Выбрать главу

La sala di controllo aveva un pavimento rivestito in mattonelle alternate beige e marroni, in diagonale. Quell’ambiente, con la sua consolle di strumentazioni triangolari pesante seicento tonnellate, metteva le vertigini ancora di più della finestra inclinata che dava sulla parabolica. Vi stavano pigiati scienziati, giornalisti e qualche coniuge. Un po’ dappertutto erano posati dei ventilatori, che però non riuscivano a contrastare la calura, per quanto si fosse appena di mattina. Don rimase a fissare Sarah, seduta alla scrivania centrale a forma di L, mentre caricava la risposta sul proprio computer. Lui le aveva suggerito di prepararsi qualche frase storica, ma lei aveva fatto finta di nulla; la cosa importante era che il messaggio venisse lanciato, non che lei giocasse alla soubrette. Quindi, con un banale “molto bene, si va!” Sarah aveva premuto un pulsante, e a video era comparsa la frase TRASMISSIONE IN CORSO...

Grida di esultanza e tappi di champagne che saltavano. Don rimase in un angoletto, tutto felice di contemplare a distanza lo scintillio negli occhi della moglie. Dopo qualche secondo, il brizzolato e corpulento rappresentante dell’Unione astronomica intemazionale aveva chiesto l’attenzione battendo con una penna di lusso su un bicchiere di cristallo.

— Sarah! — disse. — Un piccolo omaggio per te, da parte di noi tutti. — Aprì uno degli armadietti pensili, che rivelò un trofeo: base di marmo, colonna centrale con inserti in seta blu, e in cima una Atena alata proiettata verso le stelle. L’uomo prese l’oggetto e lo tenne un po’ inclinato di fronte a sé, come stesse stimando una grossa bottiglia di vino d’annata. Infine, con voce stentorea, lesse l’iscrizione incisa sulla targa: — A Sarah Halifax. L’idea geniale è stata sua.

Don risalì i gradini che, dall’appartamento di Leonore nel piano interrato, portavano all’uscita. Erano le undici di sera passate, e quello era un quartiere malfamato, ma non era per questo che il suo cuore batteva all’impazzata.

“Che cosa ho fatto!”

Era successo tutto così in fretta... anche se lui era stato un totale ingenuo a non prevedere che cosa stesse architettando la ragazza. Ma, da quando lui aveva avuto davvero venticinque anni, ne erano trascorsi sessanta; e già allora aveva mancato di dieci anni la rivoluzione sessuale. Il sesso libero anni ’60 era arrivato quando lui era ancora troppo giovane; conservava solo un vago, astratto ricordo di quel fenomeno culturale, come per il Vietnam e il Watergate.

Quando, quindicenne, aveva avuto le prime goffe esperienze erotiche (a parte quelle solitarie), già cominciava a circolare la paura delle malattie. In più, una sua compagna di classe delle superiori era rimasta incinta, diffondendo ulteriori inibizioni tra i coetanei. Perciò, anche se all’epoca non si metteva più in dubbio la liceità delle esperienze sessuali (tutti quelli della sua generazione le cercavano; e ben pochi, nei sobborghi piccolo-borghesi di Toronto in cui era cresciuto, ritenevano che fosse peccato averne prima del matrimonio), si trattava comunque di approcci che richiedevano tempi lunghi, pur senza la vera fobia per la gonorrea o le piattole che sarebbe esplosa nel decennio successivo.

Ma, come si dice, “la Storia si ripete”. L’Aids aveva mietuto vittime tra i conoscenti di tutti quelli della generazione di Don, ma adesso era stato debellato, grazie al cielo. Così come erano scomparse gran parte delle altre malattie veneree, o erano comunque facili da curare. In Canada erano disponibili sostanze contraccettive, femminili e maschili, sicure, virtualmente infallibili e reperibili nella farmacia sotto casa. Il che, unito a un generale rilassamento etico, aveva portato a una seconda Era del sesso libero, quale non si vedeva più dagli anni dei Beatles.

Mentre percorreva lo scalcagnato marciapiede, Don si rendeva conto che quelli erano solo tentativi di razionalizzare. Che c’entrava l’immoralità dei giovani moderni? Era un altro pianeta rispetto al suo. Che c’entravano le idee che facevano furore durante la sua giovinezza (e quella di Sarah)? Aveva resistito per sessant’anni senza mai cadere in tentazione, e adesso, tutto d’un tratto, bang!

Svoltato l’angolo tra la Euclid e la Bloox, accese il palmare. — Chiamata per Sarah. — Aveva bisogno di sentire la sua voce.

— Pronto?

— Ciao, amore. Come... com’era lo spettacolo?

— Bello. L’attore che impersonava Tevye non aveva una gran voce, secondo me, ma in generale buono. E le tue alucce di pollo?

— Squisite. Sto andando solo adesso verso la metropolitana.

— Oh, okay. Ma temo che non ce la farò ad aspettarti.

— No, no, infatti. Lasciami solo il pigiama in bagno.

— Va bene. A dopo.

— A dopo. E...

— Sì?

— Ti amo, Sarah.

La voce di lei appariva sorpresa. — Anch’io ti amo.

— Tornerò presto da te.

25

— Ancora non capisco — aveva detto Don nel 2009, dopo che Sarah aveva scoperto che il primo messaggio da Sigma era un sondaggio. — Perché gli alieni sono così interessati alla nostra morale? Che cavolo gliene viene in tasca?

Lui e Sarah stavano facendo una delle loro passeggiate serali. Avevano appena oltrepassato casa Fein. — Il motivo — rispose lei — è che tutte le specie intelligenti prima o poi vanno a sbattere contro gli stessi problemi. E, a meno che non abbiano una mente ad alveare, i singoli individui affrontano quei problemi con diversi approcci psicologici. Di qui i grandi dibattiti.

— Le psicologie devono per forza essere diverse?

— La variabilità è una condizione imprescindibile del processo evolutivo.

Senza la variabilità, la selezione non avrebbe nessun fattore su cui agire; e senza selezione, le specie rimarrebbero a sguazzare nel fango. La psicologia è un tratto come un altro, in un organismo complesso; perciò dovrà diversificarsi in qualunque regione dell’universo. Il che implica che sui problemi fondamentali si abbiano idee differenti.

— Obiezione accolta — disse Don. Si era levata una brezza che gli faceva rimpiangere di non aver messo una camicia a maniche lunghe. — Però non è detto che i problemi fondamentali debbano essere gli stessi per loro e per noi.

Sarah scosse la testa. — Invece, scommetto che loro si trovano di fronte agli stessi dilemmi, perché il progresso scientifico porta sempre nella stessa direzione, con le stesse domande.

Lui diede un calcio a un ciottolo. — Ad esempio?

— Prendiamo l’aborto. E stato il progresso scientifico a farlo diventare una questione di primo piano, fornendo tecniche affidabili per eliminare il feto senza uccidere o danneggiare la madre. Questo ha fatto sorgere la domanda: “Possiamo farlo. Ma è lecito farlo?”.

— Però immaginiamo che quelli di Sigma Draconis siano sul serio dei draghi, nel senso di rettili. Mi rendo conto che è improbabile, e che l’associazione deriva solo dal nome terrestre di quella stella; ma facciamo finta. Per una specie intelligente di rettili, l’aborto non richiederebbe una tecnologia molto avanzata per non danneggiare la madre: basta schiacciare le uova.

— Te lo concedo — disse Sarah, mollando un calcio al ciottolo, che nel frattempo era finito tra i piedi a lei. — Ma questo non sarebbe l’equivalente rettiliano dell’aborto. L’equivalente sarebbe la distruzione delle uova fertilizzate quando ancora si trovano nell’utero.

— Altra obiezione: esistono pesci in cui le femmine depongono in acqua uova non fertilizzate, e i maschi le cospargono di sperma all’esterno del corpo delle madri.