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— Allora non possiamo rimanere qui — dissi subito.

Kedar mi fissò accigliato. Adena disse: — Cosa proponi?

— Smettiamola di combattere contro degli animali e attacchiamo il vero nemico.

— Li invitiamo gentilmente qui alla caverna? — fece Kedar sarcastico. — O usciamo in mezzo alla neve e raggiungiamo il loro campo?

— Andiamo là — risposi. — Mandiamo fuori due o tre volontari perché penetrino nel campo nemico, e li attacchiamo sul posto.

Kedar sbuffò. — Le bestie là fuori li farebbero a pezzi prima che riuscissero ad avvicinarsi…

— No, basta che escano dalla caverna senza essere visti e che aggirino gli animali — dissi. — Potranno attaccare il nemico sul retro.

— Come faresti a uscire senza essere visto? — chiese Adena.

— Andrei subito, tenendomi a ridosso della parete della rupe fino a trovarmi oltre il fianco dell’esercito di animali. Poi mi dirigerei verso il campo nemico tagliando per la pianura.

— Ammesso che non ti vedessero, ci impiegheresti delle ore — disse Kedar.

— Lo so. Arriveremmo vicino al loro campo di notte.

— Si potrebbe partire di notte, invece, e attaccare all’alba — intervenne Adena. — Noi potremmo bombardarli col cannone dalla caverna come azione diversiva.

Kedar scosse la testa. — Di notte sono avvantaggiati. Là fuori hanno degli animali che vedono anche al buio, cosa che noi non possiamo fare.

— Abbiamo i sensori, che sono altrettanto efficaci — ribatté Adena. — E poi non attaccano mai di notte. Li sopravvaluti, Kedar. Col buio, saremo noi ad essere avvantaggiati.

— Non credo.

— Io sì — disse Adena. — Orion, proveremo il tuo piano. Vale la pena di rischiare. Sceglierò due soldati, perché vengano con noi.

— Noi?

— Vengo anch’io, con te.

— Non puoi farlo, Adena! — esclamò Kedar.

— Devo farlo. Gli altri non seguirebbero mai Orion; è un estraneo. Invece, obbediranno ai miei ordini senza discutere.

— Ma il pericolo…

— Le missioni che affido ai miei uomini sono missioni alle quali sono sempre pronta a partecipare di persona — disse Adena. — Sempre.

Dal fuoco che le brillava negli occhi si capiva che sarebbe stato inutile cercare di dissuaderla. E, a dire il vero, ero contento di averla al mio fianco.

— Ma… e noi altri? — C’era una nota di paura nella voce di Kedar.

— Assumerai tu il comando, qui — rispose Adena. — Iniziate a martellare gli animali alle prime luci dell’alba. Entro allora dovremmo essere in posizione per attaccare il campo dei bruti.

— E se non foste in posizione?

Adena sorrise. — Non avrà importanza. Se non saremo pronti ad attaccarli entro l’alba, vorrà dire che saremo già morti.

38

Non scoprimmo mai se il mio piano avrebbe funzionato. I bruti ci attaccarono prima che potessimo attuarlo.

Adena scelse i due soldati che avrebbero dovuto venire con noi: Ogun, l’armiere massiccio dall’espressione perennemente torva, e Lissa, una splendida donna bruna, alta, atletica, specialista in esplosivi.

— Se sorprendiamo i bruti nel sonno — spiegò Adena — Lissa con le sue bombe potrà distruggerli in un sol colpo.

Il sole era calato dietro la rupe in cui si apriva la nostra caverna, avvolgendo in un’oscurità sempre più fitta il campo di battaglia annerito e il carnaio di fronte a noi. Adena ordinò al nostro gruppetto di dormire, dal momento che ci saremmo messi in marcia non appena la notte fosse scesa completamente sulla zona.

Non ho mai avuto bisogno di molto sonno, comunque ordinai al mio corpo di rilassarsi, mi stesi sulla brandina galleggiante, chiusi gli occhi e nel giro di pochi minuti mi appisolai.

Non ricordo di aver sognato. So solo che fui svegliato da uno strano odore dolciastro che mi solleticava le narici e mi dava una sensazione di soffocamento. Aprendo gli occhi, cercai di drizzarmi a sedere. La branda oscillò sotto di me e scivolai pesantemente sul pavimento.

Adena dormiva sulla branda accanto alla mia, le braccia e le gambe afflosciate, la testa girata nella mia direzione, fin troppo rilassata. Cominciai ad ansimare, a tossicchiare per quell’odore nauseante; era come avere la testa infilata in una macchia di fiori tropicali.

Mi alzai barcollando, e vidi che tutti i soldati dormivano. Non c’era nessuno di guardia. Gas! mi resi conto. Chissà come, stavano riempiendo la caverna di gas, un gas che aveva fatto perdere i sensi a tutti quanti. L’unico suono nella caverna era il lieve ronzio delle batterie, che tenevano in funzione l’impianto di illuminazione.

Traballando, tossendo, superai i corpi dei soldati caduti e mi spinsi oltre l’imboccatura della caverna, all’aria aperta. Era notte fonda, le stelle brillavano fredde su quel panorama gelido. Mi riempii i polmoni una volta, due, e la mia testa cominciò a schiarirsi.

“Probabilmente si preparano ad attaccarci,” pensai. “A meno che non si tratti di un gas letale.”

Tornai nella caverna e, trattenendo il respiro, corsi alla mia branda, sotto cui era posato il mio casco. Lo infilai, calai la visiera, e premetti il pulsante che attivava il sistema di mantenimento autonomo dell’armatura. Una minuscola ventola si accese ronzando, e sentii dell’aria pura che mi soffiava in faccia. Ripresi a respirare.

Svelto, tenendo d’occhio l’ingresso della caverna, infilai il casco ad Adena e attivai la sua armatura. Poi andai all’imboccatura del rifugio, restando di guardia.

— Cos’è successo? — La voce di Adena mi giunse attraverso gli auricolari, incerta, confusa.

Girandomi verso di lei, cominciai a spiegare. Ma dalle ombre in fondo alla caverna vidi sbucare un bruto che puntava un’asta appuntita di cristallo alla schiena di Adena.

— Attenta! — gridai, afferrando la pistola che portavo al fianco. Adena si chinò istintivamente, mentre il bruto le si avventava contro. Sparai e lo centrai in faccia. Stramazzò, urlando, e la verga di cristallo si infranse sul pavimento.

Non c’era tempo per altre spiegazioni. Altri nemici stavano arrivando di corsa dal retro della caverna. Adena imbracciò un fucile e li abbatté, mentre io la coprivo con la pistola. L’attacco mi sembrò protrarsi per ore, invece durò solo pochi minuti. D’un tratto gli aggressori si dileguarono nell’oscurità. Quattro dei loro giacevano morti ai nostri piedi.

— Hanno trovato un passaggio per penetrare nella caverna da dietro — dissi, regolando con la volontà il ritmo del respiro e del battito cardiaco.

— O ne hanno aperto uno — annuì Adena. — Non ci resta molto tempo. Torneranno.

Mi sentivo in trappola. E battuto in astuzia. Adesso i bruti ci avevano circondato; la nostra caverna non era più un rifugio, era una cella angusta, opprimente, fatta di pietra, in cui non potevamo muoverci, da cui non potevano fuggire. Avevo la sensazione che le pareti stessero già stringendosi per schiacciarmi. Le mani cominciarono a tremarmi.

Ma non era la paura a scuotermi. Era la rabbia. Guardando le nude pareti di roccia della caverna, rendendomi conto che avrebbe potuto diventare una grossa bara per tutti noi, fui assalito da una furia intensa. Ero furioso con me stesso. Come avevo potuto essere così stupido? La camera sotterranea che Ahriman aveva creato nel ventesimo secolo, l’oscuro tempio di pietra che aveva costruito a Karakorum, la caverna in cui si era rintanato nel Neolitico… le caverne e le tenebre erano il suo ambiente, la sua fonte di energia. Perché non me n’ero accorto prima? Perché avevo lasciato che quei poveri soldati rimanessero chiusi in quella trappola? Che sprovveduto, ero stato!