Non c’era nulla che potessi fare. Non dovevo far nulla, continuai a ripetermi… a parte proseguire e trovare Ahriman. Ma una voce nella mente mi stava dicendo che la vita non era fatta solo di cacce e uccisioni, che c’era dell’altro, molto di più.
Ma che importanza aveva? Adena aveva ragione, eravamo tutti pezzi di un gioco cosmico, avevamo tutti un ruolo, un compito da svolgere. Restai accanto a lei, stringendo la pistola, scrutando negli spazi scuri tra gli alberi mentre la foresta inghiottiva il nostro sparuto drappello di guerrieri.
Gli uccelli lanciavano i loro richiami. Animaletti pelosi squittivano e si arrampicavano sui rami più alti, quasi avvertissero il pericolo attorno a noi. La luce del sole filtrava debole, a chiazze. Più avanzavamo, più il freddo e il silenzio aumentavano.
Il terreno sotto il folto degli alberi era appena infarinato di neve qui e là, ma le orme dei bruti spiccavano ancora in modo chiaro, come se ci avessero lasciato apposta una pista da seguire.
Uno scoiattolo, lo scoiattolo più grosso che avessi mai visto, ci rivolse degli squittii rabbiosi mentre ci avvicinavamo al suo albero. Poi vedendo che non cambiavamo direzione, risalì svelto il tronco e andò a nascondersi nella sua tana aerea.
Fu allora che scorsi una forma scura muoversi tra i rami, una forma di dimensioni umane.
Toccai il braccio di Adena. — Sono sugli alberi — mormorai.
Fece appena in tempo a guardare prima che attaccassero. Dai rami balzarono dei puma, le zanne enormi e luccicanti. Adena non ebbe nemmeno il tempo di lanciare un ordine, ma i soldati automaticamente formarono un cerchio cominciando a sparare. Un felino atterrò ringhiando in mezzo a noi, e io gli feci esplodere il cranio con una raffica di pistola.
— Lupi! — gridò qualcuno.
Arrivarono a balzi tra gli alberi, gli occhi che sprigionavano bagliori malefici mentre si scagliavano contro di noi. Ne abbattemmo decine e decine.
Mentre lottavamo contro quell’orda di bestie assetate di sangue, io continuai a tener d’occhio i pini. I felini dai denti a sciabola giacevano morti in mezzo a noi, e i corpi dei lupi delimitavano il nostro minuscolo perimetro difensivo. Ma io stavo cercando con ansia Ahriman e i suoi. Erano lassù, tra i rami, ne ero certo, e aspettavano che le nostre armi fossero scariche. Quattro soldati avevano già lasciato cadere i fucili e stavano usando le pistole, che erano alimentate dalle batterie delle nostre corazze.
Chiamai Lissa. — Dammi qualche bomba!
Anche lei stava osservando i rami, pronta a uccidere altri felini. I lupi momentaneamente stavano ritirandosi nell’oscurità della foresta, per prepararsi a tornare alla carica più rabbiosi di prima.
— Che tipo di bomba vuoi? — mi domando Lissa, allegra come sempre. — A onda d’urto, a frammentazione, a gas…
— A onda d’urto — risposi.
Me ne passò quattro, spiegandomi come regolare il congegno a tempo del detonatore. Presi una bomba, regolai il timer su cinque secondi, quindi la scagliai in alto, tra gli alberi di fronte a me.
Non fu un’esplosione forte come mi aspettavo, comunque ci arrivò addosso una pioggia di neve e rami spezzati. Adena drizzò il capo di scatto.
— Cosa stai…
La zittii alzando una mano. Un grido di dolore echeggiò tra i pini, e non era il lamento di un animale.
— Sono lassù! — si rese conto Adena.
Mentre prendevo un’altra bomba, i bruti ci attaccarono, uscendo dai loro nascondigli di rami appesi a lunghe corde sottili e oscillando verso di noi puntando quelle strane lance di cristallo.
Sparammo mentre ci piombavano addosso, ma portavano delle corazze luccicanti di cristallo che deviavano i nostri raggi laser neutralizzandoli. Con la coda dell’occhio, notai che i due soldati che impugnavano ancora il fucile furono i primi a essere sommersi dai bruti. Feci fuoco, ma il raggio della mia pistola non riuscì a penetrare nelle loro corazze.
Le loro lance elettrostatiche invece erano di un’efficacia mortale. I nostri due soldati caddero sotto una pioggia di scintille azzurrognole, dopo di che gli aggressori si rivolsero a noi.
Lissa si gettò contro quattro bruti stringendo in mano delle bombe innescate. Due deflagrazioni ravvicinate li ridussero a brandelli, atterrando anche noi altri. Intontito, mi drizzai in ginocchio, scagliai la mia pistola inutile in faccia al bruto più vicino e lo feci cadere sgambettandolo con un calcio. Afferrai la sua asta e gliela premetti sul collo, dove non era protetto dalla corazza trasparente. Urlò, e morì percorso da una scarica elettrica impressionante.
Adena, appoggiata su un ginocchio, mirò con freddezza centrando un nemico in testa, mentre altri due si precipitavano verso di lei. Si girò leggermente e sparò a uno di loro, che però alzò l’avambraccio corazzato davanti alla faccia deviando il colpo. Poi la pistola di Adena tacque, scarica.
Balzai addosso ai due bruti, facendoli ruzzolare a terra lontano da Adena.
Mi guardarono ringhiando, brandendo le aste. Schivai il primo affondo di quello più vicino, e tramortii l’altro calandogli in testa l’estremità dell’asta. Poi mentre lo uccidevo con una scarica elettrica, qualcuno decapitò il primo aggressore con una raffica di pistola.
Tutt’a un tratto il combattimento terminò. A terra morti, quattro dei nostri, e sette bruti.
— Uno è scappato — disse Adena.
— Ahriman. — Lo sapevo, lo intuivo.
— Dobbiamo trovarlo. Non deve sfuggirci.
— Gli andrò dietro — dissi.
— No — ribatté Adena. — Ci andremo tutti.
40
Per due giorni seguimmo le tracce di Ahriman in direzione sud, finché un’altra bufera oscurò il cielo e cominciò a sferzarci con raffiche di neve spinte da un vento violentissimo.
Il più in fretta possibile, guidai di nuovo il gruppetto nella foresta di pini che offriva un riparo relativo. Le nostre batterie stavano esaurendosi. Avevamo solo una manciata di capsule nutritive. Se fossimo rimasti in mezzo alla bufera saremmo morti di fame e assiderati.
Insegnai ai superstiti a costruire una tettoia di rami e a fare un falò. Usammo gli ultimi erg di energia delle pistole per tagliare i rami e accendere il fuoco. Quando anche l’ultima batteria fu scarica, il nostro drappello si ritrovò proiettato di colpo nell’Età della Pietra. Gli strumenti e l’equipaggiamento di quegli uomini non avrebbero più funzionato. Dovevamo arrangiarci con quello che ci offriva la terra.
La bufera si allontanò dopo tre giorni, e ci mettemmo in cammino per raggiungere la caverna dove avevamo lasciato Kedar e i feriti. Adena lasciò che diventassi io il capo, e forte della mia esperienza col clan di Dal sapevo fabbricare lance rudimentali e trovare la selvaggina nascosta nella neve. Non morimmo di fame, ma eravamo una misera squadra di soldati laceri, magri, affamati e intirizziti quando arrivammo alla caverna.
Nei giorni successivi fummo costantemente impegnati nelle ore di veglia. Insegnai agli altri a sopravvivere in un mondo selvaggio, ad accendere il fuoco sfregano due bastoncini, a stanare le lepri e gli scoiattoli che si mimetizzavano nella neve, e scuoiarli e cuocerli sul fuoco.
E di notte, quando tutti dormivano, io restavo di guardia… solo coi miei pensieri.
Lo shock delle battaglie e delle loro conseguenze stava passando. Cominciai a sentire quello che la mia mente aveva registrato, ma che non era ancora stato assimilato dal mio animo. Rividi il sorriso di Lissa mentre maneggiava il suo carico mortale di esplosivi, l’innocenza infantile con cui parlava delle bombe e dei loro effetti. E rividi l’espressione esultante del suo volto, gli occhi spalancati e la bocca aperta in un urlo di trionfo, mentre si gettava sul nemico stringendo in mano quelle bombe innescate.