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«Perché hai scelto quell’azzurro sconveniente, Susanna?» disse Joan. «Judith, il tuo colletto è così piccolo che si vede appena.»

«Ma almeno non fa rumore,» replicò Judith.

«Non ti riconoscerà, Judith, per quanto è diventata tagliente la tua lingua. Eri una bambinetta quando è partito. E non riconoscerà neanche voi, buona sorella Anne, con quell’aria così pallida e invecchiata. Lui non avrà questo aspetto, ne sono certa. Ma del resto non è vecchio come voi.»

«No, e nemmeno così occupato,» dissi. Presi la coperta dalla ringhiera e la sistemai sul letto.

«Mi ricordo benissimo quando andò a Londra, Anne. Voi dicevate che non lo avreste mai più rivisto. Adesso che cosa dite?»

«Non è ancora qui, e fra poco sarà buio,» disse Susanna. «Io dico che non viene più.»

«Mi domando che cosa penserà mio fratello delle figlie impertinenti che ha fatto crescere,» disse Joan.

«Non ci ha fatto crescere lui,» disse Susanna, piccata, e Judith esclamò quasi all’unisono: «Almeno non fingiamo di…»

«Non discutiamo,» dissi, mettendomi fra loro e la zia. «Siamo tutte stanche e preoccupate perché si è fatto così tardi. Buona sorella Joan, mi ero dimenticata di dirvelo. Proprio oggi è giunto un dono da lui, una coppa d’oro e d’argento. È sopra il tavolo, nell’atrio.»

«Oro?» disse Joan.

«Sì, e argento. Una grossa coppa per il ponce. Vi accompagno a vederla.»

«Scendiamo, allora,» disse lei alzandosi dalla cassapanca con gran rumore, come una vela gonfiata dal vento. Risollevai il coperchio.

«Sono arrivati!» gridò Elizabeth. Irruppe nella stanza con il cappuccio del mantello a penzoloni dietro la schiena e le guance rosse come mele. «Sono in quattro! A cavallo!»

Joan si portò per un attimo le mani al petto, poi si sistemò la gorgiera. «Che aspetto ha, Bess?» chiese alla bambina. «È molto cambiato?»

Elizabeth le rivolse un’occhiata impaziente. «Non l’ho mai visto prima d’ora. Non so nemmeno qual è dei quattro.»

«Quattro, hai detto?» disse Judith. «Gli altri sono giovani?»

«Te l’ho detto,» replicò Elizabeth, battendo i piedini. «Non so qual è.» Si aggrappò alla manica della madre. «Andiamo!»

Susanna mi tolse una piuma dal cappello. «Madre…?» disse.

Mi alzai in piedi, sempre aggrappandomi al coperchio della cassapanca come se fosse uno scudo. «Il letto non è ancora fatto,» dissi.

«Accidenti, io non permetterò che mio fratello arrivi senza nessuno che lo accoglie,» disse Joan. Sollevò la gonna da terra. «Vado giù da sola.»

«No!» dissi. Lasciai perdere la cassapanca. «Dobbiamo andare tutte insieme.» Presi Elizabeth per la mano e lasciai che mi guidasse lungo le scale davanti alle altre, in modo che Joan non potesse raggiungere la porta prima di me.

«Adesso mi sovviene,» disse lui. «Ho lasciato la coppa a Judith. E a Joan che cosa tocca?»

«I tuoi abiti,» risposi sorridendo. «Hai detto che almeno camminando avrebbe fatto meno rumore.»

«In fede mia, ella è posseduta da strani e numerosi rumori come scricchiolii, tintinnii, mugolii e muggiti…» Mi prese la mano. La sua era asciutta e ruvida come la sua camicia da notte, e calda come il fuoco. «Silenzio. Deve rimanere in silenzio. Avrei dovuto lasciarle qualcos’altro.»

«Il testamento le concede venti sterline all’anno e la casa di Henley Street. Non hai bisogno di comprare il suo silenzio. Non sa nulla.»

«È vero, ma se vedendo il mio cadavere rigido e freddo dovesse rendersi conto all’improvviso?»

«Che cos’è questo parlare di cadaveri?» dissi, ritraendo irritata la mano. Tirai il lenzuolo per coprirlo. «Tu hai solo passato una serata di bisboccia con i tuoi amici, e adesso hai la febbre. Ben presto tornerai a star bene.»

«Stavo già male quando sono tornato,» disse lui. «Come sembra lontano. Tre anni. Ero malato, ma tu mi hai fatto star bene come prima. Ho tanto freddo. È inverno?»

Desiderai che John fosse già lì. «È aprile. È la febbre che ti fa sentire freddo.»

«Era inverno quando sono tornato, ricordi? Una giornata fredda.»

«Sì, una giornata fredda.»

Era rimasto seduto sul suo cavallo. Gli altri erano smontati. Il più anziano e grosso di loro piegato in due, le mani sulle ginocchia come se dovesse riprendere fiato, i due più giovani che si strofinavano le mani per il freddo. Un cane bianco gli correva fra le gambe, abbaiando stupidamente. I giovani avevano barbe a punta e volti ancora più aguzzi, anche se dai loro abiti si capiva che erano dei gentiluomini. Il padrone del cane, se tale era, aveva una gorgiera grossa il doppio di quella di Joan, l’altro un cappuccio marrone con piume rossastre strappate a un gallo da cortile.

«Non avrei dovuto togliervi la piuma dal cappello, madre.» disse Susanna. «Vanno di moda.»

«Oh, guardate.» esclamò Joan uscendo a fatica dalla porta. «Non è cambiato di un capello!»

«Qual è mio nonno?» chiese Elizabeth, la manina sempre stretta alla mia.

Si girarono verso di noi, quello piumato con il volto astuto di una volpe, quello con la gorgiera con un’espressione istupidita. L’uomo piegato in due si raddrizzò con un gemito che attirò l’attenzione del cane. Il farsetto era imbottito e rigonfio, quasi l’uomo volesse apparire largo il doppio della sua circonferenza. «Andiamo, Will, andiamo,» disse voltandosi a guardarlo, sempre in sella al suo cavallo. «Siamo giunti alla casa sbagliata. Queste signore sono troppo giovani e belle per essere la tua famiglia.»

Joan rise, un suono chioccio come il coccodè di una gallina.

«È quello a cavallo?» domandò Elizabeth, stringendomi la mano intorpidita e saltellando su e giù.

«Non mi avevate detto che era di così bell’aspetto, madre,» mi sussurrò all’orecchio Judith.

Prese una cassetta metallica dietro di lui e la porse all’uomo tondeggiante, il quale la passò al signore con le piume e poi protese la mano per aiutarlo a smontare. Scese in modo strano, afferrandosi alla spalla imbottita con una mano, al collo del cavallo con l’altra, per poi issarsi e appoggiarsi sulla gamba sinistra. Fece un passo avanti con andatura rigida, fissandoci.

«Guardate come zoppica!» esclamò Joan.

Non sentivo il vento, anche se agitava il suo mantello corto e i capelli di Elizabeth. «Chi è mio nonno?» tornò a chiedere la bambina, danzando per l’impazienza.

Avrei dovuto risponderle, ma non riuscivo a parlare né a muovermi. Me ne stavo lì immobile come una statua, e lo guardavo. Sembrava più vecchio di me, con i capelli radi in cima alla testa. Non immaginavo che avesse un aspetto così senile. Il suo volto era segnato da rughe che gli conferivano un’aria triste, come se avesse dovuto sopportare troppe raffiche novembrine. Un volto invernale, triste e stanco ma non cattivo, né mai avevo pensato che potesse esserlo.

Il gentiluomo con il ventre rotondo si girò verso di noi e sorrise. «Signore, è un piacere conoscervi,» disse con un vocione allegro che ebbe la meglio anche sul vento. «La strada da Londra è stata molto lunga e io non speravo di incontrare alla fine delle così belle signore. Il mio nome è Michael Drayton. E questi due signori sono Gadshill…» indicò quello con la gorgiera, poi l’altro con la faccia da volpe, «…e Bardolph. Due attori, e io un poeta e un amante delle belle donne.» La sua voce e il suo modo di porgersi erano allegri, ma continuava a spostare nervosamente lo sguardo da me a Joan. «Suvvia, ditemi i vostri nomi e chi di voi è sua moglie e chi le figlie, in modo che io non parli a vanvera.»

«Avanti, madre, parlate e date loro il benvenuto,» disse in un sussurro Judith, dandomi una leggera gomitata, ma io ancora non riuscivo a parlare, né a muovermi o a respirare.

Neanche lui si muoveva, benché Drayton lo tenesse d’occhio. Non riuscivo a leggere sul suo viso. Era sgomento, o contrariato, o solo stanco?