— Cena è pronta tra venti minuti — aggiunse Don.
— Mi faccio una doccia e arrivo — disse Carl, sfilandosi le scarpe fradice senza chinarsi né slacciarle. Senza togliere il giubbotto, corse di sopra a rotta di collo, evitando per un soffio una collisione con il padre.
— Allora? Racconta — chiese lui alla moglie.
Lei salì in soggiorno, si baciarono. — Tanto per cominciare, abbiamo compilato un inventario di tutte le risposte non autorizzate inviate agli alieni... tutte quelle di cui fossimo al corrente, almeno...
— Del genere?
— C’è un gruppo che afferma di essere riuscito a tradurre nei simboli draconiani l’ incipit del Genesi.
— Gesù — disse Don.
— No, lui compare solo più tardi... Nel frattempo, un altro gruppo ha inviato in orbita un’intera enciclopedia dell’arte islamica. Qualcun altro afferma di aver realizzato una lista com tutti i numeri di matricola dei soldati americani uccisi in Iraq. Un altro ha spedito un test di ammissione universitario, con la motivazione:
“Invece di essere noi a preoccuparci su come passare il test alieno, dovrebbero essere loro a sforzarsi di passare uno dei nostri, se proprio ci tengono a entrare nel nostro sistema”.
— Però — fece Don.
— Quanto ai messaggi musicali, ce n’è un’infinità. — Sarah andò a stravaccarsi sul divano. Don le fece segno di sollevare le gambe per permettergli di sedersi accanto a lei. Poi cominciò a massaggiarle i piedi.
— Che dolce — mugolò lei. — Tornando al punto: c’era anche Fraser Gunn, te lo ricordi?, quello contrario all’invio di brani sonori.
— Perché? Per timore di cause intentate dai detentori dei diritti?
— Oh, no, ma sostiene che l’unica merce di scambio tra noi e gli alieni sarà la cultura. E se diamo via subito il nostro meglio... Bach, Beethoven, i Beatles... dopo, ci ritroveremo a mani vuote quando gli alieni diranno : “Okay, e in cambio dei nostri capolavori, voi che offrite?”
Don conosceva fin troppo l’arte di raschiare il fondo del barile della cultura.
Essendo un DVD-dipendente era andato in estasi quando i programmi TV della sua infanzia erano stati resi disponibili in digitale, e si era procurato tutte le raccolte storiche: Thunderbirds, All in the Family, M*A*S*H, Roots, Kolchak — The Night Stalker, oltre naturalmente alla prima serie di Star Trek. Ma l’ultima volta che era andato al “Future Shop” l’unica novità erano i DVD di cose indegne come Sugar Time! , sitcom con Barbi Benton, e The Ropers, un derivato di Three’s Company il cui unico merito era di aver dimostrato che la serie originale non era il peggio. Ci era voluto poco perché gli studios esaurissero le scorte di materiale valido che avevano in magazzino, e cominciassero a rivendersi la spazzatura.
— Bé — disse Don — forse Fraser ha ragione. Voglio dire, SETI dovrebbe servire solo a inviare informazioni, no?
— Per me, Fraser ha completamente ragione. Solo che non possiamo farci niente: la gente spedisce quello che le pare. Si dovrà ribaltare la celebre domanda di Carl Sagan. Non più “Chi parla a nome della Terra?”, ma “Chi non parla a nome della Terra?”.
— Stiamo esportando il nostro prodotto di maggiore successo: lo spam.
Sarah annuì con una smorfia. Come lei ripeteva spesso, SETI era un progetto nato intorno alla metà del XX secolo dal sogno di Morrison e Cocconi, e portava con sé parecchia zavorra dell’epoca. L’idea che i governi, meglio se in cooperazione globale, mantenessero sotto controllo il traffico dei messaggi era un’utopia che rifletteva una situazione in cui i satelliti non erano un prodotto di massa.
Adesso, però, chiunque fosse in grado di assemblare i pezzi poteva costruirsi un radiotelescopio. Pilotate da appositi software per uso domestico, le parabole orbitanti private non avevano difficoltà a rintracciare nei cieli il segnale di Sigma.
A loro volta le singole parabole, poste a enormi distanze l’una dall’altra, potevano essere linkate via Internet e, con l’ulteriore aiuto di programmi che correggevano automaticamente le distorsioni e cancellavano i disturbi, si creavano sistemi satellitari complessi. L’espressione SETI@home aveva finito per assumere un significato molto più ampio e diverso.
Restava vero che, in molti Paesi del mondo, le trasmissioni radio erano sottoposte a precisi vincoli legali; perciò, su sollecitazione di SETI, le autorità si misero in caccia dei singoli e gruppi che diffondevano via etere risposte non autorizzate. Ma, almeno negli Stati Uniti, i cittadini avrebbero quasi sempre vinto la causa appellandosi al Primo emendamento. Per quanto gli impianti fossero potenti, infatti, una trasmissione a banda ristretta indirizzata verso un puntino in cielo non creava nessuna interferenza con le normali onde radio, perciò qualsiasi tentativo di intervento diventava un attentato alla libertà di espressione.
Don sapeva anche che varie organizzazioni religiose, tra cui alcune nuove sette, avevano costruito a terra enormi parabole dedicate. Alcune di esse inviavano un segnale 24 ore su 24, sfruttando il fatto che, a latitudini superiori a 20° N, Sigma Draconis non tramonta mai.
Per chi intendeva mandare agli alieni solo uno o due messaggi (teorie sballate, poesie illeggibili, trattati di politologia) erano a disposizione aziende private che offrivano diversi pacchetti di trasmissione dalle proprie parabole. Una delle più quotate era la Dracon Express, il cui slogan suonava: “Se vuoi che arrivi assolutamente entro 18,8 anni luce”.
Sbucò Emily, nove anni, che arrivava dal seminterrato. — Ciao, scricciolo — la salutò il padre. — Tra poco la cena è pronta. Ti va di preparare la tavola?
Emily fece una faccia molto espressiva. — Devo proprio?
— Eh sì — rispose Don.
Lei emise un sospiro teatrale. — Sempre tutto io!
— Indovinato — disse Don. — E dopo cena, andrai per qualche ora ad arare i campi, poi, quando avrai finito, ti chiedo di spazzare tutte le strade di qui alla Finch Avenue.
— Ma papà! — Sorrise adesso mentre trotterellava verso la cucina.
— Insomma — domandò Don a Sarah, la quale si sforzava di non fare un salto ogni volta che Emily faceva sbattere i piatti uno contro l’altro — avete scovato la soluzione alla domanda sul perché gli alieni ci abbiano proposto un quiz sulla morale?
Lei scosse la testa. — Secondo qualche paranoico, ci stanno facendo fare i compiti. Se non arriveremo al “6”, ci metteranno in castigo. Un collega francese è arrivato al punto di sostenere che i Draconiani stanno facendo controlli di tipo veterinario per stabilire se possediamo la facoltà razionale o se siamo delle mucche; così, quando verranno a mangiarci, sapranno che cos’hanno in frigo.
— Mi pareva che uno degli articoli del credo SETI affermasse che gli alieni si limitano a comunicare a distanza.
— Dev’essere sfuggito ai parigini — disse Sarah. — Qualcun altro ha ipotizzato che la Terra rappresenti solo un’area all’interno di una ricerca più vasta. Poi, con tutti i dati relativi alle specie incontrate, i Draconiani realizzeranno una serie di coloratissimi grafici a torta da pubblicare sulle loro riviste.
Si sentì il trillo di un timer: Don diede una pacca sulle gambe alla moglie; lei lo lasciò alzare per raggiungere la cucina. Don si lavò le mani e aprì il forno. — E la risposta? — gridò verso il soggiorno. — Che avete deciso di fare?
— Mi do una rinfrescata veloce e arrivo! — rispose lei. — Aspettatemi, eh?
Don prese le manopole, quindi tolse dal forno l’arrosto. Lo posò sui fornelli.