Ma arriverò presto; tu intanto precedimi.
Don aveva chiamato McGavin altre quattro volte senza successo, ma alla fine gli squillò il palmare multiuso. La suoneria ripeteva le cinque note caratteristiche di un vecchio film sorpassato dagli eventi, Incontri ravvicinati del terzo tipo. Don guardò il display: indicava MCGAVIN CODY, il boss in persona, non un generico MCGAVIN ROBOTICS.
— Pronto? — disse Don, aprendo nervosamente la valva del palmare.
— Don! — rispose McGavin. Si trovava in qualche posto rumoroso, per cui era costretto a gridare. — Scusa se ci ho messo tanto a chiamare.
— Nessun problema, signor McGavin. Volevo parlarle di Sarah.
— Me l’hanno detto — gridò lui. — Ho saputo la questione. È davvero terribile, ne sono addolorato. Sarah come sta?
— Fisicamente, bene. Ma questa situazione ci sta facendo a pezzi.
Il tono di McGavin era il più cortese possibile, dato il volume: — Sì, immagino.
— Speravo che potesse parlare lei a quelli di Rejuvenex.
— L’ho già fatto, sono tornato alla carica varie volte. Dicono che non c’è nulla da fare.
— Ma ci deve essere! Hanno sicuramente seguito tutte le procedure standard, ma esisterà un modo per riattivare il Rollback a Sarah. Se lei ci...
Stava per dire: “Se lei ci investisse un po’ di soldi”, ma si interruppe. Non ce n’era neppure bisogno: McGavin si era distratto per parlare a qualcun altro, accanto a lui, coprendo il microfono con un dito. Dopo un po’ tornò in linea: — Ci stanno lavorando, Don. Ho detto loro di non badare a spese, ma sono in un vicolo cieco.
— La loro ipotesi è che sia colpa di un farmaco antitumorale sperimentale.
— Lo so. Ho dato loro un assegno in bianco per procurarsene una dose in qualsiasi modo, o per risintetizzarlo nei loro laboratori. Tuttavia, gli esperti a cui mi sono rivolto sostengono che il danno è irreversibile.
— Devono continuare a cercare. Non devono arrendersi.
— Non molleranno, Don. Credimi, per loro è un brutto colpo: se non trovassero una soluzione, e la notizia si diffondesse, le loro azioni crollerebbero.
— Se riceverà qualunque informazione — disse Don — la prego di farmela pervenire.
— Naturale — rispose McGavin. — È solo che purtroppo...
“Non ci sono speranze realistiche” gli restò nella gola. Era probabile che McGavin avesse visto solo un abstract del lungo referto che Don era riuscito a strappare alla Rejuvenex, ma con le medesime conclusioni: nessuna soluzione per l’immediato futuro.
— Comunque — proseguì il mecenate — se Sarah ha bisogno di qualunque cosa per l’opera di decodifica, o per qualunque altra necessità, sua o tua, fatemelo sapere.
— Ha bisogno di un Rollback.
— Ti capisco, Don. Ascolta, sto per prendere un aereo, ma ci terremo in contatto, okay?
12
Nel 2009, i membri della squadra SETI impegnati nel lavoro di decodifica del primo radiomessaggio alieno avevano creato un newsgroup per condividere i progressi fatti. Si vociferava che anche gli astronomi della Sacra Specola vaticana fossero impegnati 24 ore su 24 nello stesso tentativo; idem al Pentagono. Senza contare centinaia di migliaia di battitori liberi.
Oltre alle sezioni matematiche, il messaggio risultò contenere dei diagrammi elementari: il primo ad accorgersene era stato un ricercatore di Calcutta. Poco dopo, qualcuno a Tokyo dimostrò che molti di quei grafici erano nient’altro che frame per cortometraggi di animazione. I nuovi simboli posti al termine di ogni “cartoon”, presumibilmente, dovevano indicare il concetto illustrato: “crescita”, “attrazione” e così via.
C’erano poi numerose informazioni relative al DNA. Non c’era possibilità di sbagliarsi: era espressa la sua specifica formula chimica. Pareva insomma che anche su Sigma Draconis II ci si riproducesse per via genetica; il che fece immediatamente riesplodere l’antico dibattito sulla panspermia, secondo cui la vita sulla Terra era dovuta a una pioggia casuale di microrganismi dallo spazio. Perciò qualcuno ipotizzò che i Draconiani fossero nostri lontani cugini.
Il messaggio, a seguire, conteneva un “articolo” sui cromosomi. Per scoprirlo ci volle tutta l’abilità di un biologo di Pechino, dato che i cromosomi erano visualizzati come anelli, non come stringhe. Sarah aveva imparato in quell’occasione che i batteri possiedono cromosomi circolari, e che sono sostanzialmente immortali grazie alla capacità di suddividersi all’infinito. Il processo innovativo di spezzare il cerchio, per produrre materiale genetico a forma di laccio, aveva dato origine, almeno sulla Terra, ai telomeri, cioè i cappucci protettivi che si consumano un po’ ogni volta che la cellula si suddivide, conducendo a una morte preprogrammata. Impossibile però dire se i mittenti alieni avessero essi stessi cromosomi ad anello, o se avessero semplicemente descritto il più antico e fondamentale tipo di DNA. Sulla Terra, per biomassa e numero di organismi, la diffusione dei cromosomi circolari supera di vari ordini di grandezza quella dei cromosomi a stringa.
Ricomposto questo pezzo del puzzle, varie persone in simultanea arrivarono alla conclusione che la sequenza successiva di simboli delineava le diverse fasi della vita biologica: separazione dei gameti, concepimento, sviluppo prenatale, nascita, sviluppo extrauterino, maturità sessuale, menopausa, invecchiamento, morte.
Tutti argomenti affascinanti, certo, ma che davano l’impressione di costituire solo un prologo, un corso breve di lingua prima di entrare nel vivo della conversazione. In effetti, a parte la spiazzante dichiarazione che “il bene è molto più grande del male”, per ora non era emerso niente di clamoroso.
Ma il messaggio continuava ancora a lungo. Mancava ancora l’intero CDM, il “corpo”, un caos comunicativo in cui si accavallavano tutti i simboli e i concetti spiegati finora. Ed era qui che nessuno riusciva a raccapezzarsi.
L’illuminazione arrivò una domenica sera. A casa Halifax le domeniche sere erano consacrate a Scarabeo. Don e Sarah sedevano ai lati opposti del tavolo della cucina, una coloratissima plancia girevole che Don aveva regalato alla moglie parecchi Natali prima. A lei in realtà Scarabeo piaceva decisamente meno che a lui, ma giocava per fargli piacere. Dal canto suo, anche Don era molto meno patito del bridge di lei... o meglio, sopportava poco i vicini Julie e Howie Fein; però acconsentiva a sottoporsi a quella tortura una volta a settimana.
Quella sera erano ormai al termine della partita; restavano da usare poco più di una decina di tessere. Come al solito, era in vantaggio Don. Era già riuscito a fare “scarabeo”, cioè utilizzare tutte e sette le lettere a disposizione in un colpo solo, componendo la discutibile parola ADDENTRO su un precedente DE (uno di quei monosillabi che il gioco ammetteva per regolamento, anche se nessuno li usava mai come parole). Don era un mago in quello che lui definiva “scarabeo d’oro”: memorizzava elenchi infiniti di termini obsoleti, senza nemmeno preoccuparsi di saperne il significato. Sarah aveva rinunciato da molto tempo a mettere in dubbio la validità delle parole dubbie: saltavano inevitabilmente fuori dal Dizionario per giocatori di Scarabeo, anche se sul dizionario normale non se ne trovava traccia.
Però restava inaccettabile che, come aveva appena fatto, Don spiattellasse un MUZJIK con tanto di Z e di J allo stesso tempo; e per di più totalizzando punteggio triplo, perché integrava...
Sarah saltò in piedi.
— Bé? — reagì lui. — È una parola validissima.
— Non conta solo che simbolo è, ma in che posizione si trova! — disse lei, fiondandosi verso il soggiorno.
— Come? — fece lui, seguendola.