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Ahriman mi guardò, dal suo posto tra gli anziani. Io sedevo con Tohon a una decina di metri di distanza lungo il semicerchio di gente attorno al falò.

Il calore delle fiamme mi arrivava in faccia, e cominciai a sudare… ma non era solo per la vicinanza del fuoco.

Durante il pasto continuai a cogliere frammenti di conversazione. Da Ahriman, niente, invece. Eppure, ogni volta che lo guardavo, i suoi occhi erano fissi su di me. L’espressione del suo volto era più che tetra: rifletteva il velo della morte. Aveva deciso, era evidente. Sapeva che non ero pazzo, che gli avevo detto la verità. L’interrogativo adesso era: cosa intendeva fare?

Quando ebbero finito il pasto, tutti si voltarono verso Ahriman, e il mormorio si intensificò. Nella mente, sentii che gli chiedevano un altro canto, che lo supplicavano. Ahriman rimase a lungo col capo chino, come se stesse cercando di evitare le loro richieste. Ma loro chiesero con maggior insistenza, anche se tutto avveniva nel massimo silenzio. Il coro mentale diventò sempre più forte; gli abitanti del villaggio non volevano che se ne andasse senza un’altra esibizione.

Finalmente, Ahriman alzò la testa, e le loro tacite insistenze cessarono di colpo. Ahriman mi guardò, l’aria desolata, poi lentamente, si drizzò in piedi.

I neandertaliani trattennero il respiro ansiosi. Molti di loro non avrebbero più respirato.

Il sottilissimo raggio rosso di un fucile laser guizzò nell’oscurità tra gli alberi oltre il capo di Ahriman. Ahriman si coprì la faccia con le mani e balzò di lato. Altri colpi di laser partirono dagli alberi, e sentii le urla selvagge dei soldati che attaccavano… Sapiens… vidi le loro corazze bianche che si precipitavano verso la radura.

Sparavano senza mirare, sparavano nel mucchio, squarciando i corpi di uomini, donne e bambini con la stessa facilità di un rasoio affilato che facesse a pezzi una bambola di pezza.

Scoprii che i neandertaliani sapevano urlare. Lanciavano i nostri stessi gemiti animali sotto l’effetto del dolore e del terrore.

I soldati erano solo una dozzina, però erano armati di fucili laser. I neandertaliani si alzarono annaspando e fuggirono in tutte le direzioni, mentre quei raggi roventi li tagliuzzavano. Tohon si tese per prendere la figlia, mentre un soldato girava verso di noi la testa nascosta dal casco e dalla visiera. Il soldato ebbe un attimo di esitazione, senza dubbio per la sorpresa di trovare un suo simile tra i bruti che era venuto a massacrare. Io ero a mani vuote, e soprattutto anche la mia mente era vuota. Non sapevo cosa fare.

Tohon comincio a correre con Yoki tra le braccia. Il soldato fece fuoco. I loro corpi stramazzarono al suolo, schizzando sangue.

— No! — urlai. — Basta! — Agitai le braccia e corsi verso il soldato sbraitando come un ossesso. L’uomo cercò di scansarsi per prendere di mira Huyana, immobile paralizzata accanto ai cadaveri del marito e della figlia. Afferrai il fucile e mentre lui cercava di strapparmelo di mano Tunu gli balzò addosso e lo atterrò.

Recuperai il fucile mentre Tunu, gli occhi sbarrati e accesi di un odio senza precedenti, prese un sasso e lo calò sul casco del soldato. La plastica si scheggiò si spaccò sotto i colpi ripetuti di Tunu. Dalla visiera sfondata colò del sangue, e il soldato si irrigidì.

Mi girai e vidi la strage fatta dai soldati. Neandertaliani stesi a terra dappertutto in pose grottesche; i superstiti cercavano di mettersi in salvo nell’oscurità della foresta. Il falò ardeva traendo riflessi dalle corazze bianche dei soldati. Impugnai il fucile, piegando il dito attorno al grilletto.

Ma non riuscii a sparare. Non potevo sparare a quei soldati. Dietro quelle visiere opache avrebbero potuto esserci Marek o Lissa o perfino Adena. Non potevo ucciderli, nemmeno per salvare i neandertaliani indifesi.

Ma erano davvero indifesi? Un soldato era a terra, e un paio di cani inferociti lo stavano dilaniando a morsi. Ahriman aveva abbrancato un altro soldato da dietro, bloccandogli le braccia, mentre un neandertaliano toglieva il casco all’aggressore e lo strangolava. Poi Ahriman raccolse l’arma della vittima e cominciò a sparare.

I Sapiens si sparsero nell’oscurità tra gli alberi e scomparvero con la stessa rapidità con cui erano arrivati. Per alcuni interminabili minuti, restammo immobili, ansimando di paura e di rabbia. Contai trentotto morti; il sangue inzuppava il terreno. Gettando il fucile, mi chinai e sfilai il casco al soldato che giaceva esanime ai miei piedi. Una donna… lunghi capelli biondi macchiati di sangue.

Tunu si inginocchiò accanto al cadavere, e la sua mente lanciò un gemito agghiacciante di dolore. Non riuscivo a vedere Huyana; poi d’un tratto riconobbi il suo corpo, tagliato di netto da un laser, ai bordi della radura.

Ahriman attraversò la distesa di cadaveri, il fucile in mano, e si fermò di fronte a me. I suoi occhi erano rossi di sofferenza.

— La tua gente, Orion — mi disse. — Perché?

Non c’era nulla che potessi dire, nulla che potessi fare. Mi voltai, distolsi lo sguardo da quel carnaio, e cominciai ad addentrarmi nell’oscurità della foresta.

47

La notte mi inghiottì. A ogni passo avevo sempre più freddo, dentro di me rabbrividivo di raccapriccio. Il silenzio era assoluto… non un grido di civetta, non un grillo che frinisse.

Non so per quanto tempo camminai, solo, senza meta. Non potevo tornare al villaggio, sentirmi addosso gli sguardi accusatori dei neandertaliani. Non sopportavo l’idea di vedere Ahriman, di assistere alla nascita del suo odio, di osservarlo mentre imparava a uccidere, a fare della vendetta la sua unica ragione di vita.

Pensai che fosse l’alba, quando vidi un chiarore dinanzi a me. Ma mentre avanzavo, roso dal rimorso, vidi che gli alberi stavano svanendo, stavano letteralmente scomparendo, e che quella luce era un riflesso dorato che rischiarava una distesa piatta, indefinita, che si perdeva in tutte le direzioni. In lontananza, scorsi una figura solitaria, eretta, che mi aspettava, vestita d’argento. Era Anya, capii. Continuai a incamminarmi senza affrettare il passo, volevo rimandare il più possibile quell’ultimo atto decisivo.

E mentre proseguivo, vidi un’altra figura, cupa, accigliata: Ahriman, tuttora bloccato nella sua prigione di energia, gli occhi che mi lanciavano lampi di furia. Sembrava molto più vecchio dell’Ahriman che avevo appena conosciuto.

L’odio e il dolore l’avevano segnato più profondamente del tempo stesso.

Poi scrutai il volto di Anya. Vidi la tristezza di tutta l’eternità nei suoi occhi luminosissimi.

— Adesso sai — mi disse.

Annuii. — So tutto, tranne la cosa più importante… Perché?

— Questo devi chiederlo solo a Ormazd.

— Dov’è?

Anya si strinse nelle spalle, e abbozzò un sorriso spento. — È qui… Ci vede e ci sente.

— Ma si vergogna troppo per farsi vedere, vero?

Anya parve stupita. — Vergognarsi? Lui?

Alzai il capo verso l’informe volta dorata che ci sovrastava. — Fatti vedere, Ormazd! È il momento della resa dei conti. Mostra la tua faccia, assassino!

Il vuoto sembrò solidificarsi, contrarsi in una bolla dorata, in una sfera radiosa che scese verso di noi.

— Sono qui — disse una voce dall’interno della sfera.

— In forma umana — pretesi. — Voglio vedere una faccia. Voglio guardare la tua espressione!

— Ti prendi troppe libertà, Orion — ribatté la sfera.

— Ti ho servito bene. Merito un po’ di considerazione.

La sfera tremolò e svanì, e di fronte a noi apparve l’alta figura scintillante di Ormazd. Sorrideva, in parte divertito, in parte per mostrare la propria tolleranza verso l’insolenza di una creatura inferiore.