— Sì... — sussurrò lui, con dolcezza. — Ma... — deglutì, cercando di raccogliere le forze — ma non sono suo nipote. — Distolse gli occhi da lei, rivolgendoli al pezzo di coperta spiegazzata che li separava. — Sono suo marito.
— Fanculo. Merda.
— Perdonami. Ti prego.
— Suo marito? — ripeté lei, quasi per accertarsi di non avere frainteso.
Don annuì.
— Allora, meglio che ti levi dalle palle.
Le parole di Leonore lo colpirono come proiettili. — Ti prego. Posso...
— Fare che?! Fornire delle cazzo di scuse?! Non c’è nessuna cazzo di scusa per questo!
— No, nessuna scusa. Nessuna giustificazione. Ma, Dio mio, Leonore, giuro che non volevo farti soffrire. Non ho mai voluto far soffrire nessuno. — Si sentì un nodo allo stomaco, ebbe quasi le vertigini. — Vorrei solo che tu... che tu capissi.
— Capire cosa? Che tutto quello che è successo tra noi era finto?
— No! — esclamò lui. — No, Dio, no. È stata la cosa più... più vera nella mia vita, da...
— Da quando? — ringhiò lei. — Da anni? Da decenni?
Don emise un lungo sospiro irregolare. Non poteva neanche accusarla di cinismo; il solo fatto che lei gli rivolgesse ancora la parola era già fin troppo. Tentò di difendersi alla disperata, con il risultato di dire una bestialità: — Ascolta, sei stata tu a trasformarla in una storia di sesso.
— Perché pensavo che tu fossi qualcosa che non sei. Mi hai mentito.
Lui stava per protestare che non era vero, non in senso stretto, non troppo spesso almeno. Ma lei prosegui: — Comunque, non c’entra niente chi ha cominciato, è un problema lontano anni luce. La questione è che tu sei un ottantenne, Cristo santo! Potresti essere mio nonno.
Don si aspettava quelle parole, ma questo non impedì che lo ferissero. — Anche Sarah si è sottoposta al Rollback — buttò là, sconsideratamente. — Solo che su di lei non ha funzionato, così adesso lei è ancora un’ottantenne, e io sono... questo.
Leonore non disse nulla. Aveva le labbra incurvate verso il basso, le sopracciglia quasi si toccavano.
— È stato Cody McGavin a pagare — aggiunse Don. — Voleva che Sarah fosse ancora viva e vegeta all’arrivo del prossimo messaggio da Sigma Draconis. Io sono saltato sul carro, ma ora...
— Ma ora fai il badante di Sarah.
— Non infierire. Non ho chiesto io che succedesse tutto questo.
— Oh, certo che no. Sono cose che capitano: terapie da miliardi di dollari...
Lui scosse la testa. — Sapevo che non avresti capito.
— Se hai bisogno di comprensione, vá a un gruppo di sostegno. Ne esisteranno anche per la tua categoria.
— Come no? Proprio oggi avevano un meeting a Vienna. Che peccato, non ho i soldi per il biglietto. Ho fatto un calcolo: il mio patrimonio è inferiore di quattro decimali rispetto al patrimonio del più povero degli altri beneficiari del Rollback.
Per ogni dollaro che io ho, quei signori ne hanno come minimo 10.000. Quello è un mondo lontano anni luce, Leonore.
— Non provare a passare dalla parte della ragione! Qui, chi ha subito un torto sono io!
Don contò mentalmente per calmarsi. — Sì, hai ragione. Scusami. E solo che adesso non so più che fare, e... E non voglio perderti. Ti voglio bene, davvero. Non smetto mai di pensare a te. Non so che fine farò, ma so questo: in questo ultimo periodo le uniche volte in cui mi sono sentito felice, le uniche volte, è stato quando stavo con te.
— Avrai pur qualche...
— No, nessuno. Quei pochi amici che sono ancora in vita, non mi capiscono. E i miei figli...
— Merda, ecco un’altra cosa a cui non avevo pensato: hai dei figli!
“Abbiamo fatto trenta, facciamo trentuno.” — Ho anche dei nipoti. Mio figlio ha cinquantacinque anni, mia figlia sta per compierne cinquanta, ma non mi aspetto che solidarizzino con un genitore che ha metà dei loro anni.
— Tutto questo è folle.
— Possiamo trovare una via d’uscita, insieme.
— Dai i numeri? Tu sei sposato. Hai sessant’anni più di me. Hai figli e nipoti.
E... Dio santo, sei anche in pensione, vero? Non avrai neppure un lavoro.
— Ho la mia pensione.
— Un pensionato! Alleluia!
— Questo non cambia nulla — disse lui.
— Sei fuori di cranio?
— Leonore, ti supplico...
— Vestiti immediatamente! — urlò lei.
— Per... fare che?
— Rimettiti i tuoi cazzo di vestiti e sparisci!
31
Erano trascorsi mesi dall’ultima volta che Don aveva visto i nipotini. Sentiva profondamente la loro mancanza ma, non sapendo come spiegare loro il cambiamento che era sopravvenuto, aveva interrotto i contatti. Ora però una rimpatriata era ineluttabile: quel giorno, giovedi 10 settembre, Emily compiva cinquant’anni; e come erano stati precettati tutti per le nozze di diamante di Don e Sarah, adesso era stato precettato lui.
La festa si teneva a casa di Emily a Scarborough, a una comoda ora di macchina lungo la 407. Gunter aveva fatto da autista, e meglio così, perché Don si sarebbe sentito un babbeo a farsi scarrozzare in giro da quella che poteva essere sua nonna; e lui non si era ancora fatto rinnovare la patente. Gli era stato imposto di partecipare ai corsi teorici sulla sicurezza insieme a un gruppo di ultraottantenni; inoltre, per quanto l’esaminatore potesse dispensarlo dalle lezioni di guida, non poteva evitargli le battutine degli impiegati. Né tantomeno quelle dei vecchi-vecchi, che si rodevano il fegato per quel bellimbusto che si faceva beffe della sorte comune.
Quando l’auto di Don e Sarah fu parcheggiata nel vialetto davanti alla grande casa di Emily, lui saltò fuori dalla portiera posteriore per aiutare la moglie a scendere. Poi, a braccetto, si diressero verso la porta d’ingresso lasciando Gunter in macchina, intento a contemplare placidamente il paesaggio. Carl e famiglia erano già arrivati, ma avevano parcheggiato in strada per lasciare libero per i genitori il posto più vicino.
La casa dei nonni riconosceva i dati biometrici di figli e nipoti, ma non viceversa, per cui Don suonò il campanello. Emily aprì all’istante, osservandoli con una certa apprensione e facendo loro cenni furtivi perché entrassero. Chissà cosa avrebbero pensato i vicini, a notare l’anziana professoressa accompagnata da un giovanotto sconosciuto.
Cercando di cacciare quel pensiero, Don si esibì in un: — Tanti auguri, Em! — il più cordiale possibile.
Sarah abbracciò la figlia e, come ogni anno, le disse sorridendo: — Non scorderò mai dove mi trovavo, quando tu sei nata.
Emily a sua volta disse: — Ciao... — e il tono richiedeva l’aggiunta di “mamma, e ciao, papà”, ma si fermò sulla prima parola. Dopo il Rollback, Don non aveva più sentito né lei né Carl chiamarlo papà.
Anche in questa casa, dall’atrio partiva una scalinata. Emily prese la canna da passeggio della madre e la aiutò a salire; Don andò loro dietro.
— Nonna! — gridò Cassie, che indossava un vestitino rosa con decorazione stampata a fiori e portava anelli rosa alle treccine. Raggiunse di corsa la nonna, che si chinò per quanto poté per abbracciarla. Dopodiché la bambina osservò Don come se fosse la prima volta che lo vedeva.
Carl allora la prese e, tenendola seduta sulle braccia come si fa con i bambini alle mostre d’arte, la mise di fronte a Don. — Cassie, lui è il nonno!
La piccola si accigliò, poi si strinse al collo del padre. — Nonno Marcynuk? — chiese, dubbiosa.