggiù nell’oscurità.
— Un’alluvione — dissi ad alta voce, mettendomi a pensare a ritmo frenetico… “Calore sotterraneo per fondere il ghiaccio sotterraneo. Il torrente che attraversa la valle si riverserà squarciando il fianco della montagna in diluvio inarrestabile. I clan non riusciranno mai a mettersi in salvo. La valle verrà sommersa, con tutti i suoi abitanti.”
La catastrofe era già in corso. L’acqua rumoreggiava sotto di me, salendo. Sarei stato il primo ad annegare. Ahriman aveva calcolato tutto alla perfezione.
Conoscere la morte e rinascere non incoraggia certo ad affrontare di nuovo la morte. Ormazd controllava il mio destino, lo sapevo, ma più cose imparavo riguardo il Radioso e i suoi poteri, più mi rendevo conto dei suoi limiti. Se ne avesse avuto la forza, avrebbe sistemato Ahriman direttamente, senza ricorrere a un intermediario come me. Era abbastanza potente da strapparmi alla morte e proiettarmi in epoche e posti diversi; lo aveva già fatto un paio di volte. Ma chi mi garantiva che ci sarebbe riuscito di nuovo, o che lo avrebbe fatto di nuovo, o anche che sapesse dov’ero e cosa stavo affrontando?
Mi sentii completamente solo; non avevo molta scelta. O aspettare che l’acqua salisse e mi sommergesse, o tuffarmi e cercare un’uscita che mi portasse all’esterno. Il tempo era di vitale importanza. Se fossi scampato, avrei dovuto raggiungere Dal e Ava quanto prima per avvisarli dell’alluvione.
Presi una decisione, respirai a fondo, e rotolai oltre il bordo piombando giù come uno dei sassi che avevo fasciato cadere. Ebbi tutto il tempo che volevo per avere paura; fu una caduta lunga. Cercai di puntare i piedi verso il basso, il modo migliore di affrontare un tuffo del genere. Mi ritrovai a chiedermi quanto fosse profonda l’acqua; avrei potuto rompermi l’osso del collo prima di annegare.
L’acqua sembrava cemento quando finalmente colpii la superficie, poi sprofondai sempre più giù, velocissimo, in quel liquido nero e gelido, i nervi insensibili per lo shock, senza alcuna percezione sensoriale a parte un gorgoglio doloroso nelle orecchie.
Finalmente riaffiorai, respirai, mi tenni a galla e mi lasciai trasportare dalla corrente, dovunque mi stesse trascinando. Avevo l’impressione che fosse nella direzione opposta rispetto a quella in cui strisciavo poco prima.
Dopo un periodo di tempo che mi parve interminabile, le mie braccia urtarono contro la roccia. Il fiume si infrangeva contro una parete solida, ma dal risucchio capii che proseguiva in un tunnel ancor più in profondità e continuava la sua corsa. Non mi restava che seguire il tunnel. Mi riempii i polmoni d’aria e mi immersi, abbandonandomi alla corrente.