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Entrai nella sala. I due mi fecero un inchino. Volpe stava per dire qualcosa quando giunse Drayton e disse: «Buona signora, ho perso le vostre tracce. Vi aspettavo nella sala.»

«Sarò da voi fra un minuto. Devo finire di sistemare il letto di riserva.»

«No, vi accompagno,» disse lui. «E voi due badate ai cavalli. Nessuno gli ha dato da mangiare.»

Volpe e Collarino si misero i mantelli e uscirono nella neve. Drayton salì le scale appresso a me, sbuffando e continuando a parlare. Io andai nella mia camera e accesi le candele.

Si guardò intorno. «Una grande resa dei conti in una piccola stanza,» disse con voce più dolce del solito. «Gli avevo sconsigliato di venire. Gli ho detto che non era sicuro farsi vedere finché c’era ancora qualcuno vivo che poteva riconoscerlo, ma lui voleva rivedere le figlie. La sorella lo sa?»

«No,» risposi. Misi la coperta sul letto e la sistemai in modo che i bordi ricadessero diritti sui lati, poi disposi i cuscini. «Chi è?»

Lui si sedette sulla cassapanca, le mani poggiate sulle ginocchia robuste. «C’è stato un tempo in cui avrei potuto darvi una risposta,» disse. «Lo conosco da molto.»

«Da prima dell’omicidio?»

«Da prima degli omicidi.»

«Ne hanno uccisi degli altri?» chiesi. «Oltre a mio marito?»

«Solo un altro,» rispose. La sua voce, dabbasso, era stata alta e potente, la voce di un attore, ma adesso era così bassa che la sentivo appena, come se parlasse a se stesso. «Mi avete chiesto chi è. Non lo so, anche se era poco più di un ragazzo quando lo vidi per la prima volta, un furfantello pieno di ambizione e toccato dal genio, ma avventato, orgoglioso, che pensava solo a se stesso.» Si interruppe e si strofinò le mani sulle cosce. «Quel maledetto giorno a Deptford, Walsingham e i suoi scagnozzi uccisero più uomini di quanto credessero. In seguito l’ho incontrato per strada e non lo riconoscevo, era così cambiato. Voglio mostrarvi una cosa,» disse, e si rialzò a fatica. Andò alla cassetta nell’angolo, l’aprì e mi mostrò alcune delle carte che conteneva. «Leggetele,» mi disse.

Io gliele restituii. «Non so leggere.»

«Allora è tutto perduto,» disse. «Pensavo di fare un accordo con voi: la sua vita in cambio di queste opere.»

«Volete comprarmi.»

«Non credo che possiate essere comprata, ma, sì, sarei disposto a comprare anche voi per salvargli la vita. In questi due ultimi inverni è stato molto male. Ha bisogno della vostra protezione. L’aria di Londra è letale per lui, e poi corrono delle voci, anche se non so chi le abbia propalate.»

«I giovani signori che avete portato con voi le hanno sentite.»

«Sì, e aspettano la loro occasione. So che niente può sostituire vostro marito.»

«No,» dissi, pensando a come mi aveva rubato l’onore, e l’argenteria di mia madre, ed era scappato a Londra.

«Anche se rivelerete tutto al mondo non potrete richiamare vostro marito dal mondo dei morti. Non farete che provocare un altro omicidio. Non sto dicendo che la vita di un uomo sia più degna di quella di un altro.» Afferrò le carte e le strinse fra le mani. «No, perdio, lo devo dire! Vostro marito non avrebbe mai potuto scrivere parole come queste. Quest’uomo vale quanto cento uomini, e non permetterò che venga impiccato.»

Rimise le carte dentro la cassetta e richiuse il coperchio. «Torniamo a Londra, e manteniamo il silenzio.»

Elizabeth irruppe nella stanza. «Vieni, nonna, vieni. Facciamo il teatro.»

«Il teatro?» Drayton prese in braccio la bambina. «Signora, lui non ha alcuna vita salvo quella che gli garantirete voi,» disse, e la portò giù per le scale.

«Il decotto lo farà dormire,» affermò John Hall.

Già dormiva, e il sonno gli aveva disteso i lineamenti. «E gli abbasserà la febbre?»

Lui scosse la testa. «Non lo so. Temo che sia il suo cuore, a causarla.»

Infilò la coppa nella borsa che aveva portato con sé. «Vi do questo,» disse, e mi porse un fascio di carte scritte fittamente.

«Che cos’è?»

«Il mio diario. C’è la malattia di vostro marito, la mia cura, e tutti i miei pensieri… Vorrei che lo bruciaste.»

«Perché?»

«Siamo stati amici, in questi tre anni. Abbiamo bevuto birra insieme, e siamo stati seduti a parlare. Un giorno mi ha parlato per caso di un’opera che aveva scritto, la storia triste di un uomo che ha venduto l’anima al demonio. Ne parlava come se avesse dimenticato che ero con lui: come era stata scritta e quando, e dove era ambientata. Non si accorse che lo fissavo con stupore, e dopo un po’ passammo a parlare di altro.»

Richiuse la borsa. «L’opera di cui parlava era di Kit Marlowe, che fu ucciso in una rissa a Deptford molti anni fa.» Riprese le carte e le avvicinò alla fiamma della candela.

«Lo avete detto a Susanna?»

«Non volevo privarla del padre per la seconda volta.» I fogli presero fuoco. Li gettò nel focolare e li guardò ardere.

«La sua unica preoccupazione è l’eredità di Susanna,» dissi, «e di Judith. Mi ha detto di bruciare le sue opere.»

«E quella di Marlowe?» chiese, dividendo con il piede le pagine in fiamme, in modo che bruciassero meglio. «Avete bruciato anche quella?»

Un frammento di carta annerita svolazzò, la scrittura ormai illeggibile. «Sì,» risposi.

«Judith ha detto che faremo il teatro,» disse Elizabeth mentre scendevamo le scale. Si liberò dall’abbraccio di Drayton e corse nella sala.

«Judith?» ripetei e la cercai con lo sguardo. Vicino a lei c’era Volpe, il cappello piumato umido di neve. Se ne stava appoggiato alla parete, e sembrava che non ascoltasse nemmeno. Collarino era acquattato accanto al camino, e si fregava le mani sul fuoco.

«Oh, nonno, fallo, ti prego!» disse Elizabeth, quasi arrampicandosi sulle sue ginocchia. «Non ho mai visto il teatro.»

«Sì, fratello, uno spettacolo teatrale,» incalzò Joan.

Drayton si intromise fra i due. «Siamo troppo pochi per formare una compagnia, signorina Bess,» disse, tirando il nastro di Elizabeth per farla ridere, «e poi è troppo tardi.»

«Solo uno piccolo, nonno?» lo pregò la bambina.

«È molto tardi,» disse lui, guardandomi, «ma avrai il tuo teatro.»

Volpe fece un passo avanti, troppo rapidamente, prendendo Collarino per la manica e facendolo alzare in piedi. «Che cosa faremo, mastro Will?» disse, sorridendo con i suoi denti aguzzi. «La recita dentro la recita?»

«Sì,» affermò Drayton ad alta voce. «Facciamo la compagnia di Bottoni nel Piramo e Tisbe.»

Il sorriso di Volpe si fece più largo. «O la trappola per topi?» Tutti lo fissarono, Judith sorridendo, Volpe con i denti pronti ad azzannare, Mastro Drayton con un’espressione improvvisamente seria. Ma lui non li guardava, e non guardava nemmeno Bess, che gli era salita in grembo. Guardava me.

«D’inverno è più adatta una storia triste,» disse. Si girò verso Collarino. «Facciamo la scena della lettera da Misura. Comincia tu. “Fate giustiziare questo Bernardino…”»

Collarino si mise in posa, le mani protese verso l’alto come per colpire. «Fate giustiziare questo Bernardino stamattina, e portate la sua testa ad Angelo,» declamò con tutta la voce che aveva.

Si interruppe e puntò il dito contro Volpe, il quale non rispose.

«È una vecchia commedia,» dichiarò Drayton. «Non la conoscono. Suvvia, facciamo Bottoni. Io recito la parte dello stupido.»

«Se non la conoscono, allora gliela spiegherò io,» disse Volpe. «La commedia ha per nome Misura per misura. È la storia di un giovane che ha dei problemi con la legge e deve essere impiccato, ma un altro viene ucciso al posto suo.» Indicò Collarino. «Ricomincia.»