— Siamo diventati dei?
— Vi siete evoluti in creature come noi — disse Anya. — Creature di pura energia, capaci di controllare e influenzare tale energia per assumere qualsiasi forma. Creature che capiscono i meccanismi più profondi del continuum, capaci di viaggiare nel tempo e nello spazio con la stessa facilità con cui tu attraversi una foresta.
Mi voltai verso Ormazd. — Siamo diventati voi.
Ormazd ci fissò accigliato.
— Noi vi abbiamo creati! — urlai.
— Ora capisci la decisione di Ormazd di distruggere i neandertaliani. Se fossero vissuti, se voi umani non foste stati creati, noi stessi non saremmo mai esistiti.
— Però esistete!
— Sì, e siamo soggetti alle stesse leggi inesorabili che regolano il continuum. Ormazd non poteva fare diversamente, altrimenti questo continuum, questo universo, sarebbe crollato, sarebbe finito.
Vedevano tutti e due la confusione che mi sconvolgeva la mente. Passato e futuro, vita e morte… tutto un unico grande vortice folle, l’universo che ruotava impazzito, galassie che si formavano come mulinelli in un torrente, generando stelle e pianeti e creature che lottavano e morivano…
— È la verità, Orion — risuonò la voce calma di Anya.
— Avrai capito che era necessario — disse Ormazd.
— I neandertaliani dovevano morire perché noi potessimo vivere, ed evolverci, diventare voi.
Ormazd annuì cupo. — Non è andata secondo i miei piani originari, ma tutto si è risolto in modo soddisfacente.
Non potevo guardare Ahriman… non ora. Chiesi invece a Ormazd: — E che ne sarà di me?
La sua espressione si illuminò. Per poco non mi sorrise, come un creatore benigno e generoso. — Ti concederò il dono della vita. Un periodo di vita umana ricco e pieno in un’era di tua scelta.
— E poi la morte.
Ormazd inarcò le sopracciglia. — Se scegli l’era giusta, constaterai che la vita umana può essere davvero lunga. Secoli interi.
— E tu? — chiesi ad Anya.
Prima che lei potesse rispondere, Ormazd disse: — Ci siamo evoluti dal genere umano. Ma non siamo umani, come tu non sei una scimmia ominide.
— Dunque dovrei vivere sulla Terra senza di te — le dissi.
— Posso darti più di una vita — intervenne ancora Ormazd. — Potrai vivere per migliaia d’anni, se lo desideri.
Il mio cuore stava sprofondando come un sasso in una fossa oceanica. — Una vita o molte… senza di te, Anya, che senso avrebbe?
Lei fece un passo verso di me, tese la mano.
Ma io mi voltai a guardare ancora Ahriman, furente nella sua prigione eterna. — E dire che ho contribuito allo sterminio della sua razza, che l’ho attirato in questo inferno… Per cosa?
— Hai salvato la tua razza — disse Ormazd con soddisfazione.
— Ho salvato te, e la tua razza. — Rivolgendomi ad Anya chiesi: — Liberalo! Usa i tuoi poteri e liberalo.
Lei mi fissò allibita.
— Cosa stai dicendo? — strillò Ormazd.
— Libera Ahriman — ripetei. — Uccidimi se non ti servo più, ma restituiscigli la vita, la sua gente.
— Mai! — esclamò Ormazd.
Ma io stavo supplicando Anya. — Anche se questo significherà la fine di tutto, fallo! Liberalo! Lascia che lui e la sua gente vivano la loro vita sulla Terra.
— Sarebbe la distruzione totale per noi! — ringhiò Ormazd. — Non lo permetterò!
— Se non possiamo vivere insieme — dissi ad Anya — allora moriamo insieme.
I suoi occhi grigi mi penetrarono nell’anima. Guardò Ormazd, poi Ahriman.
— No! Non farlo! — gridò Ormazd. — La telepatia… Adesso lui sa tutto quello che sappiamo noi. Ha letto nelle nostre menti, ha assorbito la nostra conoscenza del continuum!
— Sì. È vero — annuì Anya.
— La userà per spaccare il continuum! — La voce di Ormazd era stridula, isterica. La sua immagine tremolava, ondeggiava.
— Orion ha ragione — replicò Anya, calma, imperturbabile, quasi stesse discutendo di astratte questioni filosofiche. — La gente di Ahriman ha il diritto di vivere la propria vita sulla Terra. Noi siamo esistiti abbastanza.
— Non te lo permetterò! — mugghiò Ormazd. Divenne nuovamente un globo scintillante di luce dorata, ma Anya conservò la sua forma umana e tese le mani verso Ahriman.
Un lampo accecante esplose. Sentii il ruggito della voce di Ormazd, mentre chiudevo gli occhi e la carne mi si scioglieva per il tremendo flusso di energia liberata. Il calore mi bruciò le palpebre, mi fece evaporare gli occhi, mi penetrò così profondamente nel cervello che percepii solo quella luce fiammeggiante… poi gli atomi del mio corpo esplosero in tante piogge infinitesimali di energia.
Senza occhi, senza corpo, mi accorsi che il continuum stava sgretolandosi, che tutta la materia e l’energia dell’intero universo si riversava in un oscuro, titanico vortice spazio-temporale, un buco nero multidimensionale che risucchiava pianeti, stelle, galassie, che smembrava ogni cosa in un immane olocausto primordiale.
Poi tutto esplose nell’immenso spasmo silenzioso di una nuova creazione.
EPILOGO
Non sono un superuomo.
Certo, ho delle capacità che vanno molto al di là di quelle di una persona normale, però sono un umano e mortale come qualsiasi altro abitante della Terra.
E sono un uomo solo. Sono solo da una vita, e ho la mente annebbiata da strani sogni, e quando sono sveglio ho dei vaghi ricordi di altre vite, altre esistenze, ricordi tanto fantastici che non possono essere altro che fenomeni di compensazione di un subconscio chiuso e solitario.
Come quasi ogni giorno, pranzai tardi, di pomeriggio, e lasciai l’ufficio per raggiungere lo stesso piccolo ristorante dove mangiavo quasi sempre. Solo. Sedetti al solito tavolo, sbocconcellando il cibo e pensando alla grande solitudine che caratterizzava la mia vita.
Per caso alzai lo sguardo verso l’ingresso del locale, e fu allora che la vidi entrare… bella da non credere, alta e aggraziata, capelli neri come la notte e splendidi occhi grigi che racchiudevano l’eternità.
— Anya — sussurrai, anche se non sapevo assolutamente chi fosse. Eppure nel mio inconscio qualcosa sussultò di gioia, come se la conoscessi da secoli.
Sembrava che anche lei mi conoscesse. Sorridendo, venne dritta al mio tavolo. Mi alzai, euforico e confuso nello stesso tempo.
— Orion. — Mi tese la mano.
La presi e mi piegai a baciargliela. Poi scostai una sedia e la feci accomodare. Il cameriere si avvicinò e lei ordinò un bicchiere di vino rosso.
— Mi sembra di conoscerti da una vita — le dissi quando il cameriere se ne fu andato.
— Da molte vite — mi corresse lei, la voce bassa e melodiosa. — Non ricordi?
Chiusi gli occhi, concentrandomi, e un’ondata di ricordi mi assalì così all’improvviso da mozzarmi il respiro. Vidi un grande globo dorato lucente, e la figura tenebrosa di un uomo maligno, una foresta di alberi giganteschi, un deserto arido e desolato, e un mondo di ghiaccio. E lei, quella donna, chiusa in una corazza argentea che brillava nel buio.
— Io… ricordo… la morte — balbettai. — Il mondo, l’universo… lo spazio-tempo sgretolato.
Lei annuì seria. — È rimbalzato in un nuovo ciclo di espansione. Qualcosa che né Ormazd né Ahriman avevano previsto. Il continuum non termina. Ricomincia di nuovo.
— Ormazd — mormorai. — Ahriman. — Quei nomi suscitarono una reazione nella mia mente. Sentii la rabbia che cresceva in me, rabbia mista a paura e rancore. Ma non riuscivo a ricordare chi fossero quei due, né perché provocassero nel mio intimo simili fenomeni emotivi.