Mentre mi rimproveravo, aiutai Adena a far rinvenire gli altri. Lei raccontò in modo conciso cosa fosse successo.
— Credevano di trovarci tutti svenuti, di poterci uccidere facilmente. Adesso sanno che non è così. Da un istante all’altro, ci attaccheranno su due fronti opposti. I sensori all’ingresso mostravano chiaramente un concentramento di animali all’esterno. Adena tenne il cannone puntato in quella direzione.
— Orion — ordinò — tu, Ogun e Lissa dovete coprire il retro della caverna. Cercate di scoprire da dove arriva il nemico. A quanto pare, non possono far passare molti dei loro contemporaneamente. Se voi tre non riuscite a tenerli a bada, chiedete aiuto.
Non vedevo la faccia di Ogun dietro la visiera, ma immaginai facilmente la sua smorfia arcigna. Lissa aveva con sé una cassa di bombe, legata alla vita, che galleggiava sul suo disco antigravità a pochi centimetri dal suolo.
— Posso fornire una gamma vastissima di potenza esplosiva… da un’esplosione tipo bomba a mano, fino a uno scoppio misurabile in kiloton — spiegò Lissa, la voce quasi allegra.
— Mi sembra uno spazio un po’ troppo ristretto per usare degli esplosivi — osservai, mentre ci addentravamo nel cunicolo sempre più stretto della caverna.
— Già, credo che tu abbia ragione — disse Lissa, avvilita.
Lasciandoci alle spalle i cadaveri dei bruti, controllammo il cunicolo di roccia alla luce dei faretti dei nostri caschi. Ben presto, lo spazio diventò troppo angusto perché potessimo procedere affiancati. Ogun passò in testa; io lo seguii, con Lissa dietro di me di qualche passo.
— Abbiamo controllato quest’area la prima volta che siamo venuti in questa caverna — borbottò Ogun. — Non c’è nessun…
— Cosa c’è?
Ogun si era fermato di colpo. Guardai oltre le sue spalle e vidi un’apertura nel pavimento del cunicolo di fronte a lui.
— Questo non c’era, ieri — mormorò. Si inginocchiò e raccolse una manciata di frammenti di roccia. — Questo buco è nuovo. Devono averlo scavato mentre eravamo attaccati.
— Perché non hanno messo nessuno a sorvegliare il pozzo? — fece Lissa. — L’hanno abbandonato così?
Guardai nel foro. La luce dei caschi fu inghiottita da un baratro che sembrava senza fondo.
— Torneranno — disse Ogun. — Quando saranno pronti ad attaccare ancora, piomberanno in massa attraverso questo passaggio.
Quel pozzo però aveva qualcosa che non mi convinceva. Lissa aveva ragione; se quello era il loro punto di transito per attaccarci alle spalle, perché l’avevano abbandonato?
— Torniamo indietro — dissi.
— Indietro? Perché? — chiese Ogun perplesso.
— Posso piazzare un congegno esplosivo — suggerì Lissa. — Se cercheranno di servirsi di nuovo del pozzo finiranno a brandelli.
— Non riuscivo a capire come mai fosse tanto felice quando parlava di far saltare in aria della gente.
— È un tranello — dissi, sorpreso quanto loro nel sentire quelle parole che mi uscivano dalla bocca. — È una finta. Possono anche avere usato questo pozzo prima, ma adesso probabilmente ne stanno scavando un altro, tra questo e la camera principale della caverna.
— Così ci taglieranno fuori — disse Ogun.
— E sorprenderanno gli altri alle spalle — aggiunse Lissa.
Annuii, poi ricordai che non potevano vedere attraverso la visiera. — Presto, svelti!
Ci affrettammo a tornare nel punto dove giacevano i corpi dei bruti uccisi. Lì, con le luci e i movimenti degli altri soldati alle nostre spalle, mi tolsi il casco e premetti l’orecchio contro la parete di roccia. Sì, sentivo dei tonfi, degli scricchiolii. Qualcuno stava scavando.
Adena ci vide e si avvicinò, chiedendoci come mai non ci trovassimo in fondo alla caverna, come ci aveva ordinato.
Le spiegai: — Stanno scavando un altro passaggio per entrare. Attaccheranno non appena sfondato l’ultimo diaframma di roccia.
Adena sembrava scettica, così la invitai ad ascoltare i rumori dei bruti al lavoro. Dopo di che, annuì.
— Saremo pronti a riceverli — disse, l’espressione feroce.
L’attesa fu la parte più difficile. I sensori all’ingresso continuavano a mostrare 1 ammassamento di animali nonostante il buio notturno. Marek fissò dei sensori sismici alle pareti della caverna, e le loro luci lampeggianti ci indicarono ogni colpo dei bruti contro la roccia. Man mano che il nemico si avvicinava, i sensori cominciarono a triangolare la sua posizione. Ben presto, individuarono il punto in cui i bruti avrebbero sfondato. Però non sapevamo quando.
Restammo con le visiere abbassate, stringendo le armi, aspettando.
I nervi erano tesi. Le dita tamburellavano sui calci o giocherellavano con qualche parte dell’equipaggiamento. Fissai la parete di roccia, cercando di penetrarla con lo sguardo, di vedere il nemico che lavorava pazientemente, accanitamente, per raggiungerci. “Devono odiarci moltissimo”, pensai. “Stanno concentrando su di noi tutta la loro forza e il loro odio… contro sedici persone, tra uomini e donne, persone sole, abbandonate, prigioniere di un’epoca e di luoghi remoti, in attesa di uno scontro che potrà concludersi solo con lo sterminio di una delle due fazioni in lotta.”
Le luci dei sensori si spensero. Avevano smesso di scavare, pensai. Perché?
— Arrivano! — gridò qualcuno all’imboccatura della caverna. Inavvertitamente, mi girai in quella direzione…
La parete di fronte a me esplose, facendoci ruzzolare a terra. Mi drizzai, impugnando ancora il fucile, e vidi una mezza dozzina di bruti che si scagliavano addosso a noi tra il fumo e i detriti. Erano grossi, poderosi, le loro facce larghe dagli occhi rossi erano maschere ringhianti; brandivano le loro aste di cristallo.
Sparai a bruciapelo. Il raggio del fucile falciò i primi due, ma per lo slancio mi finirono addosso; mentre cadevano, mi drizzai ancora su un ginocchio e sparai. Anche Ogun aveva aperto il fuoco, però uno dei bruti lo raggiunse con l’asta di cristallo; gli sfiorò appena il casco, ma si sprigionò una pioggia di scintille, e sentii negli auricolari il grido di Ogun. Il suo corpo ebbe degli spasmi, si inarcò, poi stramazzò senza vita.
Mi chinai per schivare l’asta puntata addosso a me e premetti la canna del fucile contro l’addome del bruto, schiacciando il grilletto. Il suo corpo avvampò, e con urla agghiaccianti l’aggressore rimbalzò indietro, travolgendo quelli alle sue spalle.
Lissa intanto si era riavuta dallo shock e stava sparando sui bruti che si riversavano dal tunnel appena scavato. Persi il conto di quanti fossero; sparavamo e ci scansavamo e riprendevamo a sparare, uccidendoli a destra e a sinistra, finché i loro corpi non ostruirono lo squarcio aperto nella roccia.
Lissa balzò su quella barricata di carne e lanciò una bomba nel tunnel. L’esplosione fece tremare tutta la caverna… dei sassi si staccarono dal soffitto, l’area era piena di fumo.
Indietreggiai barcollando di qualche passo, e mi voltai verso l’ingresso. Un enorme orso bruno ritto sulle zampe posteriori stava cercando di artigliare i soldati che lo circondavano come tanti nani. Una decina di raffiche lo colpirono, ma l’orso continuava ad avanzare, mentre i soldati arretravano. Dietro l’orso, vidi dei lupi e dei grandi felini dai denti a sciabola.
Il cannone scaricò il suo micidiale raggio rosso sul torace della bestia, tagliandolo in due tronconi. Sangue, brandelli di carne e frammenti ossei piovvero sul pavimento già viscido; i soldati allora cominciarono a prendere di mira gli altri animali.
Tornai a girarmi nella direzione che stavamo difendendo. Lissa stava innescando delle cariche, seduta a terra con le spalle rivolte al cumulo di cadaveri.
Mi avvicinai a lei, scrutando nell’oscurità del tunnel.
— Sembra che da qui non stia più arrivando nessuno — dissi.