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— Fuoco! — gridò Adena, e all’improvviso nella caverna si sentì solo il ronzio e il crepitio delle armi a energia.

Un ruggito mostruoso si levò dalla distesa ghiacciata all’esterno, e la neve immacolata si trasformò in un mare di fiamme mentre il cannone laser tracciava un arco di energia devastante, fondendo la neve, arrostendo gli animali lanciati, riempiendo l’aria di un fumo denso e fetido.

I soldati sparavano con le loro armi individuali attraverso le nubi di fumo e le fiamme. Non vedevo a cosa stessero mirando. Ma alcuni puntarono le armi verso l’alto, sparando ai falconi e agli altri uccelli che stavano tuffandosi in picchiata sull’imboccatura della caverna. Un’aquila sbatté contro il casco di un soldato, gettandolo a terra e uccidendosi per la violenza dell’impatto.

Intanto, lupi ringhianti sfrecciavano sulla neve, superando a balzi la striscia annerita disseminata di carne carbonizzata lasciata dal cannone. Quando puntavamo il cannone da una parte, gli animali ci attaccavano sull’altro lato. Gli artiglieri accorciarono la portata del raggio, arrostendo gli animali all’istante, ma altri animali continuavano a venirci addosso, sempre più vicini nonostante il fuoco di sbarramento degli altri soldati.

All’improvviso, un orso si stagliò all’imboccatura della caverna, spaventoso nella sua mole, digrignando i denti, sbavando, ritto sulle zampe posteriori. Colpì un soldato con le lame dei suoi artigli, maciullandolo, facendolo accasciare in un lago di sangue contro una parete. Quattro soldati fecero fuoco coi fucili laser, sventrando la bestia, staccandogli quasi la testa, ma l’orso continuò ad avanzare per inerzia, ruggendo di dolore, menando zampate, mandando soldati a gambe all’aria.

Senza riflettere, balzai da dietro lo scudo del cannone e mi tuffai placcando la bestia. Mi sembrò di urtare i pilastri di cemento di un grattacielo, ma l’orso perse l’equilibrio e ruzzolò sul pavimento della caverna.

Una mezza dozzina di raffiche di laser lo finirono; sentii lo sfrigolio dei raggi roventi, l’odore dei peli e della carne bruciata, poi l’ultimo rantolo d’agonia della bestia.

Non c’era tempo per le congratulazioni. Raccolsi il fucile del soldato caduto e dallo stemma sulla spalla vidi che si trattava di Rena. La visiera del suo casco era macchiata di sangue, il suo corpo straziato giaceva esanime.

— Stanno infiltrandosi lungo la parete del dirupo! — mi gridò Adena.

Superai i soldati che stavano ancora sparando contro la massa compatta di animali che avanzavano, e mi spinsi verso l’esterno abbandonando parzialmente la protezione offerta dall’imboccatura della caverna. Con la coda dell’occhio, notai che Adena stava facendo la stessa cosa sul lato opposto.

Una decina di metri davanti a me, un lupo grigio stava muovendosi rasentando la parete di roccia, in modo tale che non era possibile vederlo stando dentro né individuarlo coi sensori. Dietro il lupo, in fila indiana, un colossale orso bianco e altri lupi.

Quando mi vide, il lupo si fermò. Per un attimo ci guardammo negli occhi. Nei suoi, vidi l’intelligenza e un odio così intenso che rimasi scioccato. La bestia ringhiò e balzò per azzannarmi la gola. Premetti il grilletto e lo bruciai dal muso alla coda. Era morto quando mi colpì, e io barcollai all’indietro per l’impatto, ma non caddi. L’orso si impennò ruggendo e mi incalzò. Gli sparai in bocca, e vidi il raggio rosso del laser uscirgli dalla sommità del cranio. Mentre l’orso stramazzava ai miei piedi, feci fuoco sugli altri animali. Lupi, volpi, tassi… si sparsero in tutte le direzioni o fuggirono.

Per un attimo rimasi dov’ero, ansimando, provando un senso di trionfo. Poi mi voltai e vidi che Adena sul suo lato se la stava cavando meglio di me. Parecchi animali morti erano disseminati attorno a lei, e Adena stava falciando ad uno ad uno quelli in fuga.

L’area di fronte alla caverna era un ammasso disgustoso di carcasse carbonizzate e di ghiaccio opaco. Il laser aveva sciolto la neve, ma data l’aria polare si era subito riformato del ghiaccio.

D’un tratto mi resi conto che la battaglia era terminata. L’unico suono che si sentiva era il sibilo lieve del vento. Le nuvole erano scomparse, e il cielo cristallino era macchiato solo dalle spirali di fumo che si alzavano dai corpi bruciati delle bestie.

— Rientra nella caverna — mi ordinò negli auricolari la voce di Adena. Non potevo vederla in faccia attraverso la visiera, però dal tono avrei detto che mi stesse sorridendo.

Rientrai e sollevai la visiera. Gli altri erano attorno al cadavere di Rena o stavano controllando il cannone e le batterie.

— Ci siamo? — chiesi ad Adena. — È finita?

Lei scosse la testa. — Questo era solo il primo attacco. Stanno schierandosi di nuovo. Tra pochi minuti li riavremo addosso.

— Ma… è una strage — balbettai. — Ne abbiamo uccisi centinaia.

— Abbiamo ucciso solo degli animali — ribatté Adena. — I bruti stanno combattendo una guerra di logoramento. Mandano avanti gli animali per farci consumare energia. Poi, quando saremo a secco, allora sferreranno davvero il loro attacco.

Stentai un po’ ad assorbire il significato di quelle parole. — Intendi dire che continueranno a mandarci addosso quegli animali finché non avremo le armi scariche?

— È quello che hanno sempre fatto in passato.

— Allora che possibilità di vittoria abbiamo?

Adena sorrise, ma era un sorriso amaro, ironico. — Dipende… Bisogna vedere se esauriranno gli animali prima che noi esauriamo l’energia, o viceversa.

Probabilmente la guardai con aria poco convinta.

— Succede, Orion. La gente di Ahriman non è invincibile. Sono solo disperati quanto noi. Il loro è l’ultimo gruppo di superstiti. Se riusciremo a ucciderli, non ce ne saranno più altri che possano infastidirci.

— E se loro riusciranno a uccidere noi, invece…

Lei annuì. — Avranno vinto. Per sempre.

Stavo per ribattere, quando un soldato gridò: — Stanno arrivando ancora. Ci precipitammo ai nostri posti. Il corpo di Rena restò sul nudo pavimento di roccia all’interno della caverna. Senza che nessuno me lo dicesse, stringendo il fucile di Rena andai a piazzarmi sull’orlo dell’imboccatura del nostro rifugio, dove potevo tenere sotto tiro gli animali che avessero cercato di infiltrarsi lateralmente. Era un punto esposto, ma il nemico avrebbe dovuto avvicinarsi moltissimo per potermi aggredire, ragionai. Finche avessi avuto il fucile carico, ero discretamente al sicuro.

— Giù le visiere — ordinò Adena. Eseguii, e guardai l’orda di animali che avanzava.

Per quattro volte in quattro ore gli animali ci attaccarono. Ogni volta li respingemmo: raggi d’energia contro zanne e artigli. Nell’aria ristagnava un tanfo nauseabondo di carne e pelo che bruciavano.

Nubi nere di morte inquinavano il cielo azzurro mentre un pallido sole si spostava verso ovest cominciando a proiettare ombre sempre più lunghe sulla distesa di neve e ghiaccio cosparsa di carcasse.

Avevo tutti i muscoli indolenziti. La testa mi ronzava. Nella grande caverna si respirava un odore umidiccio di sudore e di ozono. Marek passò in mezzo a noi, consegnando a ognuno un paio di capsule gialle. Pillole alimentari, mi disse. Un concentrato nutritivo sufficiente a tenere in piedi un uomo per oltre dodici ore. Mancò poco che ridessi. A un centinaio di metri da noi, c’era tanta carne che in un mese noi sedici non saremmo riusciti a mangiarla tutta. E ci nutrivamo di capsule!

Kedar stava parlando sottovoce con Adena, il volto cupo. Notai l’espressione di lei, e mi parve di capire che mi invitasse a unirmi a loro.

— A quanti altri attacchi possiamo far fronte? — gli stava chiedendo, quando mi avvicinai.

Prima di rispondere, Kedar mi lanciò un’occhiata sospettosa. — Due, almeno. Forse tre.

Adena controllò lo schermo ancora appoggiato, un po’ inclinato, sulla sporgenza di roccia accanto all’ingresso. — Hanno ancora abbastanza animali per tre attacchi, come minimo.