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— Ci giocavo, ma ho smesso ancor prima... — “Che tu nascessi.”

— Sarebbe bello farci una partita una volta o l’altra. Posso procurarti un ingresso-ospiti da Hart House.

— Sarebbe magnifico. — Lo pensava sul serio. La prima volta che aveva avuto venticinque anni, era un tipo molto sedentario; ma adesso adorava la fisicità della vita.

— Ma ti avviso che ti straccerei di brutto. Ho la forza di venti uomini.

Lei sorrise. — Davvero?

— Certo. Chiamami Bjorn Borg.

Lei lo osservò perplessa. Lui ci restò malissimo: Sarah avrebbe capito al volo quella battuta.

Le spiegazioni rendono penoso lo scherzo, ma Don ci fu costretto dalle circostanze. — Era un famoso tennista. Vinse il torneo di Wimbledon per ben cinque volte di fila. Ma Borg è anche... bé, era una specie aliena in una vecchia serie TV dal titolo Star Trek. I Borg hanno la capacità tecnica di aumentare la propria massa fisica, per cui... bé...

— Sei uno stupidone galattico — gli disse lei, illuminandolo con il suo sorriso.

Lui inchiodò sul marciapiede e, per la prima volta, vide Leonore.

Una dottoranda che seguiva il progetto SETI.

Una a cui piaceva mangiare al ristorante, e intanto parlare di filosofia e di politica.

Sicura di sé, frizzante, divertente.

E adesso usava anche gli stessi modi di dire di...

Don se ne accorgeva soltanto adesso. Leonore era la fotocopia di...

Ovvio, fin troppo ovvio.

La fotocopia di Sarah quando aveva la stessa età. Quando lui si era innamorato di lei.

Okay, fisicamente le due erano completamente diverse, e forse per questo a lui finora erano sfuggite tutte le analogie. Leonore era più bassa di Sarah, almeno di Sarah da giovane. E all’epoca Sarah aveva capelli castani, e ancora aveva occhi grigio-azzurri. Leonore aveva il classico look da ragazza irlandese.

Ma per i loro atteggiamenti, lo spirito che le animava, la gioia di vivere, erano come gemelle.

Una giovane coppia stava camminando verso di loro. Lei asiatica, lui anglosassone; l’uomo spingeva un passeggino. Don indossava gli occhiali da sole, per cui osservò spudoratamente la donna mentre passava. Molto graziosa con quei lunghi capelli neri, canotta rossa, pantaloncini rosa.

— Che bella bambina — commentò Leonore.

— Già — disse Don, giocando sull’equivoco.

— A te... a te piacciono i bambini? — Il tono di lei era seducente.

— Sì, molto.

— Anche a me.

A poca distanza c’era una panchina libera, rivolta verso il lago e la città. Don la indicò con un cenno del mento, e andarono a sedersi. Poi lui le mise un braccio intorno alle spalle e rimasero per un po’ a fissare la superficie liquida; un altro battello era in avvicinamento.

— Ti piacerebbe avere dei figli tuoi? — le chiese Don.

— Oh, sì, assolutamente!

— Quando?

Lei gli appoggiò la testa sulla spalla. I capelli, sospinti dalla brezza, gli fustigavano amorevolmente la guancia. — Non saprei, diciamo verso i trent’anni.

Lo so che manca ancora un sacco di tempo, ma...

S’interruppe. Don scosse leggermente la testa: cinque anni sarebbero trascorsi in un soffio, altro che “un sacco di tempo”. Gli sembrava ieri, quando aveva settant’anni... anzi, sessanta. Il tempo vola, e...

E Don si chiese se sarebbe volato anche d’ora in poi. Aveva letto qualche spiegazione scientifica sul perché gli anni trascorrano sempre più veloci con l’età: è che, quando si hanno dieci anni, ogni anno è un dieci per cento della vita, quindi sembra un periodo esteso; ma, a cinquanta anni, è solo il due per cento, quindi sembra un’inezia. Come si sarebbe comportato, in questa seconda giovinezza, il suo senso del tempo? Lui era una delle prime cavie in questo esperimento.

Leonore non aggiunse nulla, rimanendo in silenzio a fissare il lago. Ironia della sorte, era lei a guardare più avanti nel futuro. Lui si portava ancora appresso l’idea che il futuro ormai fosse una porta chiusa; non si era ancora abituato a quell’orologio con le lancette tirate indietro.

Tra cinque anni era probabile che Leonore, con il suo bravo titolo di laurea, sarebbe già stata ben avviata in carriera.

Tra cinque anni, era probabile che Sarah...

Era un pensiero odioso, ma non ci si poteva fare nulla. Nel 2053 Sarah quasi sicuramente non sarebbe più stata al mondo. E lui...

Lui sarebbe rimasto solo.

A meno che...

Non si trovasse...

Una nuova partner.

Però ricordava bene la superficialità dei giovani d’oggi, quella sera al pub.

Gente che con lui condivideva solo l’età biologica, ma senza nessun raccordo intellettuale né emotivo. Leonore, a suo modo, era diversa, e...

Era troppo presto per affrontare il discorso, ma era un dato di fatto: nel suo futuro con Leonore, o con qualunque altra “coetanea”, si stagliava il desiderio di essere di nuovo padre.

Davvero? Se la sentiva di ricominciare il tran-tran dei pannolini, delle pappe, delle mille autodiscipline?

Faticoso, sì. Eppure...

Forse gli sarebbero state perdonate le scappatelle, se lo faceva in vista di una seconda famiglia. Si rendeva conto che, per quanto fosse logico per lui il bisogno di una donna tanto più giovane di Sarah, amici e familiari avrebbero giudicato disgustoso che ragionasse con l’uccello piuttosto che con la testa. Ma, se avessero guardato alla cosa nell’orizzonte della paternità, allora forse avrebbero cambiato parere.

Ora andava di moda il sesso on-line e off-line, ma ai tempi di Don, quando esisteva ancora il “Playboy” cartaceo, una delle conigliette che andavano per la maggiore era Vicki Smith, nome con cui quella stallona texana disegnata da Rubens si era fatta apprezzare come Miss Maggio 1992. Quando nel 1993 era stata eletta “Playmate dell’anno”, aveva nel frattempo cambiato nome in Anna Nicole Smith. Ed era diventata ancora più famosa l’anno seguente, a ventisei anni, sposando un miliardario quasi novantenne.

Don già se lo vedeva: tutti avrebbero fatto il paragone. A parte il fatto che lui non era miliardario, sebbene godesse di un beneficio che era rimasto fuori dalla portata del vecchio marito bavoso della coniglietta. Altra differenza: nel caso di Don era lui, e non lei, a essere rifatto. Anna Nicole Smith si era aumentata il reggiseno di tre taglie grazie al silicone, mentre Leonore era tutta al naturale... nel senso che l’aggettivo “naturale” aveva assunto a metà del XXI secolo. Il corpo di Don al contrario non aveva più nessuno dei pezzi originali, anche se una terapia genetica e un allungamento dei telomeri sembravano meno invasivi che farsi squartare le tette per imbottirle.

Il che non spostava i termini del discorso: un uomo di ottantasette anni con una ragazza di venticinque. Questo avrebbe mormorato la gente. Però, se alla fine fossero venuti alla luce dei bei bambini, bé, allora la situazione sarebbe improvvisamente diventata normale, anzi sacrosanta, e tutti si sarebbero dimostrati comprensivi. Avrebbero confinato le condanne nell’oblio.

Non che desiderasse la paternità solo per quel motivo. Al primo matrimonio, all’inizio, non ci pensava neppure. Però in quel caso non doveva trovare delle giustificazioni; le nozze con Sarah erano sembrate la cosa più naturale del mondo.

Tre anatre planarono sul lago increspandone la superficie. Leonore si strinse a Don per sussurrargli: — È una giornata davvero bellissima.

Lui annuì, accarezzandole la spalla. E chiedendosi che cosa gli riservasse il futuro.

27

Le ore passate con Leonore erano state memorabili, sia quelle all’isola che quelle dopo, a casa di lei. Stavolta lei aveva da studiare per un seminario del giorno seguente, quindi Don non aveva dovuto inventare chissacché per smarcarsi. Sarah aveva detto che sarebbe rimasta a casa a scartabellare quella montagna di documenti; ma, con grande sorpresa di Don, quando la chiamò dal palmare mentre si dirigeva alla metropolitana, a rispondere fu la segreteria telefonica. È vero che l’udito di Sarah non era più quello di una volta: magari non aveva sentito lo squillo, oppure era uscita un attimo, o...