— Siete sicuri che questa caverna abbia un solo ingresso? — chiesi continuando a spingere.
Ogun annuì. — Siamo rintanati qui dentro da sei giorni. Il comandante ci ha fatto esplorare centimetro per centimetro. Tutti questi cunicoli sono vicoli ciechi, a parte uno che finisce giù nell’acqua. Per poco non ci sono caduto dentro. Uno strapiombo parecchio alto. Da quella direzione non ci arriverà addosso nessuno.
Era assolutamente sicuro di quel che diceva. Ma io riflettei ugualmente sul problema, ricordando l’abilità di Ahriman nell’alterare lo spazio-tempo e la sua predilezione per l’oscurità e gli abissi.
— Forse dovremmo piazzare un sensore, là… non si sa mai — dissi. — Probabilmente hai ragione, ma se trovassero un modo per passare di là, sarebbe meglio essere avvertiti in tempo, non credi?
Avevamo raggiunto la fila di batterie verdi di Kedar. Ogun si drizzò con una smorfia e lasciò che Kedar prendesse i cavi massicci del cannone e li collegasse a due cilindri verdi.
— Io sono l’armiere, non il comandante. Io non devo pensare. Mi occupo delle armi ed eseguo gli ordini, e basta. — Ogun si stiracchiò, tendendo le braccia muscolose verso l’alto. — E poi, se quelli riescono a passare di là, siamo fregati, anche se c’è un allarme che ci avverte.
Kedar gli lanciò un’occhiata interrogativa.
— Vuole piazzare un sensore vicino al pozzo — spiegò Ogun. — Per precauzione.
Il tecnico dell’energia mi guardò, e per un attimo ebbi l’impressione di trovarmi di fronte a Dal, un Dal senza barba.
— Lo chiederò al comandante — disse. — Potrebbe essere una buona idea.
— Una buona idea — borbottò tra sé Ogun.
In tre, spingemmo il cannone all’imboccatura della caverna. I soldati avevano lasciato un’area sgombra per l’arma, e cominciarono a sistemare pezzi di roccia davanti al cannone formando un muretto protettivo. Li aiutai, mentre Ogun e Kedar controllavano il pezzo.
Mi ritrovai a spostare sassi con Marek. Eravamo un duo efficiente, anche se avevo la sensazione di essere quello che si sobbarcava la mole maggiore di lavoro. Mentre sgobbavamo, Marek sogghignò, piegando la testa in direzione di Ogun e Kedar.
— Ufficiali — mormorò.
Per poco non scoppiai a ridere. La stessa storia in tutti gli eserciti, in tutte le organizzazioni. Alcuni lavoravano coi muscoli; altri, col cervello.
E c’era sempre uno che dirigeva. Nel nostro caso, Adena.
— Il vento sta calando — ci avvisò. Era fuori, a qualche metro dall’ingresso, chiusa nella corazza e nel casco, ma con la visiera alzata.
Guardai, e vidi che non nevicava più. Nel punto in cui si trovava Adena, la neve arrivava al ginocchio, ma più in là, nel tratto non riparato dalla rupe, lo strato bianco era molto più alto. Le nubi grigie filavano svelte nel cielo, quasi avessero fretta di allontanarsi dal luogo della strage imminente.
— Presto uscirà il sole — annunciò Adena, il tono quasi allegro. — Combatteremo col sereno.
I soldati si agitarono, giocherellando con le armi. “Puro istinto,” pensai, “frutto di un addestramento spietato.”
Ogun mi spiegò rapidamente il funzionamento del cannone. Era un’arma a raggi, una specie di laser potentissimo che faceva impallidire al confronto i laser dell’impianto a fusione che avevo visto nel ventesimo secolo.
Mentre ci rannicchiavamo dietro il cannone, mi chiesi in che modo quelle persone e i loro armamenti avanzati potessero essere stati trasferiti nell’Era Glaciale. Sapevo che Ormazd era in grado di manipolare a piacimento il tempo e lo spazio. Come Ahriman. Ma, per la prima volta dal mio arrivo in quel luogo sconcertante, mi domandai come potessero esistere degli umani dotati di una tecnologia così raffinata in un’epoca che doveva coincidere col Pleistocene, cioè centomila anni prima della costruzione delle piramidi in Egitto. Nei secoli futuri, non mi risultava che ci fossero documentazioni archeologiche di un fatto simile.
E chi era il nostro nemico? Chi erano le creature contro cui lottavamo? La gente di Ahriman. Da dove venivano? Perché erano lì, sul pianeta Terra?
Erano ancora molte le cose che non sapevo, mi aveva detto Adena, E mi aveva anche detto che quando avessi saputo tutta la verità, non mi avrebbe fatto piacere.
Quel drappello di esseri umani faceva parte di un esercito che Ormazd aveva inviato nell’Era Glaciale da qualche remota era futura? Ci aveva mandato lì perché scacciassimo i bruti, gli invasori che cercavano di distruggere il genere umano? Ma Marek aveva parlato di navi in orbita. Perché i capi di questo esercito avrebbero dovuto trovarsi a bordo di navi in orbita attorno alla Terra? Perché non si trovavano nelle città o nei quartier generali dei loro paesi d’origine?
Un pensiero agghiacciante mi colpì. E se fossimo stati noi gli invasori? E se fossero stati i bruti, la gente di Ahriman, quelli che stavano difendendo la loro patria da noi.
Era un’idea dolorosa; per poco, non mi lasciai sfuggire un gemito. Ma i miei pensieri furono soffocati dalla voce di Adena che annunciava, calma:
— Innescate le armi. Arrivano.
37
— Giù le visiere.
All’ordine di Adena, calai la visiera trasparente facendo scattare la chiusura della flangia del collo della mia corazza.
Le nubi stavano diradandosi, e nel cielo si aprivano ampi squarci d’azzurro. La neve luccicava sotto un pallido sole, una distesa informe che si allungava a perdita d’occhio. Non una roccia, non un albero che interrompesse quell’oceano bianco.
Mi drizzai, guardando da dietro il cannone laser, studiando il campo di fronte a noi. Adena, notai, era rannicchiata appena dentro l’ingresso della caverna, gli occhi fissi sullo schermo di una scatola di metallo grigio posata sulla sporgenza rocciosa dove lei stessa si era appostata.
All’inizio non riuscii a vedere nulla, là fuori. Poi, gradualmente, cominciai a distinguere macchioline in movimento che avanzavano arrancando, lentamente, inesorabili.
— Hanno messo gli orsi all’avanguardia — ci comunicò la voce piatta, controllata, di Adena. — E ci sono animali più piccoli in avanscoperta… lupi, sembrerebbe.
Tesi lo sguardo per capire cosa stesse dicendo. E mi resi conto che le forze in marcia verso di noi erano perlopiù animali, non bruti umanoidi. Lupi grigi in testa, con volpi dal pelo argentato che scivolavano tra di loro. Più indietro, le forme caracollanti di grandi orsi, alcuni bianchi, la maggior parte bruni. Erano enormi, montagne di muscoli, e si muovevano su quattro zampe.
Aquile, falchi e uccelli più piccoli riempivano il cielo. Animali più piccoli… procioni, tassi, ghiottoni… apparvero sul manto di neve scintillante. Sembrava che la fauna di tutto il pianeta si fosse riunita per attaccarci.
Adesso, mentre entravano in un raggio di tiro alzo zero, riuscivo anche a scorgere gli umanoidi che li seguivano. Uomini dalla pelle grigia, muscolosi, vestiti di pelli animali. Tra loro, delle femmine più piccole, più snelle. Tutti impugnavano lunghe armi simili a lance.
— Pronti — ci disse Adena, in un sussurro eccitato. — Scegliete i vostri bersagli. Gli animali lasciateli al cannone.
Mi rannicchiai dietro lo scudo trasparente di plastica che si incurvava nella parte anteriore del pezzo. Il mio compito era quello di controllare l’energia utilizzata dal laser e avvisare quando il livello si abbassava pericolosamente. Anche una scimmia sarebbe stata in grado di svolgere un simile lavoro; bastava guardare gli indicatori del pannello di conversione incorporato nel quadro comandi principale del cannone.
Staccai lo sguardo dal pannello e fissai affascinato l’esercito di bestie che avanzava. Come poteva controllarle la gente di Ahriman? Mentre osservavo la scena, gli animali sembrarono esitare un attimo, poi di colpo partirono alla carica.