Ogni tanto appariva una visione: un gentiluomo francese con la parrucca bianca e la giacca elegante, con la moglie in crinolina, e uno schiavo negro che reggeva per loro le scarpe pulite, sopra il torrente di fango.
Sapevo di essere giunto nell’avamposto più remoto del Giardino Selvaggio; sapevo che quello era il mio paese e che sarei rimasto a New Orleans, se New Orleans ce l’avesse fatta a continuare a esistere. Ciò che soffrivo poteva essere attenuato in quel luogo senza leggi; ciò che desideravo poteva darmi un piacere più grande, quando l’avessi avuto nella mia stretta.
E vi furono momenti, nella prima notte, in quel piccolo paradiso fetido, in cui pregai perché, nonostante tutti i miei poteri segreti, potessi essere in qualche modo affine a tutti i mortali. Forse non ero il reietto esotico che avevo immaginato, ma solo il cupo potenziamento di ogni anima umana.
Vecchie verità e antica magia, rivoluzione e invenzione cospirano per distrarci dalla passione che in un modo o nell’altro ci sconfigge tutti.
E alla fine, stanchi di questa complessità, noi sogniamo di quel tempo remoto in cui sedevamo sulle ginocchia di nostra madre e ogni bacio era la consumazione perfetta del desiderio. Cosa possiamo fare, se non cercare l’abbraccio che ora deve racchiudere il paradiso e l’inferno: il nostro destino inevitabile?
Epilogo
Intervista col Vampiro
1.
E così sono arrivato alla conclusione dell’educazione e delle prime avventure del vampiro Lestat, il racconto che ho deciso di fare. Avete la descrizione della magia e del mistero del Vecchio Mondo che, nonostante tutte le proibizioni e le ingiunzioni, ho deciso di trasmettere ad altri.
Ma la mia storia non è finita, anche se sono riluttante a continuarla. E devo considerare, almeno brevemente, gli eventi dolorosi che mi portarono alla decisione di sprofondare sottoterra nell’anno 1929.
Erano passati centoquarant’anni da quando avevo lasciato l’isola di Marius, E non lo avevo più rivisto. Anche Gabrielle era andata completamente perduta. Era sparita quella notte al Cairo, e, a quanto mi risultava, non ne sapeva più nulla nessuno, mortale o immortale.
E quando discesi nella mia tomba, nel secolo ventesimo, ero solo e stanco e gravemente ferito nel corpo e nell’anima.
Avevo vissuto la «mia vita intera» come mi aveva consigliato Marius. Ma non potevo rimproverare lui per il modo in cui l’avevo vissuta e per gli errori terribili che avevo commesso.
Era stata la volontà a condizionare la mia esperienza più di ogni altra caratteristica umana. E, nonostante i consigli e le predizioni, andavo in cerca di tragedie e disastri come ho sempre fatto. Tuttavia ebbi le mie ricompense, non posso negarlo. Per quasi settant’anni ebbi i miei vampiri novizi Louis e Claudia, due degli immortali più splendidi che avessero mai camminato sulla terra, e li ebbi alle mie condizioni.
Poco dopo aver raggiunto la colonia, mi innamorai fatalmente di Louis, un piantatore borghese giovane e bruno, garbato nel linguaggio e schizzinoso nei modi, che per cinismo e autodistruttività sembrava il gemello di Nicolas.
Aveva la cupa intensità di Nicki, il suo spirito ribelle, la sua capacità tormentata di credere e di non credere e di disperare.
Tuttavia Louis acquisì su di me un potere assai più grande di quello di Nicolas. Anche nei momenti più crudeli, Louis accendeva in me la tenerezza, mi seduceva con la sua fiducia, l’infatuazione per ognuno dei miei gesti, per ognuna delle mie parole.
E la sua ingenuità mi conquistava sempre, la sua strana convinzione borghese che Dio continuasse a essere Dio anche se ci voltava le spalle, che dannazione e salvezza segnassero i confini di un mondo piccolo e privo di speranze.
Louis amava i mortali ancor più di quanto li amassi io. E a volte mi domandavo se non avevo cercato Louis per punirmi di ciò che era accaduto a Nicki, se non avessi creato Louis perché diventasse la mia coscienza e per anni e anni m’infliggesse la meritata penitenza.
Ma io l’amavo, semplicemente. E fu per il bisogno disperato di tenerlo legato a me nel momento più precario che commisi l’atto più egoistico e impulsivo di tutta la mia esistenza tra i morti viventi. Fu il delitto che doveva rivelarsi la mia rovina: la creazione, per Louis e con Louis, di Claudia, una bellissima bambina vampira.
Il suo corpo non aveva sei anni quando la creai; e anche se sarebbe morta qualora non l’avessi fatto (come sarebbe morto Louis, se non avessi preso anche lui), fu una sfida agli dèi, che io e Claudia avremmo pagato.
Ma questa è la storia che è stata narrata da Louis nell’Intervista col Vampiro, e che, nonostante le sue contraddizioni e i malintesi terribili, riesce a rendere l’atmosfera in cui Claudia, Louis e io ci trovammo immersi e rimanemmo insieme per sessantacinque anni.
Durante quel periodo fummo esemplari ineguagliabili della nostra specie, tre cacciatori letali abbigliati di sete e velluti, e ci gloriammo del nostro segreto e della città di New Orleans che si estendeva e ci ospitava nel lusso e ci forniva innumerevoli vittime.
E, sebbene Louis non lo sapesse quando scrisse la sua cronaca, sessantacinque anni sono un periodo fenomenale per un legame nel nostro mondo.
In quanto alle menzogne che ha detto e agli errori che ha commesso, ebbene, gli perdono l’eccesso d’immaginazione, l’amarezza e la vanità che, in fin dei conti, non è mai stata molto grande. Non gli avevo mai rivelato neppure una metà dei miei poteri, e con ragione, perché si lasciava assalire dal rimorso e dal ribrezzo quando doveva usare una parte dei suoi.
Anche la sua bellezza insolita e il suo fascino infallibile erano per lui una specie di segreto. Quando leggete la sua affermazione che io l’avevo trasformato in vampiro perché desideravo la sua casa nella piantagione, potete attribuirlo più alla modestia, suppongo, che alla stupidità.
In quanto alla sua convinzione che io fossi un contadino, bene, era comprensibile. Dopotutto era un figlio inibito del ceto medio, e come tutti i piantatori coloniali aspirava a essere un vero aristocratico sebbene non ne avesse mai conosciuto uno; e io discendevo da una stirpe di signori feudali che a tavola si leccavano le dita e buttavano le ossa ai cani.
Quando Louis dice che io giocavo con sconosciuti innocenti, facevo amicizia con loro e quindi li uccidevo… come poteva sapere che andavo a caccia quasi esclusivamente tra i giocatori d’azzardo, i ladri e gli assassini, poiché ero fedele più di quanto avessi sperato al mio tacito voto di uccidere solo i malfattori? (Per esempio il giovane Fremere, un piantatore che Louis ammanta di nobili sentimenti nel suo racconto, era in realtà un assassino e un baro sul punto di cedere per debiti la piantagione della sua famiglia, quando lo eliminai. Le puttane con le quali banchettai una volta di fronte a Louis per fargli dispetto, avevano drogato e derubato molti marinai che nessuno aveva più rivisto vivi.)
Ma piccole cose come queste non hanno molta importanza. Louis ha raccontato la storia così come credeva che fosse avvenuta.
E in un certo senso egli era sempre la somma dei suoi difetti, il più interessante demone umano che abbia mai conosciuto. Neppure Marius avrebbe potuto immaginare un essere così compassionevole e contemplativo, sempre gentiluomo, sempre impegnato a insegnare a Claudia l’uso delle posate quando lei non aveva bisogno di toccare mai un coltello o una forchetta.
La cecità di Louis ai desideri e alle sofferenze degli altri faceva parte del suo fascino al pari dei morbidi capelli neri e dell’espressione eternamente turbata dei suoi occhi verdi.
E perché dovrei affannarmi a parlare delle volte che veniva da me, straziato e ansioso, e m’implorava di non lasciarlo mai; delle volte che passeggiavamo insieme e parlavamo, e recitavamo Shakespeare per divertire Claudia, o andavamo insieme a caccia nelle taverne del porto o a ballare con le bellezze dalla pelle scura nei famosi balli delle quadroons?