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George R. R. Martin

Re della sabbia

Simon Kress viveva da solo in un ranch tra riarse colline rocciose, a cinquanta chilometri dalla città. Così, quando fu chiamato improvvisamente per lavoro, non aveva vicini cui poter comodamente imporre le sue amate bestiole. L’avvoltoio non era un problema: se ne stava appollaiato su una torretta campanaria in disuso e di solito riusciva a cavarsela trovando in qualche modo da sfamarsi. Lo shambler venne semplicemente messo alla porta, e lasciato in balia di se stesso; quel mostriciattolo si sarebbe rimpinzato di lumaconi, piccoli uccelli e rocciaclimber. Invece la grande vasca per i pesci, piena di autentici piranha della Terra, costituiva un problema. Kress alla fine gettò nell’acquario una coscia di bue. I piranha potevano sempre mangiarsi a vicenda, se fosse stato trattenuto più a lungo del previsto. Lo avevano già fatto in passato, e la cosa lo divertiva.

Purtroppo quella volta fu trattenuto molto più a lungo del previsto. Quando finalmente ritornò, tutti i pesci erano morti. E così l’avvoltoio. Lo shambler si era arrampicato sulla torretta e se lo era mangiato. Simon Kress era seccato.

Il giorno dopo volò con il suo aeromobile ad Asgard, a circa duecento chilometri di distanza. Asgard era la città più grande di Baldur, e vantava anche l’astroporto più antico e vasto. Kress amava stupire gli amici con animali insoliti, divertenti e costosi: Asgard era il posto giusto dove acquistarli.

Quella volta, però, ebbe poca fortuna. Animali da Tutti i Mondi aveva chiuso i battenti, t’Etherane il Venditore di Piccoli Animali cercò di rifilargli un altro avvoltoio, e da Acque Straniere non c’era niente di esotico, solo piranha, squali-lucciola e seppie-ragno. Kress li aveva già avuti, voleva qualcosa di nuovo.

Verso sera si trovò a passeggiare lungo Viale dell’Arcobaleno, alla ricerca di negozi che non aveva mai visitato. Essendo vicino all’astroporto, la strada era piena dì importatori: grandi empori con lunghe vetrine appariscenti, dove manufatti alieni rari e costosi troneggiavano su cuscini di feltro sullo sfondo di scuri drappeggi che lasciavano l’interno nel mistero. In mezzo a questi magazzini c’erano negozietti di rigattieri, polverosi tuguri che esponevano cumuli di cianfrusaglie provenienti da altri mondi. Kress cercò in entrambi i tipi di attività commerciali, con pari insoddisfazione.

Poi si imbatté in un negozio che era diverso.

Si trovava vicino all’astroporto. Kress non lo aveva mai visto prima. Occupava un piccolo edificio a un solo piano, tra un bar dell’euforia e un tempio-bordello della Segreta Sorellanza. Verso il fondo, Viale dell’Arcobaleno mostrava segni di degrado.

Il negozio in sé era insolito. Attirava l’attenzione.

Le vetrine erano piene di una specie di nebbia, ora rosso chiaro, ora grigia come la vera nebbia, poi scintillante e dorata. La foschia vorticava, formava mulinelli, illuminata da un vago bagliore proveniente dall’interno. Kress scorse la merce in vetrina: congegni, pezzi d’arte, altri oggetti che non riconosceva, ma non poteva vederli bene. La bruma fluiva morbidamente su di loro, svelando ora una parte ora l’altra, poi nascondendo tutto. L’effetto era intrigante.

Mentre stava guardando, la nebbia cominciò a formare delle lettere. Una parola per volta. Kress si fermò e lesse:

WO.E.OMBRA.IMPORTATORI.MANUFATTI.ARTE.FORMEDIVITA.E.MISC.

La scritta si bloccò. Attraverso la nebbia, Kress vide qualcosa che si muoveva dentro il negozio. Quello e il termine “formedivita” nel messaggio promozionale furono sufficienti. Si gettò la mantella da passeggio sopra la spalla e varcò la soglia.

Una volta dentro, Kress restò disorientato. L’interno appariva spazioso, molto più grande di quanto facesse supporre la facciata relativamente modesta. Era poco illuminato, silenzioso. Il soffitto mostrava un panorama stellare, con tanto di nebulose a spirale, molto buio e realistico, bellissimo. Tutti i banconi luccicavano debolmente, per esporre al meglio la merce che contenevano. I corridoi erano ricoperti da una bassa coltre di nebbia, che in certi punti gli arrivava quasi alle ginocchia e turbinava attorno ai piedi quando camminava.

«Come posso aiutarla?»

Sembrava sorta dalla nebbia. Alta, pallida ed emaciata, indossava una larga tuta da paracadutista grigia e uno strano cappellino portato all’indietro.

«Lei è Wo oppure Ombra?» chiese Kress. «O soltanto una commessa?»

«Jala Wo, per servirla» rispose lei. «Ombra non tratta con i clienti. Non ci sono commesse.»

«Avete una bella attività» esclamò Kress. «Strano che non abbia mai sentito parlare di voi.»

«Abbiamo appena aperto questo negozio su Baldur» rispose la donna. «Però abbiamo numerose succursali in altri mondi. Che cosa le interessa? Forse oggetti artistici? Lei ha l’aria di un collezionista. Abbiamo belle sculture in cristallo di Nor T’alush.»

«No, ho già tutte le sculture di cristallo che desidero» rispose Kress. «Sto cercando un animale domestico.»

«Una formadivita?»

«Sì.»

«Aliena?»

«Ovviamente.»

«Abbiamo disponibile un imitatore. Proviene dal Mondo di Celia. Un piccolo scimmioide, intelligente. Oltre a imparare a parlare, saprà imitare la sua voce, le sue inflessioni, i gesti, perfino le espressioni del viso.»

«Carino» disse Kress «e comune. Due cose che non mi interessano, Wo. Voglio qualcosa di esotico, di insolito, e di non carino. Odio gli animali carini. Attualmente ho uno shambler, importato da Cotho con una spesa non trascurabile. Ogni tanto gli do da mangiare una nidiata di gattini randagi. Ecco qual è il mio concetto di carino. Mi sono spiegato?»

Wo fece un sorriso enigmatico. «Ha mai avuto un animale che la adorasse?»

Kress le rivolse un ampio sorriso. «Sì, talvolta. Ma io non cerco adorazione, Wo. Solo divertimento.»

«Ha frainteso le mie parole» replicò Wo, con lo stesso strano sorriso sulle labbra. «Intendo adorazione in senso letterale.»

«Che cosa sta dicendo?»

«Penso di avere ciò che fa per lei» disse Wo. «Mi segua.»

Gli fece strada tra i banconi rilucenti e imboccò un lungo, nebbioso corridoio sotto l’artificiale chiarore stellare. Attraversarono un muro di foschia e si trovarono in un’altra parte del negozio: si fermarono davanti a una grande vasca di plastica. Un acquario, pensò Kress.

Wo gli fece cenno: lui si avvicinò e vide di essersi sbagliato. Era un terrario. Conteneva un deserto in miniatura, di circa due metri quadrati, di un colore rosso pallido e stinto sotto un’esangue luce rossastra. Rocce di quarzo, granito e basalto. A ogni angolo della vasca, un castello.

Kress batté le palpebre, guardò meglio e si corresse: i castelli erano soltanto tre. Il quarto era cadente, una rovina che si stava sgretolando. Gli altri, invece, erano rozzi ma intatti, vere sculture di pietra e sabbia. Sui loro bastioni e sotto i porticati si arrampicavano creature minuscole. Kress schiacciò la faccia contro la parete di plastica. «Insetti?» chiese.

«No» rispose Wo. «Una formadivita molto più complessa, e più intelligente. Molto più svegli del suo shambler. Sono chiamati re della sabbia.»

«Insetti» ribadì Kress, allontanandosi dalla vasca. «Non m’importa di quanto siano complessi.» Aggrottò le sopracciglia. «E mi faccia la cortesia di non cercare di abbindolarmi con il discorso dell’intelligenza: quei cosi sono troppo piccoli per avere qualcosa di più di un cervello rudimentale.»

«Condividono delle menti-alveare» spiegò Wo. «In questo caso delle menti-castello. In effetti nella vasca al momento ci sono solo tre organismi, il quarto è morto: come vede, il suo castello è caduto.»

Kress si riavvicinò al terrario. «Menti-alveare, dice? Interessante.» Poi si accigliò di nuovo. «Però è solo un formicaio gigante. Speravo in qualcosa di meglio.»