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«Frank» disse la poliziotta. «Ho Kelkad al telefono.» Gli passò il cellulare. Lo prese con la mano sinistra, mentre con la destra continuava a premere la cravatta appallottolata.

«Kelkad, che devo fare?» disse Frank. «Hanno sparato ad Hask.»

Kelkad e gli altri Tosok erano in macchine separate, e stavano tornando dal Tribunale Penale. La linea era disturbata. Ci fu una lunga pausa, poi una raffica di parole indistinte in lingua Tosok — ma non era la voce di Kelkad — poi ancora qualcos'altro in Tosok; questa volta era Kelkad. E poi la voce del traduttore. «Descrivi la ferita, e il modo in cui è stata fatta.» Frank realizzò che Kelkad doveva passare continuamente il telefono dal traduttore all'orecchio.

Frank sollevò la mano dal bendaggio. Sebbene la cravatta fosse coperta di sangue Tosok — che si stava cristallizzando come un sottile strato di ghiaccio, invece di coagulare come il sangue umano — il volume totale dell'emorragia sembrava minimo. «È stato colpito da un proiettile di metallo — presumibilmente di piombo. È disteso sulla schiena, respira ancora, ma sembra svenuto. Il proiettile è entrato tra il braccio frontale e la gamba sinistra, circa venti centimetri sotto l'orifizio di respirazione. Non so come si sia mosso dentro il corpo. Stavo facendo pressione sulla ferita, ma sembra che abbia smesso di sanguinare, e il sangue si sta cristallizzando.»

Si sentì un suono da Kelkad, e dei rumori dal traduttore — più i rumori del traffico e una sirena. La macchina su cui si trovava Kelkad si stava precipitando sul posto.

«Probabilmente non gli farai del male se lo giri» disse Kelkad. «Il proiettile ha attraversato il corpo?»

Frank passò il telefono alla poliziotta e afferrò la parte superiore della gamba sinistra di Hask con tutte e due le mani, sentendo lo strano scheletro alieno sotto la pelle, e poi girandolo di novanta gradi. Esaminò il retro della tunica di Hask, ma non trovò alcun foro d'uscita. Guardò la poliziotta. «Gli dica che non ci sono segni di uscita del proiettile.»

Lo fece, e poi rimase un momento ad ascoltare. «Kelkad chiede di confermare che il numero atomico del piombo è ottantadue.»

«Cosa?» disse Frank. «Cristo, non ne ho idea.»

«Dice che il piombo è altamente tossico per i Tosok. Dice che il proiettile dovrà essere rimosso entro un'ora.»

«Dov'è quella dannata ambulanza?» disse Frank.

«Sta arrivando» disse l'altro poliziotto, che li aveva raggiunti. Indicò in lontananza. Si stava avvicinando un furgone bianco con sopra la sirena.

Frank si alzò in piedi. Uno degli altri poliziotti gli si avvicinò. «L'assalitore si chiama Donald Jensen, secondo i documenti. Ho fatto controllare; ha qualche precedente — soprattutto per disturbo della quiete pubblica.»

Frank guardò l'uomo, che ora era in piedi ammanettato, con le mani dietro la schiena. Aveva i lineamenti marcati, i capelli corti e biondi, e indossava una giacca con le toppe sui gomiti. Il lato sinistro del viso si era malamente graffiato quando i poliziotti lo avevano costretto a terra. Aveva dei grandi occhi blu. «Morte a tutti i demoni!» gridò.

L'ambulanza frenò, e ne scesero due uomini robusti. Aprirono immediatamente le porte posteriori e portarono una barella fino ad Hask.

Appena dietro l'ambulanza arrivarono le macchine che portavano gli altri Tosok. Gli sportelli si spalancarono, e i sei alieni arrivarono di corsa, con dei passi giganti. A seguirli, molto indietro, c'erano i poliziotti che dovevano far loro da scorta.

Frank sembrava aspettarsi un linciaggio. «Portatelo via di qui» ordinò ai poliziotti indicando l'uomo biondo. «Portatelo subito via.»

I poliziotti annuirono e spinsero l'assalitore in una macchina. Nel frattempo i due portantini avevano messo l'alieno sulla barella e lo stavano sollevando da terra.

Arrivarono i Tosok. La respirazione attraverso gli orifizi sembrava affannata, e allontanarono tutti le braccia dal corpo, forse per far disperdere il calore. Kelkad e Stant si avvicinarono immediatamente ad Hask e iniziarono a guardare la ferita. Parlarono tra di loro, poi il traduttore di Stant disse: «Non c'è tempo sufficiente per portarlo sull'astronave. I vostri germi non sono un problema per noi, perciò non abbiamo bisogno di un posto particolarmente sterile per lavorare. Ma avremo bisogno di strumenti chirurgici.»

«Lo stiamo portando al Centro medico universitario della Contea di Los Angeles» disse uno degli infermieri. «È un grande ospedale; lì avranno tutto quello che vi serve.»

«Vengo con voi» disse Frank.

Sistemarono il corpo dell'alieno nel retro dell'ambulanza, dove entrarono anche Kelkad e uno degli infermieri. L'altro andò al volante e Frank vicino a lui, nel posto del passeggero. L'ambulanza partì, scortata da una macchina della polizia che portava anche Stant.

«Frank» disse la voce di Kelkad, dal retro dell'ambulanza. Frank si voltò indietro. «Chi è il responsabile, Frank?»

«Lo abbiamo preso» disse Frank. «Mi è sembrato un fanatico religioso. Non preoccuparti, Kelkad. Pagherà per i suoi crimini.»

«Sparare a uno dei nostri potrebbe essere interpretato come un atto di guerra» disse Kelkad.

«Lo so, lo so. Credimi, avrete tutte le scuse possibili, e ti prometto che l'uomo verrà punito.»

«Un fanatico, hai detto?»

«Chiamava Hask demonio — un diavolo, una creatura soprannaturale.»

«Allora il suo avvocato tenterà la difesa dell'infermità mentale.»

I freni dell'ambulanza gracchiarono quando l'autista fece una curva stretta. Frank alzò le spalle. «È possibile.»

«Fate in modo che la mia fiducia in questa cosa che voi chiamate giustizia non sia tradita.»

Proseguirono verso l'ospedale, a sirene spiegate.

27

Frank e Kelkad scesero dall'ambulanza all'accettazione del pronto soccorso. «Di tutto l'equipaggio, la scelta migliore per eseguire l'intervento è Stant, il nostro biochimico.»

Stant era giunto al centro medico in una delle auto della polizia pochi secondi dopo l'arrivo dell'ambulanza. Si stava ancora stropicciando il braccio posteriore, che gli era rimasto schiacciato sul sedile non modificato della macchina, ma il cíuffo si muoveva in avanti in segno di assenso. «Posso fare l'operazione,» disse «ma avrò bisogno di un umano che mi assista — non tanto nelle procedure, quanto nell'attrezzatura.» Guardò la grande folla di medici e infermieri che si era radunata nella sala del pronto soccorso, insieme ai pazienti in gran parte sudamericani e poveri che aspettavano le cure. «C'è qualcuno che vuole aiutarmi?»

«Sì, certamente» disse un nero sulla cinquantina.

«Ne sarei lieto» disse un bianco sui quaranta.

Una terza persona si schiarì la gola. «Mi spiace, ragazzi — il grado dà dei privilegi. Sono Carla Hernandez, chirurgo primario.» Guardò Stant. «Sarei onorata di assisterla.» Hernandez era intorno ai quarantacinque anni, e aveva i capelli grigi raccolti.

«Molto bene. Mettiamoci al lavoro. Avete degli apparecchi per vedere dentro il corpo?»

«Raggi X. Ultrasuoni.»

«I raggi X vanno bene. Dobbiamo vedere a che profondità è il proiettile.»

Hernandez annuì. «Porterò Hask giù in radiologia, poi lo preparo per l'intervento.» Si rivolse al nero che si era offerto volontario pochi istanti prima. «Paul, porta Stant a selezionare gli strumenti chirurgici di cui ha bisogno…»

L'intervento fu veloce. Stant era evidentemente un chirurgo esperto — così esperto che a Frank, guardandolo dalla sala di osservazione, in alto, venne in mente che sarebbe stato ben capace di sezionare Calhoun.

Nonostante l'incisione profonda, c'era poco sangue. Gli altri medici che con Frank stavano guardando sembravano divertiti dal modo in cui Stant operava: teneva il raggio X sugli occhi che aveva dietro con la mano posteriore, usando il bisturi con quella anteriore. Ci vollero circa otto minuti per completare l'estrazione del proiettile; Stant lo tirò fuori con le tenaglie e lo lasciò cadere in un contenitore di acciaio che Hernandez teneva.