Выбрать главу

Il Museo radiotelevisivo era piccolo e confinato in un angolo; chiaramente, non faceva parte del progetto originale. Alcuni dei reperti erano più antichi di Don.

Datava a un’epoca anteriore alla sua il programma per bambini Chichimus, e risalivano all’epoca dei genitori This Hour Has Seven Days e Front Page Challenge. Invece era abbastanza anziano da ricordare Wayne and Shuster, sebbene all’epoca fosse troppo giovane per trovarlo divertente. Aveva ricevuto la prima infarinatura di francese grazie alla trasmissione Chez Hélène; aveva trascorso tanti bei momenti in compagnia di Mr Dressup e The Friendly Giant. Don si concesse qualche minuto per contemplare il modellino del castello del gigante amichevole, i pupazzi del gallo Rusty e della giraffa Jerome. Scoprì leggendo la targhetta che i buffi colori di Jerome, violaceo e arancio, erano stati decisi ai tempi della TV in bianco e nero, perché ne risultava un buon contrasto; quando nel 1966 il programma era passato al colore, la pezzatura aveva mantenuto invariato il suo look psichedelico. Un involontario segno dei tempi.

Don aveva dimenticato che di qui era partita anche la carriera di Mister Rogers; ed eccolo là, ora, il tram in miniatura che aveva attraversato la serie Mister Roger’s Neighbourhood.

Al museo non c’era nessun altro visitatore. A dimostrazione del fatto che vivere nel passato non interessa a nessuno.

Sugli schermi andavano in onda delle clip tratte da vecchi spettacoli CBC, alcuni dei quali presenti alla sua memoria, e quasi tutti venerabili. Viceversa, i magazzini dovevano essere zeppi di materiale orrendo come King of Kensington e Rocket Robin Hood. Bé, forse era giusto che alcune cose svanissero per sempre dal ricordo.

Erano esposti anche alcuni apparecchi audio e video, tra cui alcune strumentazioni che lui stesso aveva utilizzato. Scosse la testa. Quale curatore?

Avrebbe dovuto finire nelle vetrinette insieme alle altre anticaglie.

Per quanto, fisicamente, non fosse un rudere. Inoltre all’Expo non era più previsto il padiglione “fenomeni da baraccone” dove, ancora quando lui era bambino, gli imbonitori invitavano la gente a vedere l’uomo-sirena e la donna barbuta.

Uscì dal museo, e dall’edificio. In città avevano sede anche altre reti radiotelevisive, ma c’era da dubitare che Don da loro avrebbe avuto più successo.

Senza contare che la sua passione erano i radiodrammi e i radiodocumentari che non produceva più nessuno tranne la CBC. Per quello che sarebbe importato alle altre aziende, nel suo curriculum poteva anche inserire di aver dipinto le Grotte di Lascaux.

Era arrivato alla Union Station, la fermata proprio al centro della U in cui si snodava il tratto più vecchio della metropolitana. Scese ai tornelli, comprò un biglietto intero (non un ridotto per anziani) e prese la scala mobile verso i treni.

Rimase in attesa sulla banchina al di sotto uno dei grandi orologi sospesi. Arrivò in velocità una metropolitana, spettinandolo con lo spostamento d’aria. Quindi lui...

...Rimase come paralizzato. Le porte si erano aperte con il consueto segnale acustico a ripetizione; la gente scendeva e saliva. Poi il fischio di avviso chiusura porte, e il treno riprese la propria corsa. Don si mise al margine estremo della banchina, restando a osservare il veicolo che si allontanava.

Dall’ultima finestrella lo guardava incuriosito un bambino di cinque o sei anni.

Don ricordò quando, da piccolo, gli piaceva sedersi nella prima vettura per vedere la galleria che sfrecciava verso di lui; ma anche l’ultima vettura doveva offrire un valido spettacolo. Uno stridio, e la metropolitana scomparve, diretta verso nord.

Don abbassò lo sguardo ai binari, poco più di un metro sotto di lui, sotto i suoi piedi quasi aggrappati al margine. Zampettò di corsa un topolino. Don si soffermò a osservare il binario di emergenza e gli avvisi ELETTRICITÁ — PERICOLO coperti di fuliggine.

Non ci volle molto perché arrivasse un altro treno. Prima di entrare nel campo visivo, con i fari proiettò ombre surreali lungo il tunnel. Don percepì le vibrazioni della carrozzeria al suo passargli a pochi centimetri, mentre di nuovo l’aria gli spazzolava i capelli.

Si fermò. Don guardò attraverso la finestra più vicina. Quasi tutti scendevano alla Union, tuttavia qualcuno percorreva la curva fino alla fine.

“La curva...”

Era quello il buon vecchio metodo tradizionale, no? Gli aspiranti suicidi di Toronto facevano così da prima che lui nascesse. Il treno, in quel punto, arrivava a forte velocità da dietro una curva: aspettandolo dalla parte giusta, e saltando al momento opportuno, si poteva...

Dare un taglio a tutto.

Certo, non sarebbe stato carino nei confronti del conducente. Anni fa Don aveva letto sullo “Star” un articolo sul trauma psicologico che questi incidenti provocavano nel personale coinvolto. I conducenti erano spesso costretti a lunghi periodi sabbatici; alcuni erano così terrorizzati dalla possibilità che l’evento si ripetesse, che cambiavano lavoro. In centro città le fermate distavano quarantacinque secondi una dall’altra: tra l’una e l’altra l’uomo ai comandi non aveva neppure il tempo di rilassarsi un po’.

Questo discorso però era valido fintanto che i conducenti erano esseri umani.

Adesso in cabina c’erano dei lucidi meccanoidi, gentile omaggio della McGavin Robotics.

L’ironia della cosa lo stava inducendo in tentazione. Stava...

Stava tremando come una foglia. All’improvviso il suo corpo entrò in azione alla massima velocità.

Si fiondò tra le porte un decimo di secondo prima che si richiudessero. Per tutto il tragitto rimase attaccato a uno dei sostegni. Come un naufrago a un pezzo di scialuppa.

19

Nel 2009 Sarah aveva diviso equamente il tempo tra l’insegnamento dell’astronomia e le discussioni sul questionario draconiano; quasi sempre il dibattito si riverberava nelle conversazioni serali con il marito. Una sera, mentre Carl era da basso a giocare a The Sims 4 ed Emily era andata alla riunione per guide Scout, Sarah gli aveva detto: — Senti questo problema etico che è venuto fuori oggi sul newsgroup di SETI. Alcuni dei nostri ricercatori sostengono di aver compreso quali siano le aspettative degli alieni, con quella loro inchiesta; il che significa che noi potremmo fornire le risposte che loro vogliono sentire, nella speranza che ciò li incoraggi a portare avanti la conversazione. Domanda: ci è lecito mentire per ottenere il nostro scopo? Ossia: quanto è immorale mentire in un sondaggio sui valori morali?

Don le aveva risposto: — I Draconiani sono almeno intelligenti quanto noi, no?

Perciò, se c’è un trucchetto, se ne accorgeranno.

— Questa è esattamente la mia tesi! — s’infervorò Sarah. — Le istruzioni del questionario stabiliscono in modo chiaro che le risposte che invieremo dovranno essere prodotte in modo indipendente e riservato da mille diverse persone.

Precisano inoltre che in futuro potrebbero arrivare altre domande, ma che un’eventuale scorrettezza da parte nostra farà interrompere i contatti.

Personalmente ritengo che gli alieni possiedano una tecnica per capire se tutte le risposte provengono da una persona sola, o da un gruppo di collaboratori. Tipo, qualche analisi statistica della simbologia adottata.