Li aiutò con i giacconi imbottiti. Erano tornate di moda le pellicce (fatte crescere in laboratorio, senza il resto dell’animale), ma i due appartenevano a una generazione che aveva rinunciato alla strage di volpi e foche, e non ne avrebbero mai indossata una. I loro cappotti sintetici, quello di lui blu mare, quello di lei beige, stonavano vistosamente nel guardaroba.
La ragazza tenne Don per il gomito e lui sostenne Sarah, dando vita a una buffa conga cubana che si spostava in direzione di un ampio séparé presso un caminetto scoppiettante.
La specialità del locale era il pesce, che Don detestava; si augurò che avessero almeno la fettina o il petto di pollo. L’arredo era quello che ci si sarebbe aspettati: acquario pullulante di aragoste, reti da pesca appese alle pareti, un casco da sommozzatore posato sopra un barile da aringhe. L’unica differenza rispetto ai ristorantini kitsch era che qui tutti i pezzi sembravano di antiquariato.
Una volta che ebbero compiuto l’operazione di sedersi, e che la ragazza ebbe preso le ordinazioni per le bevande (due caffè decaffeinati), Don si abbandonò contro il morbido schienale di pelle. — E allora — disse, guardando verso la moglie, a cui la fiamma del caminetto metteva in rilievo le rughe del viso — che te ne pare?
— È un’offerta da capogiro.
— Infatti — disse lui, con una smorfia. — Solo che...
S’interruppe per l’arrivo del cameriere, un uomo alto, di colore, sulla cinquantina, con il frack. Porse loro dei menu stampati su simil-pergamena con copertina in cuoio, prima la signora, poi il signore. Don non capiva: per quanto gran parte della clientela dovesse essere avanti con l’età, come dimostravano i tavoli quella sera, tuttavia era tutta gente che poteva permettersi occhi nuovi, quindi era strano che...
— Ehi! — commentò. — Non sono indicati i prezzi.
— Certo che no, signore — rispose il cameriere. Aveva l’accento haitiano. — Voi siete ospiti del signor McGavin. Ordinate liberamente.
— Ci dia un momento — chiese Don.
— Senza problemi, signore — e si dileguò.
— Quell’offerta è... — Don cercò le parole giuste. — È... non so... è folle, ecco.
— Folle — ripeté Sarah, restituendo la parola al mittente.
— Voglio dire, quando ero un ragazzino, pensavo che sarei vissuto per sempre, ma...
— Ma nel frattempo hai accettato l’idea che... che...
— ...Che morirò presto? — Don sollevò un sopracciglio. — Non mi spaventa la parola “morte”. Vedi? La pronuncio. Sì, immagino di essermi pacificato con l’idea, un po’ come tutti. Ricordi lo scorso autunno, quando in città è arrivato quel mio vecchio amico, Ivan Krehmer? Ci siamo presi un caffé insieme e, bé, sapevamo entrambi che quello sarebbe stato il nostro ultimo incontro. Abbiamo parlato delle nostre vite, delle carriere, dei figli e dei nipoti. È stato un... — studiò il termine — un resoconto finale.
Lei annuì. — In questi ultimi anni ho pensato spessissimo: “Bé, questa sarà l’ultima volta che vedrò questo posto”. — Lanciò un’occhiata all’intorno agli altri avventori. — Non che per forza sia un pensiero triste. Un sacco di volte, l’idea era:
“Grazie al cielo, questa sarà l’ultima volta”. Il rinnovo del passaporto, gli esami medici ogni cinque anni, e altre seccature assortite...
Lui stava per rispondere quando tornò il cameriere. — I signori hanno deciso?
“Neppure lontanamente” pensò Don.
— Abbiamo bisogno di un altro po’ di tempo — disse Sarah. Il cameriere fece un lieve inchinò e si eclissò di nuovo.
“Un altro po’ di tempo” pensò Don. Già, la questione era tutta lì. — E quindi, lui parlava di... cosa?, farti ringiovanire di trentotto anni, così sarai ancora tra noi quando arriverà il prossimo messaggio?
— Di farci ringiovanire — lo corresse Sarah, nel tono più fermo che fosse possibile alla sua voce tremante. — E mica ci si deve accontentare. Se tornassimo indietro di trentotto anni, ce ne resterebbero ancora una cinquantina. — Raccolse per un attimo i pensieri. — Avevo letto qualcosa sull’argomento. Dicono che è possibile tornare indietro a qualsiasi età, dopo quella in cui il corpo ha cessato di crescere. Non si può regredire oltre la pubertà, ed è consigliabile non scendere sotto i venticinque anni, perché devono già essere spuntati i denti del giudizio e le ossa del cranio devono essere completamente fuse.
— Venticinque anni — disse Don, quasi assaporando il numero. — Dopodiché si ricomincia a invecchiare al solito ritmo?
Lei annuì. — E questo ci darebbe la possibilità di leggere altri due messaggi di... — abbassò la voce, quasi sorprendendosi di riprendere il termine utilizzato da McGavin — del mio amico di penna.
Lui stava per obiettare che, dopo altre due risposte aliene, Sarah avrebbe avuto oltre centosessanta anni. Ma quella sarebbe stata la sua età anagrafica; biologicamente, sarebbe stata solo centenaria. Don scosse la testa, sentendosi stordito. “Solo” centenaria!
— Mi sembri bene informata — disse.
Sarah assunse quasi un tono di scusa. — Avevo letto vari articoli quando era stata annunciata la nuova tecnologia. Semplice curiosità.
Lui la fissò negli occhi. — Solo per quello?
— Ma certo.
— Io non mi sarei mai neppure sognato di superare i cento.
— È ovvio. E perché mai? Essere per anni e anni un rudere, avvizzito, fragile, malaticcio... chi sognerebbe una situazione del genere? Ma così è diverso. Don esaminò il volto di lei con un’attenzione che non prestava da tempo. Era il volto di una donna molto anziana; proprio come il suo.
Di colpo lo folgorò un ricordo. Al loro primo appuntamento, ere geologiche fa, si erano ritrovati in un ristorantino con caminetto, dopo aver assistito (su forti pressioni di Don) alla prima visione di Star Trek IV. Quanto erano belli, i lisci lineamenti di lei; i suoi capelli, bruni e lucidi, risplendevano sotto il roteare delle luci. Lui non avrebbe voluto mai staccarle gli occhi di dosso. E già allora era saltata fuori la faccenda dell’età. Lei gliel’aveva chiesta, e lui aveva risposto di avere ventisei anni.
“Ehi, anch’io!” aveva risposto lei in tono frizzante. “Quando li hai compiuti?”
“Il l5 ottobre.”
“Io a maggio.”
Lui aveva fatto la carogna. “Oh no, una donna più vecchia!” Quanta acqua era passata sotto i ponti. E ora... tornare a quell’età? Sarebbe stata pura follia. — Ma... ma poi che ci farai... che ci faremo, con tutto quel tempo a disposizione? — chiese lui.
— Viaggi — fu la pronta rispota di lei. — Giardinaggio. Letture. Corsi universitari.
— Pfffff — reagì lui.
Sarah annuì, ammettendo tra sé che non erano grandi allettamenti. Poi però frugò nella borsetta per estrarre il palmare, batté su un paio di tasti e gli passò l’apparecchiatura. Sullo schermo compariva una foto della piccola Cassie, abitino blu e riccioli d’oro. — Accompagnare la crescita dei nostri nipotini — aggiunse Sarah. — Giocare con i nostri bisnipoti, quando arriveranno.
Lui sospirò. Le discussioni di laurea. I matrimoni. Quelle sì che erano belle prospettive. E potervi partecipare nel pieno delle proprie forze. Tuttavia...
— Davvero ti piacerebbe assistere ai funerali dei tuoi figli? — disse. — Perché sarà questo che accadrà. Oh certo, i prezzi del Rollback continueranno a calare, ma non abbastanza in fretta da essere a portata di portafoglio per Carl ed Emily. — Stava per concludere: “Alla fine, potremmo addirittura ritrovarci a seppellire i nostri nipoti”, ma gli mancò il cuore di farlo.
— Chi può dire quanto in fretta caleranno i prezzi? — obiettò Sarah. — Ma, di sicuro, l’idea di avere altri decenni da trascorrere con figli e nipoti è una grossa tentazione. Qualunque cosa succeda alla fine.