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La gente si scosse, ebbe una reazione frenetica; decine di uomini e donne all’improvviso presero a scalare il dirupo per non morire. Altri scesero dalla sommità, rischiando la vita senza alcuna esitazione per aiutare amici e parenti.

Dal si alzò in piedi, appoggiandosi a un’asta, fissando la marea schiumosa di acqua bollente che distruggeva ogni cosa che incontrava.

L’eruzione del vulcano era iniziata in piena regola, adesso, e la terra tremava tanto forte da far perdere l’appiglio a quelli attaccati alle corde. Cadute, ossa rotte, urla di dolore e di terrore che laceravano l’oscurità mischiandosi al frastuono dell’alluvione e del vulcano.

Aiutai quelli che potevo, correndo tra i caduti per rimetterli in piedi e spingerli di nuovo verso la parete da scalare.

Poi vidi Dal, immobile, che ci osservava, il volto contratto in una maschera ostinata di autocontrollo. Non batteva ciglio, né invocava aiuto. Appoggiato all’impugnatura nodosa della lancia, la gamba ferita tesa rigidamente all’infuori, guardava la sua gente che si arrampicava verso la salvezza. Dietro di lui, le acque rabbiose ribollivano sempre più vicine.

32

Con un urlo, afferrai una delle liane penzolanti e corsi da Dal. Lui alzò un braccio per protestare, ma io lo tenni fermo e gli legai la corda sotto le spalle!

— Stringi la lanciai gridai nel baccano infernale. — Usa la forza delle braccia al posto della gamba ferita.

— Non posso farcela! Salvati, Orion!

— Ce la faremo. Andiamo! Lo trascinai alla base del dirupo e lo spinsi verso l’alto. Chiunque si trovasse all’altro capo della corda, capì le mie intenzioni e cominciò a tirare. Dal usò la lancia come stampella, mentre io mi arrampicavo di fianco a lui. La pioggia rendeva le rocce scivolose, e più di una volta fui sul punto di cadere.

Avevamo scalato sì e no un quarto della parete quando l’ondata si infranse contro la base del dirupo, inondandoci di schizzi roventi e facendo avvitare Dal su se stesso all’estremità della corda. Dal perse la lancia e gemette di dolore. Io bloccai automaticamente i miei recettori del dolore mentre l’acqua mi ustionava le gambe. Afferrando Dal, cominciai a trascinare, a spingere, reggendo anche il suo peso. L’acqua ci sferzava, cercava continuamente di risucchiarci nei suoi gorghi fumanti.

Mi aggrappai con una mano alla corda e con l’altro braccio cinsi le spalle di Dal. Lentamente, centimetro per centimetro, salimmo lungo il dirupo, inseguiti dall’acqua sempre più alta che ci bruciava le gambe.

Tutt’a un tratto sentii la voce di Ava che impartiva ordini urlando, e fummo issati verso l’alto dalla forza concentrata di parecchie mani. Miracolosamente, quella forza ci strappò dalla morsa di quell’inferno liquido, e ci permise di arrivare bagnati, ustionati, esausti, in cima al dirupo.

— Stai bene? — chiese ripetutamente Ava. — Stai bene?

Si stava rivolgendo a Dal. Mi drizzai a sedere, sussultando quando lasciai che i ricettori del dolore delle mie gambe riprendessero la loro normale funzione. Le ustioni erano estese, ma non sembravano gravi. Inginocchiata accanto a Dal, Ava gli stava già spalmando un unguento sugli arti arrossati.

Dal si voltò. — Mi hai salvato, Orion.

— Come tu mi hai salvato, una volta.

— Ti devo la vita.

Scuotendo la testa, dissi: — No, tu devi la vita alla tua gente. Guidala bene, Dal. Trova un’altra valle, e stabilitevi là.

— Lo faremo — mi disse Ava. — Vivremo come ci hai detto di vivere, Orion. Cominceremo una nuova vita, in un’altra valle.

Avrei dovuto essere felice, invece dentro di me sentivo solo sofferenza al pensiero che Ava sarebbe andata con Dal, com’era giusto, e che io sarei rimasto di nuovo solo.

Mi girai e nell’oscurità osservai l’inondazione sotto di noi. L’acqua ribolliva e si protendeva verso di me, quasi fosse arrabbiata perché ero scampato e cercasse ancora di ghermirmi.

— Meglio portare i clan più in alto — dissi — finché non tornerà un po’ di calma.

— Sulla montagna — annuì Dal.

— Ma trema, brucia — disse Ava.

— Non ci succederà nulla — disse Dal, di nuovo sicuro di sé. — E poi troveremo una nuova valle per noi.

— Bene — dissi. La pioggia stava calando, però là in basso l’acqua imperversava ancora. — È meglio che vi mettiate subito in cammino.

— E tu? — chiese Ava.

— Io rimango qui. Non avete più bisogno di me.

— Ma…

— Andate — ordinai.

Con riluttanza partirono. Fecero una barella per Dal, recitarono una breve preghiera per le vittime, poi si allontanarono per raggiungere un terreno più elevato, molti di loro zoppicando.

Restai seduto, curando le mie gambe con la volontà, aspettando l’inevitabile. Scrutai la valle; l’oscurità era interrotta solo dai rigurgiti di fuoco del vulcano, il vapore dell’acqua saliva fino a me, l’intera valle era stata trasformata in un enorme calderone. Ahriman aveva fatto bene il suo lavoro… non abbastanza, però.

— Credi di aver vinto. — La sua voce aspra sibilò nell’oscurità.

Voltandomi, dissi: — Ho vinto, lo so.

La sua mole poderosa si materializzò sbucando dalle tenebre, sovrastandomi, mentre io sedevo con le gambe stese goffamente in avanti.

— Per parecchio tempo non crescerà più nulla in questa valle — disse Ahriman. — La tua piccola banda di cacciatori superstiziosi avrà talmente paura di tornare qui che…

— Non sarà necessario che ritornino — lo interruppi. — Hanno portato con sé i semi del grano.

I suoi occhi rossi avvamparono.

— Cosa?

— E hanno nella mente il seme di una idea nuova — proseguii. — Hai perso, Ahriman. Quei cacciatori soprayviveranno. Diventeranno contadini e prospereranno.

Ahriman non si scomodò a discutere o a negare la verità di quanto avevo appena detto. Non inveì, non fece esplodere la sua rabbia. Rimase a lungo in silenzio, pensando, calcolando, facendo piani.

— È scacco matto, Ahriman — dissi. — Non puoi più fermarli adesso. Ti sei accanito contro di loro, ma loro hanno resistito.

— Per colpa tua.

— Li ho aiutati, sì.

— Per l’ultima volta, Orion. — Ahriman mi si avvicinò e mi sollevò da terra, stringendomi le costole in una morsa d’acciaio. Mi tenne in alto, e le mie gambe penzolavano inutilmente.

— Per l’ultima volta! — urlò, e mi gettò oltre il bordo del dirupo, giù, verso l’acqua che ribolliva.

Ma in quell’ultimo istante lo abbrancai per il collo e mi aggrappai con quanta forza avevo in corpo. Restammo in bilico per una frazione di secondo, oscillando nell’oscurità, poi piombammo tutti e due di sotto.

Quando sprofondammo nell’acqua, il dolore fu terribile. “Ti abbiamo battuto ancora” esultai in silenzio, mentre l’acqua sibilava e gorgogliava inghiottendomi. “E forse questo è stato l’ultimo scontro, forse questa volta ti ho liquidato definitivamente”.

Fui risucchiato dai gorghi bollenti, che mi straziarono la carne. Lasciai via libera alla sofferenza e alla morte, sperando che quella fosse davvero la fine di tutto.

INTERMEZZO

La dea dagli occhi grigi che si chiamava Anya assunse forma umana e rimase ritta sulla sommità di una scogliera di ghiaccio, il corpo racchiuso da un bozzolo invisibile di energia che la proteggeva dal freddo proibitivo di quel mondo gelato.

Sotto di lei un esercito di umani e di robot lavoravano freneticamente, figure che si muovevano svelte come formiche sulla pianura dura come il ferro, intenti a costruire le fragili torri che s’innalzavano nel cielo color inchiostro.