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Connie Willis

Racconto d’inverno

«È pronto il testamento?» disse. «Ho bisogno di…»

«Non ti serve nessun testamento,» dissi, posando la mano sulla fronte bollente. «Hai solo la febbre, marito. Non avresti dovuto trattenerti fino a tardi ieri sera, con Mastro Drayton.»

«La febbre?» disse lui. «Si, dev’essere così. Pioveva quando sono tornato a casa, e adesso ho l’impressione che la mia testa debba spaccarsi in due.»

«Ho mandato a chiamare John perché porti una medicina. Sarà qui a momenti.»

«John?» disse lui, alzandosi a metà sul letto. «Mi ero dimenticato del vecchio John. Devo lasciare qualcosa in eredità a quel vecchio. Quando venne a Londra…»

«Parlavo di John Hall, tuo genero,» gli dissi. «Ti porterà un rimedio per la febbre.»

«Devo lasciare qualcosa al vecchio John, così terrà la bocca chiusa.»

«Il vecchio John non ti tradirà,» dissi. Sono dodici inverni che se ne sta zitto, sepolto nella Chiesa della Trinità, e non costituisce un pericolo per nessuno. «E adesso smetti di parlare, e riposati un po’.»

«Gli lascerò qualcosa di bello e risplendente. Quella coppa di argento dorato che ti ho mandato da Londra. Te la ricordi?»

«Sì, me la ricordo,» dissi.

La coppa era arrivata a mezzogiorno, mentre stavo rifacendo il letto di riserva. Avevo già preparato il letto migliore, quello per gli ospiti, se ne avesse portato qualcuno con sé, facendo prendere aria alle tende e mettendo un nuovo materasso di piume, e stavo andando verso la mia camera a occuparmi del letto di riserva quando mia figlia Judith mi avvisò dalle scale che era giunto un cavaliere. Pensai che fosse lui, lasciai il letto ancora da girare e me ne dimenticai. Prima che mi tornasse alla mente era tardo pomeriggio, tutto era pronto e noi indossavamo i nostri abiti nuovi.

«Avrei dovuto cambiare il materasso,» dissi, richiudendo il coperchio della cassapanca. «Questo è tutto schiacciato e pieno di polvere.»

«Vi sciuperete la gonna nuova, madre,» disse Judith, tenendosi ben a distanza. «Che importa se il materasso è a posto o no? Lui non se accorgerà nemmeno, per quanto sarà felice di rivedere la sua famiglia.»

«Ne sarà felice?» disse Susanna. «Quanto a questo, ha aspettato un bel po’ di tempo prima di tornare a casa. Mi domando invece che cosa voglia.» Prese le lenzuola e le ripiegò. Elizabeth si arrampicò sul letto per prendere un cuscino e me lo porse, benché fosse grande due volte lei.

«Forse per rivedere le sue figlie, o sua nipote, e riconciliarsi con tutti noi,» disse Judith. Prese con circospezione il cuscino dalle mani di Elizabeth e dopo averlo posato si spazzolò la gonna. «Farà buio presto.»

«C’è ancora abbastanza luce per rifare il letto,» dissi, allungando le mani per sollevarlo. «Suvvia, aiutatemi a girare il materasso, figlie.» Susanna afferrò un lato, Judith l’altro, entrambe senza troppo entusiasmo.

«Lo giro io,» disse Elizabeth, facendosi piccola per infilarsi fra la parete e il fondo del letto, desiderosa di rendersi utile ma rischiando di spezzarsi le piccole dita.

«Ti dispiacerebbe andare fuori a vedere se stanno arrivando, nipote mia?» le dissi. Elizabeth zampettò giù dal letto, facendo svolazzare l’abitino e i capelli lunghi.

«Mettiti il mantello, Bess,» le gridò dietro Susanna.

«Sì, madre.»

«Questa stanza è sempre stata buia,» disse Judith. «Non so davvero perché l’abbiate scelta per voi, madre. La finestra è in alto e così piccola, e la porta è tanto stretta che non lascia passare la luce. Nostro padre potrebbe non gradire un letto così angusto.»

Magari lo avesse fatto, pensai. Magari l’avesse trovata buia e stretta, e avesse dormito altrove. «Ora,» dissi, e tutte e tre insieme sollevammo il materasso, issandolo al di sopra della base del letto. Polvere e piume volarono per tutta la stanza.

«Oh, guardate il mio corpetto,» esclamò Judith, spazzolandosi le gale sul petto. «Adesso dovremo pulirlo di nuovo. Non poteva farlo il servo?»

«Sta preparando il fuoco,» dissi, spingendo da sotto.

«La cuoca, allora.»

«Sta cucinando. Suvvia, un altro sforzo e ce l’avremo fatta.»

«Non sentite niente?» disse Judith, sgrullandosi la gonna. «Bess, sono arrivati?» gridò.

Attesi, tendendo l’orecchio per sentire il suono di zoccoli di cavallo, ma non udii niente.

Susanna era in piedi accanto al letto, tenendo il lenzuolo di lino. «Voi che ne pensate di questa visita, madre? Non ne avete mai parlato da quando ci è giunta notizia del suo arrivo.»

Che cosa potevo risponderle? Che avevo paura di quel giorno come non ne avevo mai avuta di nessun altro? Il giorno in cui era giunto il messaggio l’avevo preso dalle mani di Susanna e avevo tentato di comprenderne il significato, anche se me lo aveva dovuto leggere lei perché io non avevo mai imparato a leggere. «A mia moglie,» c’era scritto. «Arriverò a Stratford il dodicesimo giorno di dicembre.» Fin da quel giorno avevo conservato il messaggio, cercando di capire che cosa volesse dire, ma non ero riuscita a decifrarne il significato. A mia moglie. Arriverò a Stratford il dodicesimo giorno di dicembre. A mia moglie.

«Ho avuto molto da fare,» dissi. Diedi una bella spinta al materasso e lo lasciai cadere sulla base. «I lavori in vimini per la sala, la cottura del pane, i letti da rifare.»

«Non è venuto per il funerale dei genitori, né per quello di Hamnet, e nemmeno per il mio matrimonio. Perché viene adesso?»

Sprimacciai il materasso, premendone gli angoli in modo che rimanesse liscio e morbido.

«Se la casa fosse troppo piena di ospiti potrete venire da noi in campagna, madre,» disse Susanna. Spiegò il lenzuolo e me lo porse. «O se lui… sarete sempre bene accolta, a casa nostra.»

«Era solo un cittadino di passaggio,» disse Judith rientrando nella stanza. «Pensate che porterà con sé degli amici da Londra?»

«Il suo messaggio diceva che arriverà oggi.» disse Susanna e aprì a ventaglio il lenzuolo, profumato di lavanda, sopra il letto. «Null’altro. Né se lo avrebbe accompagnato qualcuno né perché viene né quanto si tratterrà.»

«Si tratterrà, vedrete,» disse Judith, avvicinandosi per sistemare il lenzuolo sui fianchi del letto. «Spero che i suoi amici siano giovani e belli.»

Si udì un fruscio in cima alle scale. Ci fermammo tutte, piegandoci sopra il letto.

«Bess?» chiamò Susanna.

«No, la mia nipotina è fuori di casa tutta scoperta,» disse Joan, ed entrò scricchiolando. Indossava una gorgiera gialla così alta che sembrava soffocarla. Era la gorgiera che frusciava, o forse la crinolina di cuoio. «Le ho detto che si sarebbe presa la febbre miliaria. Le ho anche detto di mettersi addosso un mantello più pesante ma non mi ha dato ascolto.»

«Ha incominciato a nevicare, cognata?» domandai.

«No, ma non dovrebbe mancare molto.» Si sedette sul letto. «Non vi siete ancora vestita, e mio fratello sta per arrivare?» Allargò la sopraggonna sui due lati in modo da mettere in rilievo la sottoveste di raso. «Avete l’aspetto di una comunissima moglie di provincia.»

«Io sono una comunissima moglie di provincia,» dissi. «Buona sorella, dobbiamo rifare il letto.»

Si alzò in piedi, con la gorgiera che frusciava come se fosse l’insegna di una taverna. «Un freddo benvenuto per vostro marito,» disse. «Il letto sfatto, i bambini trascurati e voi in quell’abito così ordinario.» Si mise a sedere sul coperchio della cassapanca. «Un benvenuto invernale.»

Infilai con forza i cuscini nelle federe. «Dov’è vostro marito, signora?» le chiesi, mentre sistemavo i cuscini sul letto, pressandoli un poco sui lati per farli diventare ben rigonfi.

«È a casa con la febbre,» rispose lei, voltandosi verso Susanna. La gorgiera emise un rumore sinistro. «E il tuo?»

«A visitare un paziente a Shottery,» disse Susanna, sempre gentile. «Sarà qui fra non molto.»