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Si diressero all’ingresso laterale, costringendo alla fuga un animaletto, probabilmente un procione. Leonore aprì e gli fece strada giù per una scala.

Don, ricordando la propria vita da studente, si era preparato al casino totale; invece l’appartamento era lindo e pulito, pur con un mobilio scompagnato che doveva provenire da svendite fatte in garage.

— Carino, sul serio — disse. — Mi...

E sulle labbra sentì le labbra di lei. Leonore premeva con la lingua per entrare.

Lui aprì la bocca, e nello stesso istante iniziò l’erezione. Di colpo la mano di lei fu alla cerniera dei pantaloni, e dopo un altro istante... “Ossignore!”... lei era in ginocchio e glielo prendeva in bocca. Pochi, fantastici secondi, poi si rialzò, lo prese per mano e, tirando Don a sé mentre retrocedeva, con un sorriso lascivo, lo portò in camera da letto.

Don aveva paura di venire troppo presto. Quanti anni erano che non riceveva stimoli di quel genere? Lo salvò l’esperienza, mentre lui e Leonore si rotolavano sul materasso, scambiandosi i posti sopra e sotto; quando poi stava per venire sul serio, ci diede dentro per eccitarla il più in fretta possibile. Lei ebbe un orgasmo selvaggio.

— Grazie — gli disse, con un sorriso, mentre giacevano su un fianco, faccia a faccia.

Lui le passò il dito sul profilo della guancia. — E di che?

— Per... bé... avermi aspettata.

Lui sollevò un sopracciglio. — Ovvio.

— Non a tutti importa, sai?

Le luci erano rimaste accese. Completamente nuda, Leonore mostrava una pelle ricoperta di lentiggini dalla testa ai piedi; lui lo trovò delizioso. I peli pubici avevano lo stesso colore ramato dei capelli. Se lei non provava il minimo imbarazzo, a Don, dopo il sesso, veniva spontaneo rifugiarsi sotto le lenzuola; ma lei le teneva in gran parte premute sotto di sé, per cui l’operazione sarebbe risultata troppo complicata e appariscente. Mentre Leonore giocherellava con i peli del suo torace, Don si accorse, con disagio, che lo stava esaminando con occhio clinico.

— Neppure una cicatrice — commentò lei, soprappensiero.

La rigenerazione dermatologica le aveva cancellate tutte. — Mai fatto brutti incontri — rispose.

— Ma stanotte ne hai fatto uno buono, o no? — E gli diede una pacca sul braccio.

Lui sorrise. Era stata un’esperienza semplicemente stratosferica. Tenerezza e ardore, dolcezza ed energia tutto insieme. Forse non coincideva con l’antico desiderio di “andare a letto com una top model”, ma era più che sufficiente, parola!

La mano di lui trovò un capezzolo di lei, e si mise a titillarlo tra indice e pollice.

— “Il pallido busto di Atena...” — mormorò.

Lei spalancò gli occhi. — Sei il primo che conosco, a ricordare un verso del Corvo che non sia il solito “Mai più”. Ne ho fin qui del romanticismo di seconda mano.

Strofinandole delicatamente il seno, lui intonò:

E il corvo non vola via più, resta lì fisso, resta lì fermo. Sul pallido busto di Atena proprio in cima alla porta. E i suoi occhi han tutto l’aspetto di quelli di un demone che sogna. E la lampada gli oscilla di sopra e sul pavimento ne getta l’ombra. E la mia anima, da quell’ombra che sul pavimento tremola così libera non sarà mai. Mai più.

— Wow — mormorò Leonore. — Nessun ragazzo mi aveva mai recitato una poesia.

— A me, nessuna ragazza aveva mai sfidato a Scarabeo.

— A proposito, voglio la rivincita!

— Adesso?!

— Ma no, stupidone. — Gli si acquattò contro. — Domattina.

— Non... non posso fermarmi — disse lui. Lei si irrigidì di colpo. — Ho... ho un cane da portar fuori.

Lei si rilassò. — Ah. Okay.

— Scusami — disse Don, sottinteso “per averti mentito”. Ma lasciò che lei lo interpretasse come: “Per non potermi fermare... Si guardò all’intorno in cerca di un orologio, e quando lo ebbe individuato, gli venne un colpo. — Ascolta, devo proprio andare, giuro.

— Va bene — fece lei, non troppo entusiasta. — Ma mi chiamerai, vero? Ti do il mio numero.

24

Don conservava un bellissimo ricordo del viaggio compiuto con Sarah in Nuova Zelanda nel 1992. L’unico guaio fu che proprio in quell’occasione venne concepito Carl, il che aveva quasi azzerato i loro viaggi per due decenni; o meglio, Sarah si spostava spesso per conferenze, mentre Don restava a casa. Gli era particolarmente dispiaciuto dover rinunciare a una gita a Parigi nel 2003, quando si era tenuto un simposio dallo sciccoso titolo “Codificare l’altruismo. La scienza e l’arte della composiziolle di messaggi interstellari”. In compenso, Don era andato con lei in Portorico nel 2010 per la cerimonia di invio della risposta ufficiale della Terra a Sigma Draconis. I due figli erano stati affidati a suo fratello Billy.

La città di Arecibo si trova a poco più di un’ora a ovest di San Juan; e l’Osservatorio di Arecibo, a sua volta, quindici chilometri a sud della città... anche se sembrava una distanza molto maggiore su per i tornanti di montagna. Secondo l’autista, si trattava di terreni carsici; a sud-ovest dell’osservatorio si aprivano le grotte di Rio Camuy, tra le più spettacolari al mondo. Del resto, l’enorme parabola radiotelescopica era stata costruita là approfittando di inghiottitoi naturali, larghi trecento metri, che sembravano fatti apposta.

Don era rimasto colpito dal fatto che la parabola non fosse in materiale pieno, ma realizzata con asticelle perforate di alluminio, separate da ampi spazi vuoti e tenute insieme da cavi d’acciaio. Al di sotto della struttura, nelle aree in penombra, cresceva un lussureggiante sottobosco di felci, orchidee, begonie. Nei pressi dell’osservatorio, poi, era tutto un brulichio di manguste, lucertole, rospi giganti, chiocciole altrettanto giganti e libellule.

Lui e Sarah erano stati ospitati in una delle “residenze per scienziati ospiti”, un bungalow che si ergeva in cima a una sconnessa collina su dieci palafitte di cemento armato. Il locale era completo di una piccola veranda, perfetta per godersi lo spettacolo dei temporali pomeridiani; cucinino, bagno, telefono. Sotto una delle finestre, con persiane in legno, era piazzato un condizionatore.

Oltre che per comodità pratica, Arecibo era stata scelta anche per motivi simbolici: trentasei anni prima era partito di lì il celeberrimo messaggio SETI di Frank Drake rivolto a M-13. In quel momento, il settantanovenne Drake si trovava di nuovo in sala di controllo, impegnato a monitorare la parabola; mentre Sarah manteneva collegato via cavo al trasmettitore il suo mini-portatile, che conteneva la matrice originale della risposta.

Come concordato, la risposta constava di mille questionari compilati, scelti a caso tra i 1.206.343 pervenuti al sito Internet. Anzi, a dire il vero ne erano stati scelti a caso novecentonovantanove, perché uno era quello di Sarah. Non che lei avesse fatto pressioni in tal senso, però aveva riferito a SETI la proposta di Don e Carl, ed era stata approvata con slancio. Secondo l’istituto, avrebbe offerto agli alieni una prospettiva di grande interesse.

Alla cerimonia vennero distribuiti CD-ROM con duplicati del messaggio da Sigma, ma senza le risposte dei terrestri. I Draconiani stessi avevano richiesto che fossero mantenute segrete, per evitare che i partecipanti subissero a posteriori l’influenza delle opinioni altrui: così, anche gli eventuali questionari successivi sarebbero stati compilati in modo imparziale.