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«'Sera a tutti» disse Clete sorridendo. Frank sentì gli occhi che gli bruciavano. Quanto gli mancava quell'uomo. Nella stanza buia, era quasi come se fosse lì con lui.

«Sapete tutti che vengo dal Sud» proseguiva Clete, guardando dritto nella macchina da presa — dritto verso Frank. «Dal Tennessee, per essere precisi. Ma stanotte noi andremo molto più a sud — quasi nel punto più a sud in cui si possa andare senza uscire dai cari vecchi Stati Uniti. Siamo nel Parco Nazionale di Everglades, proprio sulla punta più meridionale della Florida.» Sullo sfondo un airone bianco volò nel cielo rosa, con le lunghe zampe e il collo non molto diversi da quelli di Calhoun. «Siamo venuti quaggiù per vedere qualcosa che voi dal nord non potete vedere.» Indicò con il braccio ossuto e l'inquadratura lo seguì fino a fermarsi su una stella luminosa, proprio sopra l'orizzonte, tra due giunchi.

«Quella lì è Alfa Centauri» disse Clete. «Non sembra niente di speciale, ma è la stella più vicina alla Terra, escluso il Sole. È a circa venticinque trilioni di miglia di distanza — proprio laggiù. Il nostro vicino più prossimo nello spazio.»

Frank premette il pulsante di avanzamento veloce. Il movimento rapido e silenzioso di Clete era interrotto da grafici che mostravano la costellazione del Centauro. Dopo un po' Frank lasciò il pulsante.

«… Ma Alfa Centauri non è soltanto una stella» disse Clete. «In realtà sono tre, tutte molto vicine tra loro. Le chiamiamo Alfa Centauri A, Alfa Centauri B e — come prevedibile — Alfa Centauri C. Noi astronomi siamo tutti poeti.» Il suo viso largo si aprì in un sorriso. «Delle tre Alfa Centauri, C è la più vicina a noi, quindi qualche volta in realtà la chiamiamo Proxima Centauri — come 'in prossimità'. Altra cosa che dovreste tutti sapere di noi astronomi: ci piacciono le parole da cinquanta dollari, perché è l'unico modo in cui molti di noi arrivano a quella cifra.» Rise ancora.

L'immagine passò sul Martedì Grasso a New Orleans, con Clete che camminava di notte lungo una strada. Si fermò a guardare un uomo con un abito vistoso che faceva un gioco di destrezza con tre torce accese. «Naturalmente» disse Clete «quando si hanno tre stelle vicine, le cose si fanno davvero molto interessanti.» L'inquadratura strinse sulle torce e poi uscì dal caminetto nella baita di montagna di Clete — una vista frequente nel programma. Era seduto dietro a una vecchia scrivania di legno. Sullo sfondo c'era una stufa panciuta, e sulla parete rivestita di legno dietro a lui era appeso un fucile da caccia. Sul tavolo c'era una ciotola di frutta.

«A e B sono stelle grandi» disse Clete. Prese un pompelmo dalla fruttiera. «Questo potrebbe essere A — una grossa stella gialla, molto simile al nostro Sole. In effetti A è un po' più grande del nostro Sole, e più luminosa di circa il cinquanta per cento.»

Pescò nella fruttiera e tirò fuori un'arancia. «Ora, questa qui potrebbe essere B — una stella arancione più piccola e più spenta. B è più piccola del nostro Sole del dieci per cento circa, e non ha neanche la metà della luminosità — un po' come mio cugino Beau.» Clete fece l'occhiolino. Rovistò nella fruttiera e trovò una ciliegia. «E C… be', C è solo una piccola stella, una fredda nana color rosso scuro. Così piccola e scura che fino al 1911 nessuno l'aveva mai nemmeno notata.»

«Ora, A e B orbitano una intorno all'altra in questo modo.» Mosse il pompelmo e l'arancia per mostrare come. «Ma la distanza fra di loro non è costante. Noi astronomi abbiamo un'unità di misura per le cose abbastanza vicine tra loro, ed è l'unità astronomica, che è uguale alla distanza tra la Terra e il Sole.» Apparve un diagramma illustrativo.

«Bene, quando Centauri A e Centauri B sono alla massima distanza possibile (distese completamente le braccia tenendo in una mano il pompelmo e nell'altra l'arancia), sono a trentacinque unità astronomiche di distanza. Quasi come tra qui e Urano.»

Si interruppe e sorrise, come se stesse pensando di fare una battuta sul nome del pianeta, ma poi scosse la testa e fece un'espressione del tipo 'lasciamo perdere'.

«Ma quando A e B sono al minimo della distanza» (avvicinò le braccia) «sono a sole undici unità astronomiche — praticamente uno sputo. Ci mettono circa ottant'anni a orbitare l'una intorno all'altra.»

Posò il pompelmo e l'arancia sulla scrivania e prese la ciliegia. «Ora, Centauri C è un bel po' lontana da A e B.» Con il dito diede un colpetto alla ciliegia, che volò dritta fuori da una finestra aperta. È a tredicimila unità astronomiche dalle altre due. Potrebbe non essere nemmeno legata alle altre per gravità, ma se lo fosse, è più che probabile che sarebbero necessari circa un milione di anni per ruotare intorno a loro in quella che quasi sicuramente è un'orbita altamente ellittica…»

Frank mise in pausa e rimase seduto nel buio, a pensare.

26

«La prossima questione di cui dobbiamo occuparci» disse Dale Rice, appoggiato alla spalliera della sua poltrona di pelle, «sono le parti mancanti del corpo.»

C'era qualcosa di diverso dal solito nell'ufficio di Dale. Frank ci mise qualche istante a capire cosa fosse. La sua poltrona era sulla sinistra, mentre quella per i Tosok era a destra; dovevano averle spostate per pulire con l'aspirapolvere il lussuoso tappeto marrone. E in effetti, nella luce del tardo pomeriggio, i segni dell'aspirapolvere erano chiaramente visibili.

Sul tavolo dall'altra parte della stanza c'era l'ultimo puzzle di Dale con i buchi dei pezzi mancanti.

«Mi piacerebbe avere un'idea del perché siano state prese quelle parti» disse Frank.

Dale annuì. Aveva messo delle persone nella lista dei testimoni in merito alte questione, ma non aveva ancora deciso se le avrebbe chiamate tutte a deporre. «La domanda che abbiamo fatto alla nostra giuria ombra è questa» disse. «'Data l'insolita scelta delle parti del corpo mancanti — un occhio, la gola, e l'appendice — siete più propensi a credere che nel delitto sia implicato un alieno?' La risposta, naturalmente, è sì.»

«Allora facciamo bene a parlare della questione delle parti mancanti?» chiese Frank.

«Be', puoi stare sicuro che Linda batterà su quel tasto nella sua arringa conclusiva, perciò…»

Frank rimase in silenzio un istante, a pensare. Improvvisamente si alzò dalla poltrona. «E il caso Simpson?» disse. «Il DNA nel processo Simpson.»

«Che cosa?» disse Dale.

«Be', tu hai detto che la giuria penale ha semplicemente ignorato tutta la questione. Da una parte c'era Robin Cotton che presentava la visione dell'Accusa in merito alla prova del DNA, dall'altra gli esperti della Difesa che presentavano la loro. Hai detto che la giuria ha fondamentalmente alzato le mani dicendo che, diamine, se quegli esperti non riuscivano a capire la verità, non potevano certo farlo loro. E quindi hanno finito con l'ignorare tutta quella serie di prove.»

Dale allargò le braccia, assecondando il profano. «Però Linda non ha presentato niente cui possiamo controbattere, durante il dibattimento dell'Accusa.»

«È vero» disse Frank «ma se fossimo noi a presentare dei testi in conflitto sulla questione? Se facessimo deporre due persone che diano delle interpretazioni reciprocamente contraddittorie, la giuria potrebbe ignorare la prova. Dopo tutto, un umano avrebbe potuto usare lo strumento da taglio dei Tosok; le parti mancanti sono la cosa che indica più di tutto un esecutore alieno — e fare in modo che la giuria le ignori è quanto di meglio possiamo fare.»

Dale aprì la bocca per dire qualcosa, la richiuse, e poi rimase lì seduto, con un'aria accigliata e pensosa.

Il giorno dopo, nell'aula al nono piano del giudice Pringle, Dale Rice si avvicinò al leggio. «La Difesa chiama il dottor James Wills.»

Wills, un bianco sui cinquanta con i capelli castani, era seduto in terza fila e faceva le parole crociate sul New York Times con una stilografica d'argento antica. Rimise il cappuccio alla penna, si alzò e andò a giurare. «James MacDonald Wills» disse. «James scritto normalmente, anche se di solito mi chiamano Jamie, M-A-C-maiuscola-D-O-N-A-L-D, e Wills, W-I-L-L-S.»