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Io sono il vampiro Lestat siete venuti al grande sabba ma io vi compiango.

Presi il microfono dal sostegno e corsi verso un lato del palcoscenico e poi verso l’altro, facendo svolazzare il mantello.

Non potete resistere ai re della notte di voi non hanno pietà e ridono della vostra paura.

Cercavano di afferrarmi le caviglie, mi lanciavano baci, le ragazze si facevano sollevare dai compagni per toccare il mio mantello che volteggiava sopra la loro testa.

Noi vi prenderemo per amore nell’estasi vi annienteremo e nella morte vi abbandoneremo nessuno può dire che non vi abbiamo avvertiti.

Tough Cookie, strimpellando furiosamente, mi si avvicinò a passo di danza vorticosa. La musica salì in un glissando stridulo, i tamburi e i piatti scrosciarono, il ribollire del sintetizzatore ingigantì di nuovo.

Sentivo la musica penetrarmi nelle ossa. Neppure nell’antico sabba romano mi aveva travolto così.

Mi lanciai nella danza, dimenando i fianchi mentre ci avvicinavamo tutti e due verso l’orlo del palcoscenico. Stavamo eseguendo le contorsioni libere ed erotiche di Pulcinella e di Arlecchino e di tutti i personaggi della vecchia commedia… improvvisamente come avevano fatto loro, e gli strumenti si distaccavano dall’esile melodia, poi la ritrovavamo mentre ci incitavamo a vicenda con la danza senza aver provato nulla, e tutto era in carattere, tutto era assolutamente nuovo.

Le guardie spingevano indietro bruscamente gli spettatori che cercavano di raggiungerci. Ma danzavamo sull’orlo della piattaforma come per provocarli, facevamo ondeggiare i capelli intorno alle facce e ci voltavamo per vederci, in un’allucinazione insostenibile, sugli schermi giganti. Il suono saliva attraverso il mio corpo mentre mi giravo verso la folla, si spostava come una bilia d’acciaio che trova un passaggio dopo l’altro nei miei fianchi e nelle mie spalle, fino a quando mi accorsi che mi stavo sollevando dal pavimento in un grande balzo lentissimo e ridiscendendo silenziosamente, con il mantello nero ondeggiante, la bocca aperta che rivelava le zanne.

Euforia. Applausi assordanti.

E dovunque vedevo le pallide gole dei mortali denudate, ragazzi e ragazze che si aprivano i colletti e tendevano il collo. Mi invitavano a cenni di andare a prenderli, m’invitavano e m’imploravano, e alcune delle ragazze piangevano.

L’odore del sangue era denso nell’aria come fumo. Carne e carne e carne. Tuttavia, dovunque c’era l’innocente, insondabile certezza che si trattava d’artificio, niente altro che artificio. Non sarebbe successo niente a nessuno. Quella splendida isteria non era pericolosa.

Quando io urlavo, credevano che fosse l’impianto sonoro. Quando spiccavo balzi, pensavano che fosse un trucco. E perché no, quando la magia li assaliva da ogni parte e potevano dimenticare la nostra presenza concreta per i giganti luminosi sui teleschermi sopra di noi? Marius, come vorrei che tu potessi vederlo! Gabrielle, dove sei? I versi vennero cantati di nuovo all’unisono dall’intero complesso. La bella voce di soprano di Tough Cookie dominava le altre. Poi fece roteare la testa in cerchio, con i capelli che ricadevano fino a toccare l’assito davanti a lei, la chitarra che sussultava lascivamente come un fallo gigantesco, e migliaia e migliaia di spettatori battevano le mani e pestavano i piedi all’unisono.

«VI DICO CHE SONO UN VAMPIRO!» urlai all’improvviso.

Estasi, delirio.

«SONO MALVAGIO! MALVAGIO!»

«Sì. Sì, Sì, Sì, Sì, Sì.»

Alzai le braccia con le mani protese verso l’alto. «VOGLIO BERE LE VOSTRE ANIME!»

Il colossale motociclista dai capelli lanosi e dalla giacca di cuoio nero indietreggiò, fece cadere quelli che gli stavano dietro, e balzò sul palcoscenico accanto a me, con i pugni sopra la testa. Le guardie del corpo accorsero per bloccarlo; ma io l’avevo già afferrato e me lo stringevo contro il petto. Lo sollevai con un braccio, gli chiusi le labbra sul collo toccandolo appena con i denti, sfiorando quel geyser di sangue pronto a zampillare verso l’alto.

Ma le guardie lo staccarono e lo ributtarono indietro come un pesce nel mare. Tough Cookie era accanto a me, e la luce guizzava sui calzoni di raso nero, la cappa volteggiante, il braccio proteso per sostenermi mentre io cercavo di liberarmi.

Ora sapevo tutto ciò che non figurava nei libri che avevo letto sui cantanti rock… quella folle unione di primitivo e scientifico, quella frenesia religiosa. Eravamo davvero nell’antico bosco sacro. Eravamo tutti con gli dèi.

E stavamo facendo saltare le valvole con la prima canzone. Passammo alla seconda, mentre la folla prendeva il ritmo, gridava le parole imparate dagli album e dai videoclip. Tough Cookie e io cantammo, battendo i piedi a tempo:

Figli dette tenebre, ecco i figli della luce. Figli dell’uomo, combattete i figli della notte.

E tutti acclamarono e urlarono e gemettero, senza ascoltare le parole. Chissà se gli antichi celti si erano scatenati con grida più possenti nell’imminenza del massacro?

Ma stavolta non c’erano massacri, non c’erano offerte sacrificali.

La passione ascendeva verso le immagini del male, non verso il male. La passione abbracciava l’immagine della morte, non la morte. La sentivo come l’illuminazione scottante sui pori della pelle, nelle radici dei capelli. L’urlo amplificato di Tough Cookie iniziava una nuova strofa, i miei occhi scrutavano gli angoli più lontani, l’anfiteatro diventava un’unica, grande anima ululante.

Liberami da tutto questo, liberami dall’impulso di apprezzarlo. Liberami dal pericolo di dimenticare tutto il resto e di sacrificare ogni scopo e ogni risoluzione. Vi voglio, piccoli miei. Voglio il vostro sangue, il vostro sangue innocente. Voglio la vostra adorazione nel momento in cui affondo i denti. Sì, questo trascende ogni tentazione.

Ma in quel momento di prezioso silenzio e di vergogna, li vidi per la prima volta, i veri vampiri. Facce bianche e minute che ondeggiavano come maschere sulle orde di volti informi dei mortali, distinte come mi era apparsa la faccia di Magnus in quel piccolo teatro del boulevard, tanto tempo prima. E sapevo che là, dietro il sipario, li vedeva anche Louis. Ma le sole cose che scorgevo in loro e che sentivo emanare da loro erano lo stupore e la paura.

«TUTTI VOI VERI VAMPIRI, LÀ FUORI», gridai. «RIVELATEVI!» Ma costoro rimasero imperturbabili, mentre i mortali dipinti e in costume che stavano loro intorno sembravano impazzire.

Per tre ore ballammo e cantammo e tormentammo ininterrottamente i nostri strumenti metallici, mentre Alex e Larry e Tough Cookie si passavano il whisky, e la folla continuava ad avvicinarsi a noi fino a che la falange della polizia dovette raddoppiare e le luci si alzarono. I sedili di legno andavano a pezzi negli angoli dell’auditorium, le lattine rotolavano sul pavimento. I vampiri veri non si avvicinarono d’un solo passo. Alcuni sparirono.

Dunque le cose stavano così.

Urla ininterrotte come di quindicimila ubriachi scatenati fino ai momenti conclusivi, quando incominciò la ballata tratta dall’ultimo videoclip, L’Età dell’Innocenza.

Poi la musica si addolcì. I tamburi si smorzarono, la chitarra agonizzò e il sintetizzatore lanciò le splendide note traslucide di un clavicembalo elettrico, note così leggere e tuttavia così profuse che era come se nell’aria cadesse una pioggia d’oro.