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Un lampo illuminò l’esterno per una frazione di secondo, e vidi qualcosa che mi fece sussultare. Successe tutto troppo in fretta perché potessi esserne certo, così chiusi gli occhi un attimo e riproiettai la scena con la memoria.

Immobile nel bagliore accecante del fulmine, la sagoma minacciosa di Ahriman, a un centinaio di metri dall’ingresso della caverna. E accanto a lui, sulle quattro zampe, un orso gigantesco che faceva sembrare piccola anche la figura possente di Ahriman. Ahriman era di fronte all’animale, con un braccio alzato, un dito teso, come se gli stesse impartendo delle istruzioni.

Guidato dalla grande intelligenza di Ahriman, spinto dal suo odio, l’orso avrebbe potuto ucciderci tutti. Mi alzai e presi due rami dal fuoco, affrettandomi verso l’imboccatura della caverna.

Mentre avanzavo, le lingue frastagliate di un lampo guizzarono nel cielo e la forma enorme, terrificante dell’orso si stagliò sull’ingresso bloccando la visuale sull’esterno, mandando un ruggito di rabbia che si fuse con lo scoppio del tuono facendo tremare il terreno.

Mi venne incontro, le zampe anteriori alzate, mostrando artigli grossi come coltelli e denti capaci di spezzare qualsiasi cosa.

Invece di arretrare, gridai con quanto fiato avevo in corpo e gli agitai contro l’estremità accesa delle mie torce. L’orso si arrestò e con una zampata mi strappò di mano un ramo. Feci una finta con l’altra torcia, me la passai dalla sinistra nella destra, e la affondai nell’addome dell’animale. L’orso mugghiò di rabbia e di dolore, indietreggiando di un passo.

Il mio corpo prese a funzionare a ritmo ultraveloce, i sensi acuiti al massimo, i nervi che reagivano molto più rapidi di quelli di una persona normale. Intravidi gli altri che si svegliavano, che si alzavano muovendosi al rallentatore, prendendo dei tizzoni.

Strinsero l’animale su due lati, saltellando avanti e indietro, punzecchiandolo con le loro torce. L’orso ruggiva furioso ma non voleva andarsene dalla caverna. Il controllo che Ahriman esercitava sulla bestia era ferreo.

Capii che eravamo in una posizione di stallo, che poteva sbloccarsi solo quando almeno una vittima umana fosse rimasta sul terreno. Poi un rametto acceso mi sibilò sulla testa e colpì l’orso su una spalla.

— Cacciatelo fuori! — gridò Adena, e capii che era stata lei a lanciare il ramo.

Ma l’orso non era del medesimo avviso. Invece di ritirarsi avanzò verso di me, incurante delle torce che lo colpivano. Si sentiva un tanfo di pelo e di carne bruciata, il manto del povero animale era tutto annerito, eppure l’orso continuava a venire avanti inesorabile.

Fu come un incubo, dove tutto accade con una lentezza esasperante come se il tempo stesse fermandosi, eppure non si riesce a sottrarsi al terrore che ti avvolge soffocante. La torcia che impugnavo sembrava un innocuo fiammifero mentre l’orso mi sovrastava coi suoi due metri e mezzo di altezza, fissandomi con occhi colmi d’odio, ringhiando così forte da coprire le grida dei miei compagni.

Vidi partire il colpo, ma mi ero già spinto troppo indietro e se avessi fatto ancora un passo sarei finito nel fuoco. Sentivo il calore della fiamma che mi strinava già le gambe, e la zampa mostruosa dell’orso calava lentamente su di me. Cercai di schivarla, piegandomi, e per poco non ci riuscii.

La zampa mi centrò la nuca, colpendomi con la forza di un macigno caduto dall’alto. Stramazzai a terra; tutto diventò confuso, e delle macchioline nere mi danzavano davanti agli occhi.

Non so per quanto tempo rimasi intontito, probabilmente solo un paio di secondi. Mi ritrovai disteso sulla schiena, la vista annebbiata. Ma intravidi Adena che si scagliava contro l’animale brandendo due pezzi di legno ardenti.

L’orso l’atterrò, stese altri due, poi si profilò minaccioso su di me. Vidi le sue zanne che si apprestavano ad addentarmi, e non potevo muovermi.

La prima ondata di dolore mi trapassò come una scossa elettrica. Sentii lo scricchiolio delle mie ossa che si spezzavano, mentre l’orso mi mordeva la spalla e mi sollevava violentemente dal pavimento della caverna. Lo colpii debolmente sul muso con la mano libera, e intravidi in modo vago gli altri che continuavano inutilmente a tormentarlo con le torce. L’animale sbatte a terra un altro uomo e uscì nella notte, sotto la pioggia gelida, mentre io penzolavo dalle sue fauci come un pupazzo di pezza.

Attraverso gli occhi appannati dal sangue e dal dolore, scorsi per l’ultima volta la caverna… Adena si era rialzata e stava per inseguire l’orso. Ma Kedar e un altro la fermarono, la bloccarono, e rimasero ad osservare l’orso che mi trascinava via.

L’orso si abbassò sulle zampe anteriori, sotto una pioggia martellante. I lampi si rincorrevano in cielo. L’imboccatura illuminata della caverna divenne un bagliore lontano, una scintilla di calore remota come la stella più remota.

Finalmente, l’orso mi scaricò in una pozzanghera fangosa e si allontanò per leccarsi in pace le ferite. Ero supino, con la pioggia che mi lavava la faccia e il corpo straziato. Il dolore aveva raggiunto lo stadio in cui subentra un intorpidimento generale. Del resto ero troppo sotto shock per tentare di controllarlo. Avevo la spalla destra maciullata, il braccio mi penzolava, attaccato solo a qualche legamento e a brandelli di carne sanguinolenta.

Tossii e rabbrividii. “Dunque è così che Prometeo è stato creato,” pensai delirando. “Il semidio che dà all’umanità il dono del fuoco, per poi essere punito in modo atroce dagli dei. Probabilmente scoppiai a ridere mentre morivo dissanguato. Una fine poco dignitosa per un semidio.

Un altro lampo squarciò l’oscurità, e vidi la forma cupa di Ahriman ritta su di me.

— Ti ho battuto — disse, con la sua solita voce rauca, più simile a un rantolo. Lo udivo a stento mentre il vento continuava a ululare.

— Mi hai ucciso — convenni.

— E anche gli altri sono finiti. Moriranno presto senza le loro armi e i loro generatori di energia.

— No. Vivranno. Gli ho insegnato a sopravvivere. Hanno il fuoco. Conquisteranno questo mondo e popoleranno la Terra.

Nell’oscurità non potevo vedere la sua espressione, ma percepii la rabbia e l’odio che emanavano i suoi occhi.

— Dovrò colpire altrove, allora — borbottò Ahriman. — Dovrò trovare i punti deboli nella struttura del continuum…

Con uno sforzo immane, scossi la testa nel fango. La mia voce era sempre più debole; ogni respiro era sempre più arduo, doloroso.

— Ahriman… è inutile — ansimai. — Ogni volta che provi… ci sono lì io… a fermarti.

Restò a lungo in silenzio, incombendo su di me come un destino funesto. Infine disse: — Allora torneremo proprio all’inizio. Ti ucciderò per sempre, Orion. E con te, ucciderò Ormazd.

Avrei voluto ridergli in faccia, dirgli che era uno sciocco. Non ne avevo più la forza, però. Potevo solo restare steso nel fango mentre il sangue e la vita fluivano dal mio corpo.

Ahriman levò le braccia verso il cielo notturno tempestoso, piegò il capo all’indietro, e lanciò un urlo raccapricciante, come un animale che ululasse alla luna. Gridò due, tre volte, le dita tozze tese verso le nubi nere che nascondevano le stelle.

I lampi cominciarono a guizzare tra quelle nubi, poi crivellarono il terreno attorno a noi. Mentre osservavo ad occhi spalancati, i fulmini continuarono a cadere sfrigolando a pochi metri, restando sospesi nell’aria che crepitava, chiudendoci in una gabbia di elettricità.

Il terreno zuppo di pioggia gorgogliava. Si sentiva un odore acuto e dolciastro di ozono.

Ahriman si stagliava su quello sfondo azzurrognolo, le braccia ancora tese, lanciando urla che si fondevano col crepitare delle scariche elettriche.