— Non mi interessa — replicai sottovoce, ma con estrema fermezza. — Questi uomini e queste donne sono stati strappati dalla loro epoca, staccati dalle loro famiglie, e gettati in quest’era remota di gelo e ghiaccio per eseguire gli ordini di Ormazd…
— Per fare quello che era necessario fare — ribatté Adena. — Per salvare l’umanità dal peggiore dei mali, dall’estinzione.
— Be’, indipendentemente dal motivo, queste persone hanno il diritto di uscirne vive se possibile. Non dovrebbero essere buttate via come una manciata di pedine.
— Ma è proprio questo che sono! Non capisci? Sono pedine. Sono state create per essere delle pedine.
— Sono esseri umani, con un’esistenza propria, preziosa per loro, le loro famiglie, gli amici…
— No, Orion, sbagli. Non capisci. — Adena mi fissò con aria triste.
— Allora parla, spiegami.
Per parecchi secondi lei non disse nulla, e continuammo ad avanzare a fatica nella neve, sempre più vicini alla massa cupa e sinistra della foresta.
— Ho paura — disse infine Adena. — Se ti dirò tutta la verità mi odierai.
— Odiarti, io? — eruppi, scioccato. — Come potrei? Ho superato la morte tre volte per trovarti, per stare con te.
Lei abbassò gli occhi. — Orion, siamo tutti pedine di un gioco. Abbiamo tutti un ruolo stabilito.
— E il grande giocatore è Ormazd — dissi.
— No. Non è così semplice. Anche Ormazd ha un ruolo, come me, e te. — Adena esitò, quindi aggiunse mormorando: — E come queste… pedine che marciano con noi.
— Non sei una pedina — dissi.
— Nemmeno tu — ribatté Adena con un sorriso triste, rassegnato. — Tu sei un cavallo. Io un alfiere, forse.
— Una regina.
— Non sono così potente.
— La mia regina — insistei. Poi mi resi conto. — E Ormazd è il re. Se viene ucciso…
— Moriamo tutti. Per sempre. Il gioco finisce.
— Dunque, la situazione è questa…
— Sì.
— E questi uomini e queste donne con noi?
— Come ho detto, sono pedine. Sono stati creati per questo scopo, non ne hanno nessun altro. — Adena, aveva un’aria stanca, abbattuta. — Hai parlato di separazione dalla loro epoca, dalle loro famiglie, dai loro amici. Orion, non hanno famiglia! Non hanno amici! Per loro esiste solo questa epoca. Ormazd li ha creati apposta perché sterminassero la gente di Ahriman, e basta.
Era come se lo avessi saputo fin dall’inizio. La verità non mi sorprese. Provai invece un terribile vuoto interiore, un vuoto profondo come l’abisso dell’inferno.
Mi girai a guardare quei poveracci che marciavano in quel pomeriggio dell’Era Glaciale senza lamentarsi, eseguendo gli ordini di Adena, avvicinandosi sempre più alla morte… la loro morte o quella del nemico. E sembrava che non gli importasse se a morire sarebbero stati loro o gli altri.
Lissa mi sorrise. Sulle spalle aveva uno zaino pieno di bombe e altri congegni esplosivi. Ripensai al suo atteggiamento disinvolto e smanioso appena prima che iniziasse la battaglia nella caverna. Ripensai alla frenesia omicida del clan di Dal la notte dell’attacco. Alla spietata efficienza dei mongoli che spazzavano via l’esercito di Bela. Ripensai perfino alla folla di dimostranti di fronte all’impianto a fusione nel Michigan, così inclini alla violenza.
— Sì — disse Adena, quasi mi avesse letto nel pensiero. — Sono stati programmati con la violenza.
— Sono macchine, allora? Robot?
Scuotendo leggermente la testa, rispose: — Sono fatti di carne e di sangue, come te. Ma sono stati creati da Ormazd e le loro menti sono state programmate per questa missione di sterminio.
— Come me — mi resi conto.
— Adesso sai la verità — sussurrò Adena, gli occhi colmi di rammarico.
— Sono stato creato da Ormazd per uccidere Ahriman… e per nessun’altra ragione.
— Sì.
— Ecco perché non riuscivo a ricordare il passato, nel ventesimo secolo. Non avevo nessun passato. Sono una marionetta, e Ormazd dirige tutti i miei movimenti.
Il vuoto che provavo interiormente si estese, abbracciando tutto l’universo. Ero una macchina! Eravamo tutti macchine, fatte di molecole organiche a DNA, di ossa e nervi… ma sempre macchine, programmate per ubbidire a Ormazd: fantocci, marionette, assassini comandati a distanza.
— Orion. — Percepii in modo vago la voce di Adena che mi chiamava, riportandomi al presente, a quella parte dell’enorme scacchiera che Ormazd controllava.
— Orion… Sei stato creato per servire Ormazd, però ti sei sviluppato andando al di là dello scopo per cui Ormazd ti aveva creato.
— Davvero? — dissi con voce spenta, stanca. — Allora se non sono qui per scattare ogni volta che Ormazd decide di farmi muovere, perché mi trovo qui?
Adena sorrise e il suo bel volto si illuminò. — Ah, credevo che fossi qui per cercarmi. È questo che mi hai detto.
— Adesso mi stai prendendo in giro.
— Niente affatto — ribatté lei, seria. — Sei stato creato per un unico scopo, è vero. Però fin dall’inizio hai agito dimostrando una notevole indipendenza. Sei un essere umano, Orion. Perfettamente umano, come Socrate o Einstein o Ogotai Khan.
— Com’è possibile che lo sia?
— Lo sei. Come potrei amarti, se non lo fossi?
La fissai a lungo, mentre avanzavamo verso la barriera di conifere simile ai bastioni di una fortezza.
— Mi ami davvero — dissi.
— Abbastanza da diventare umana — rispose Adena. — Abbastanza da dividere con te la tua vita, il tuo destino, la tua morte.
— E io ti amo. Ho continuato ad amarti attraverso i millenni, la morte, la resurrezione.
Adena annuì felice, gli occhi di colpo velati.
— Ma dobbiamo affrontare la morte di nuovo, vero? — dissi.
— Sì, ma la affronteremo insieme.
— E questi altri?
Adena si rabbuiò ancora. — Orion, sono pedine. Non hanno un passato. Sono solo capaci di combattere.
— Anche le pedine hanno diritto alla sopravvivenza — insistei.
— Noi dobbiamo pensare a sterminare Ahriman e la sua razza. È il nostro solo obiettivo. Se falliremo, moriremo per sempre. Significherà il nulla e l’oblio per tutti noi.
Sapevo che era la verità, però non potevo accettarla.
Adena si arrestò di colpo e mi prese le spalle. Gli altri si fermarono rispettosamente a qualche passo da noi due.
— Orion, se mi ami, devi essere disposto a sacrificare queste pedine — mormorò Adena risoluta.
Fissai quegli occhi grigi a lungo, poi con uno sforzo distolsi lo sguardo, spostandolo verso la foresta scura che ci aspettava, verso i soldati che ci seguivano. Erano immobili, tranquilli, in attesa del prossimo ordine, le armi a tracolla.
— Non voglio che muoiano — disse Adena, il tono quasi implorante. — Forse non sarà necessario che muoiano. Ma se indugiamo troppo, Ahriman e i suoi compagni fuggiranno.
— Se ci addentriamo tra quegli alberi finiremo in un’imboscata.
— Ma questo non significa che rimarremo uccisi tutti. Le nostre armi sono superiori alle loro.
— Finché durano.
— Dobbiamo essere pronti a questo sacrificio — ribatté Adena. — Tu rischi la tua vita, io la mia. Perché gli altri dovrebbero ricevere un trattamento di favore?
— Perché non capiscono cosa ci sia in gioco.
Adena guardò il sole calante. Gli alberi proiettavano già lunghe ombre verso di noi, simili a dita che volessero afferrarci la gola.
— Controllate le armi — ordinò ai soldati. — Entriamo nella foresta. Probabilmente, i bruti saranno in agguato. Occhi aperti.
I soldati annuirono, cominciando a verificare armi e batterie. Un minuto dopo, avevamo ripreso a marciare, senza che ci fosse stata la minima protesta, la minima esitazione. Anzi, i soldati sembravano contenti di accingersi a scontrarsi col nemico.