Poi un lampo tremendo spaccò il mondo, avvolgendo Ahriman, trasformandolo in un demone ardente di energia pura, riversandosi su di me, scorrendo in tutti i nervi del mio corpo finché in tutto l’universo non ci fu altro che dolore.
E poi, l’oscurità.
PARTE QUINTA
Il ciclo dell’eternità
42
Non persi mai conoscenza. Non provavo nulla, sembrava che il mio corpo fosse diventato completamente insensibile, come se fosse stato racchiuso in un bozzolo trasparente che mi teneva immobile e mi proteggeva perfettamente da qualsiasi cosa esterna. Né caldo ne freddo, né dolore né piacere, né gioia né paura… nulla penetrava nel rivestimento che mi copriva.
Però, vedevo. La notte tempestosa e il paesaggio dell’Era Glaciale tremolarono e lentamente si dissolsero, come un castello di sabbia spazzato via dalla marea. Accanto a me c’era Ahriman, tuttora rinchiuso nel luccichio azzurrognolo di energia del fulmine, immobile come me. I suoi occhi rossi mi fissavano truci, e in quegli occhi si leggeva la paura, oltre all’odio e alla rabbia, al desiderio di lottare.
Gradualmente, l’oscurità si infittì sempre più, finché la vista diventò un senso inutile. Non vedevo più nulla. Ero solo in un abisso di oscurità, sospeso nel tempo e nello spazio, senza sapere dove mi trovassi né dove fossi diretto.
Stranamente, non avevo paura… non provavo neppure un po’ di apprensione. Anche se non potevo vederlo, sapevo che Ahriman era accanto a me. Sapevo che Adena e il suo drappello di soldati superstiti sarebbero sopravvissuti al freddo dell’Era Glaciale e avrebbero parlato ai loro figli del semidio che gli aveva insegnato ad accendere il fuoco. Ora mi rendevo conto che il clan di cacciatori di Dal e tutti gli altri esseri umani di ogni epoca erano i discendenti di quei pochi soldati, persi e abbandonati dopo l’ultima battaglia della Guerra.
E sapevo che Ormazd era vicino. E con lui ci sarebbe stata la dea che amavo quando si degnava di assumere forma umana.
L’oscurità cominciò a diradarsi. Deboli scintille luminose, simili a stelle nel cielo notturno, cominciarono ad apparire. Poi, come in un’alba lenta e riluttante, il nero attorno a me si attenuò, divenne un grigio perla, una tinta rosata più tenue.
Lentamente, la luce e il calore fluirono su di me, sciogliendo il bozzolo che mi imprigionava. Potevo piegare le dita, muovere le braccia. Gradualmente tutti gli altri blocchi fisici svanirono. Adesso potevo muovermi e percepire di nuovo.
Ma Ahriman rimase intrappolato in una ragnatela invisibile di energia, paralizzato, fissandomi minaccioso. Avrei dovuto essere contento; invece provai qualcosa di molto simile alla pietà.
— Non posso farci nulla — dissi, anche se sapevo che non poteva sentirmi. Mi strinsi nelle spalle in modo eloquente, perché capisse che mi trovavo in una situazione di impotenza. Il suo sguardo maligno restò fisso su di me.
Mi girai per esaminare il luogo in cui ci trovavamo. Era una distesa smisurata di nuvole. Non una collina, non un albero, non uno stelo d’erba… non c’era nemmeno un orizzonte, nel senso abituale della parola; solo nubi bianche panciute che scorrevano lente, ininterrotte.
I miei piedi sembravano posati su qualcosa di solido; eppure quando guardai in giù non vidi altro che impalpabili riccioli candidi. In alto, il cielo era limpido, e allo zenit l’azzurro era abbastanza scuro da rivelare alcune stelle.
Ricordavo di avere attraversato in aereo paesaggi celesti come quello, dove non si vedeva alcuna traccia della superficie terrestre, dove sotto di sé si scorgeva solo la sommità di uno spesso tappeto di nubi di un candore abbacinante.
Sorrisi tra me. — Dunque questo è il paradiso, eh? — Portando le mani unite alla bocca, gridai a squarciagola: — Non ci credo, Ormazd! Dovrai escogitare qualcosa di più convincente!
Tornai a guardare Ahriman. Era sempre immobile come una statua di odio implacabile, unico punto di riferimento concreto in quel mondo fantastico.
Qualcosa attirò il mio sguardo verso lo zenit, dove occhieggiavano quelle stelle sparse. Una sembrava brillare più intensamente delle altre… sfolgorava, luccicava, e si ingrandiva sempre più. Divenne una bolla di luce in espansione, e a un certo punto dovetti coprirmi gli occhi con un braccio per non rimanere accecato.
Lo sfolgorio diminuì, e quando alzai di nuovo lo sguardo vidi la forma umana di Ormazd, splendente nella sua uniforme d’oro, il viso sorridente incorniciato dalla sua folta chioma dorata.
— Bravo, Orion — mi disse raggiante. — Ci sei riuscito, finalmente.
A quelle parole provai un senso di incredibile soddisfazione, il tipo di emozione che deve provare un cucciolo quando il padrone gli accarezza la testa. Eppure, nel mio intimo, si annidava anche del risentimento.
— Il mio compito era quello di uccidere Ahriman — dissi.
Ormazd mi tranquillizzò con un cenno sicuro della mano. — Non importa. È come se fosse morto. Non può più nuocerci, adesso.
— Allora… il mio incarico è terminato?
— Sì. Terminato.
— Che ne sarà di me, adesso? E di lui!
Il sorriso splendente e compiaciuto di Ormazd svanì. — Lui rimarrà qui, in questa stasi, fuori dal flusso del continuum. Non può più danneggiarci, ora. Il continuum è salvo, finalmente.
— E io?
Ormazd parve leggermente perplesso. — Il tuo compito è terminato, Orion. Che devo farne, di te?
Avevo la gola bloccata. Non riuscivo a parlare.
— Cosa vuoi? — mi chiese Ormazd. — Che ricompensa posso darti per il tuo fedele servizio?
Stava giocando con me, lo capivo benissimo. E non trovavo il coraggio per dirgli che volevo Aretha, Agla, Ava, Adena… la dea dagli occhi grigi. D’un tratto mi chiesi se anche lei avesse fatto parte del piano di Ormazd, come stimolo capace di farmi sopportare la sofferenza della morte nella mia caccia ad Ahriman, come premio irraggiungibile per attirarmi attraverso lo spazio-tempo verso l’obiettivo di Ormazd.
— Be’, Orion? — disse Ormazd, sorridendo. — Cos’è che desideri?
— Lei è… esiste davvero?
— Chi? — Il sorriso di Ormazd divenne un sogghigno felino. — Chi, esiste davvero?
— La donna… quella che si chiamava Adena quando guidava una squadra dei tuoi soldati nella Guerra.
— Adena esiste, certo. È reale quanto te. E umana.
— Ava… Agla…
— Esistono tutte. Nel loro tempo. Sono tutte esseri umani, che vivono la loro vita in epoche diverse.
— Allora lei non è…
L’aria accanto a Ormazd cominciò a ondeggiare, come se un potente raggio termico fosse stato acceso. Tremolava e scintillava. Ormazd arretrò d’un passo, e l’aria si solidificò, assunse riflessi argentei che si mutarono poi in una splendida donna, alta, slanciata, vestita di metallo lucente.
— Smettila di giocare con lui, Ormazd — disse severa la donna. Poi mi guardò, e i nostri occhi si incontrarono. — Esisto, Orion. Sono reale.
Il respiro mi si bloccò nei polmoni. Ammutolii.
Ma Ormazd non era affatto muto. — È questa che intendi? Ti sei innamorato di una dea, Orion? — E rise.
— Trovi ridicolo che la tua creatura debba amarmi? — disse lei, seccamente. — Allora chissà come sarà divertente sapere che io l’amo.
Ormazd scosse il capo. — Impossibile.
— Davvero?
Finalmente ritrovai la voce. — Il tuo nome… qual è il tuo vero nome?
Il suo tono si addolcì. — Io sono tutte quelle donne che hai conosciuto nelle varie epoche. Qui, mi chiamo Anya.
— Anya.
— Sì — disse. — E nonostante lo scherno del tuo creatore, ti amo davvero.
— Anch’io, Anya.