Don sapeva che anche a Sarah stavano tornando in mente tutte quelle corbellerie. Anche lei era cresciuta a pane e Lost in Space, per quanto ad affascinare lei fossero piuttosto le fotografie, autentiche, di nebulose e galassie utilizzate come fondali; con tanto di “copyright dell’Istituto tecnologico della California, 1959” nei titoli di coda. Tutte cose, pensò Don con amarezza, che non avrebbeno detto nulla a Leonore e a quelli della sua generazione. Di cui adesso faceva parte anche lui.
Continuarono a rispondere alle domande di Gunter per una mezz’ora, specificando i compiti che gli sarebbero spettati, se dovesse o no rispondere al telefono e aprire la porta, il divieto di entrare in bagno a meno che non sentisse chiamare aiuto, eccetera eccetera.
L’incarico principale consisteva nel vegliare sulla salute di Sarah. — Sai prestare i primi soccorsi? — gli domandò lei.
— Sì, ho in memoria il set completo delle procedure. In caso di ncessità potrei perfino eseguire una tracheotomia d’emergenza. Inoltre, i palmi delle mani contengono un defibrillatore incorporato.
— Grande! Come il vero Gunter! — esclamò Don. — Sparava fulmini dalle mani!
Sarah era divertita: — Il vero Gunter?
Don rise. — Hai capito benissimo a cosa mi riferivo. — Poi osservò l’androide blu. — Come dobbiamo comportarci con te quand’è ora di dormire? Ti spegniamo?
Lui esibì un sorriso rassicurante. — Potete farlo, se lo desiderate. Tuttavia suggerirei di lasciarmi acceso, in modo da poter intervenire tempestivamente per qualsiasi emergenza. Inoltre, potete richiedermi di svolgere determinati compiti mentre voi dormite: spolverare, faccende domestiche assortite, e preparare la colazione.
Don si guardò attorno per il salotto. — Sapresti anche accendere il caminetto?
Il robot inclinò lievemente la testa da un lato; parve quasi che le lenti oculari... bé, stessero riflettendo. Poi rispose: — Adesso sì.
— Magnifico — fece Don. — Avremo bisogno di un po’ di legna, quest’inverno.
— Se ti capita di non avere niente da fare — domandò Sarah — ti annoi?
— Oh, no — disse Gunter, con un altro sorriso rassicurante. — Mi piace rilassarmi un po’.
— Un atteggiamento condivisibile — commentò Sarah, lanciando un’occhiata al marito. — Mi chiedo come abbiamo fatto finora, senza un Mozo.
30
Più passavano i giorni, più nella testa di Don aumentava la confusione.
Maledizione, fino a quel momento aveva saputo che cosa fosse la vita; l’aveva percorsa tutta, con i suoi ritmi e le sue diverse fasi nella dovuta sequenza. Ed era sopravvissuto.
La gioventù, con l’istruzione e l’ingresso nel mondo del lavoro, e le prime esplorazioni del mondo del sesso.
La maturità, con il matrimonio, l’educazione dei figli e il consolidamento del benessere economico, nei limiti del possibile.
Poi la mezza età, il tempo di tirare le prime somme. Era riuscito a evitare gli antidepressivi costituiti dalle macchine sportive e dalle relazioni extraconiugali. La crisi dei cinquant’anni, arrivata in anticipo a causa di un lieve infarto, aveva avuto il risultato di fargli perdere peso. Sentire tante persone, tra cui donne, che gli dicevano che stava meglio a quarantacinque anni che a trenta lo aveva talmente ringalluzzito da non fargli sentire il bisogno di dimostrare in altri modi quanto fosse macho.
Infine aveva imboccato il viale del tramonto... o così credeva. La pensione, i nipotini, godersi le piccole cose della vita, la rassegnazione, la riflessione, le silenziose complicità e la quiete. Tanto per gestire il tempo che mancava allo scadere.
Le epoche della vita. Le aveva attraversate e comprese. Nell’insieme era stato come un arco, una trama con gli immancabili inizio, svolgimento e fine.
Adesso però era cambiato tutto. Altro che un epilogo stiracchiato: qui c’era un intero nuovo volume da sfogliare, e senza averlo minimamente preventivato!
Rollback. L’autobiografia completa di Don Halifax, volume II. E sebbene fosse lui stesso a scriverla, non aveva idea di come procedesse la trama. Non aveva nessun copione da cui sbirciare, non aveva nessun indizio per indovinare la scena finale.
Che avrebbe fatto per i decenni seguenti? No, meglio: che avrebbe fatto per il resto di quella giornata?
Però c’era una cosa che andava fatta, e subito. Per quanto fosse terrificante.
— C’è una cosa che devo dirti — mormorò Don a Leonore, alla prima occasione.
Lei era distesa nuda sul letto accanto a lui, sempre nello scantinato di Euclid Avenue. Si sollevò su un gomito e osservò Don. — Cosa?
Lui esitava. La faccenda si stava dimostrando più tosta del previsto, nonostante avesse messo in conto che fosse molto tosta. Come faceva a spiegare alla sua... alla sua qualunque cosa Leonore fosse per lui... che il problema del matrimonio era il meno?
Espirò, svuotando fino in fondo i polmoni attraverso una minima fessura tra le labbra. Alla fine disse: — Mmm, è che... io ho più anni di quanti tu probabilmente immagini.
Lei fece un’espressione sospettosa. — Non avevi la mia età?
Lui scosse la testa.
— Bé, non ne avrai più di trenta.
— Ne ho di più.
— Trentuno? Trentadue? Don, che mi frega di sei o sette anni di differenza. Ho uno zio che ha dieci anni in più di mia zia.
“Me li mangio a colazione, dieci anni” pensò lui. — Continua...
— Trentatré? — Leonore si stava innervosendo. — Trentaquattro? Eh? Tren...
— Leonore — la interruppe, chiudendo gli occhi per qualche istante — io ho ottantasette anni.
Lei fece una pernacchia. — Cazzo, Don, ma cosa ti vie...
— Io ho ottantasette anni! — ruggì lui. — Sono nato nel 1960. Avrai sentito della tecnologia di Rollback, no? Mi ci sono sottoposto qualche mese fa. Ed ecco il risultato! — tracciò nell’aria un cerchio intorno alla sua faccia con un dito.
Lei scattò di lato come un granchio sulla sabbia.
— Mio... Dio... — disse. Lo esaminava da un punto all’altro del corpo, alla ricerca di un qualsiasi indizio. — Ma se è roba che costa una follia.
Lui annuì. — Ho... mmm... trovato un benefattore.
— Non ti credo — disse Leonore, ma in tono assai poco convinto. — Io... io, voglio dire... non può...
— È la verità, e potrei dimostrartela in un milione di modi. Per esempio, ho qui la mia vecchia carta d’identità.
— No! — Sul viso le era passata un’espressione di... disgusto, probabilmente.
— Lo so, avrei dovuto dirtelo prima, ma...
— Certo che avresti dovuti farlo, cazzo, Don! — Aver pronunciato il suo nome le fece balenare un ricordo. Vi si aggrappò nella disperata speranza che, dopo tutto, fosse solo uno scherzo di cattivo gusto.
— Un momento, tu sei il nipote di Sarah Halifax, me l’hai detto tu stesso.
— No. Sei stata tu a pensarlo.
Leonore si scostò di un altro po’. Si coprì il seno con un lembo del lenzuolo; il primo gesto di pudore che lui le avesse mai visto fare. — Chi cazzo sei? Hai qualche parentela con Sarah Halifax?