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Mentre sfrecciavamo sulla rampa della superstrada, quasi ci raggiungevano. Bene. Ancora un po’ più vicino, e sarei scattato. Ma la Porsche stava per fermarsi. Gabrielle non riusciva a trovare un varco tra le altre macchine.

«Attento, sta arrivando!» urlò.

«Un corno!» gridai io. Ancora un attimo e sarei balzato dal tettuccio per piombare su di loro come un ariete.

Ma non ne ebbi il tempo. Ci avevano urtati con tutta la loro forza; e io volai, volai oltre il bordo della superstrada mentre la Porsche schizzava in aria.

Vidi Gabrielle saltare dalla portiera prima ancora che la macchina toccasse terra. E io e lei rotolammo sul pendio erboso mentre l’auto si capovolgeva ed esplodeva con un fragore assordante.

«Louis!» gridai. Corsi verso il rogo. Mi sarei buttato fra le fiamme con lui. Ma il vetro del lunotto posteriore andò in frantumi, e lui ne balzò fuori. Atterrò sulla banchina nell’attimo in cui lo raggiungevo. Usai il mantello per soffocare le fìammelle sui suoi indumenti, Gabrielle si tolse la giacca per fare altrettanto.

Il furgone s’era fermato accanto alla ringhiera della superstrada, lassù in alto. Gli esseri si lanciarono come grossi insetti bianchi e atterrarono in piedi sulla scarpata.

E io ero pronto ad affrontarli.

Ma ancora una volta, mentre il primo slittava verso di noi con la falce alzata, risuonò il terribile urlo soprannaturale e si ripeté la combustione accecante. La faccia dell’essere divenne una maschera nera in un tumulto di fiamme color arancio. Il corpo si agitò in un’orrida danza convulsa.

Gli altri si voltarono e corsero sotto la superstrada.

Mi mossi per inseguirli, ma Gabrielle mi afferrò e me lo impedì. La sua forza mi irritava e mi sorprendeva.

«Fermati, maledizione!» disse. «Louis, aiutami!»

«Lasciami!» dissi furiosamente. «Ne voglio uno, almeno uno. Posso raggiungerli!»

Ma Gabrielle non mi lasciò e io non intendevo azzuffarmi con lei, Louis si era associato alle sue suppliche rabbiose e disperate.

«Lestat, non inseguirli», disse, teso. «Ne abbiamo avuto abbastanza. Dobbiamo andarcene.»

«Sta bene!» risposi, arrendendomi. E comunque era troppo tardi. Quello bruciato era spirato tra fumo e fiamme, e gli altri erano spariti nel silenzio e nel buio senza lasciar tracce.

All’improvviso la notte intorno a noi era vuota, a parte il rombo del traffico sulla superstrada. E noi tre eravamo lì, insieme, nel bagliore livido della macchina che bruciava.

Louis si ripulì stancamente il viso dalla fuliggine. Lo sparato bianco della camicia era macchiato, il lungo mantello di velluto era bruciacchiato e strappato.

E c’era Gabrielle, esile come tanto tempo prima, un ragazzo impolverato e lacero con la sahariana cachi un po’ lisa e i calzoni, e il feltro calcato di traverso sulla testa bellissima.

Nella cacofonia dei rumori della città sentimmo avvicinarsi l’ululato delle sirene.

Tuttavia restammo immobili, tutti e tre, ad attendere e a scambiarci occhiate. E sapevo che tutti stavamo cercando Marius. Senza dubbio era Marius. Doveva essere lui. Ed era con noi, non contro di noi. Ora ci avrebbe risposto.

Dissi il suo nome, a voce alta. Scrutai nel buio sotto la superstrada e fra le innumerevoli case che affollavano i pendii circostanti.

Ma sentii soltanto le sirene che diventavano più forti e il brusio delle voci umane, mentre i mortali incominciavano a salire dal viale sottostante.

Vidi la paura sul volto di Gabrielle. Tesi le braccia, mi avviai verso di lei a dispetto della confusione tremenda, dei mortali che si avvicinavano e di tutti i veicoli che si erano fermati lassù in alto, sulla superstrada.

Il suo abbraccio fu improvviso, caldo. Ma poi mi fece segno di affrettarmi.

«Siamo in pericolo! Siamo tutti in pericolo», bisbigliò. «Un pericolo terribile. Vieni!»

3.

Erano le cinque del mattino e io ero solo accanto alla porta a vetri del ranch di Carmel Valley. Gabrielle e Louis erano andati insieme tra le colline per cercare un luogo dove riposare.

Una telefonata fatta a nord mi aveva informato che i miei musicisti mortali erano al sicuro nel nuovo nascondiglio di Sonoma, e stavano festeggiando come pazzi dietro la protezione delle recinzioni elettrificate. In quanto alla polizia e alla stampa e a tutte le loro domande inevitabili, bene, avrebbero dovuto aspettare.

Adesso attendevo da solo la luce del mattino come avevo sempre fatto e mi domandavo perché Marius non si era mostrato, perché ci aveva salvati e poi era svanito senza una parola.

«Supponiamo che non fosse Marius», aveva detto ansiosamente Gabrielle, mentre camminava avanti e indietro. «Ti dico che ho avvertito un senso schiacciante di minaccia. Ho sentito il pericolo per noi come per loro. L’ho sentito fuori dell’auditorium quando siamo partiti. L’ho sentito quando eravamo vicino alla macchina che bruciava. C’era qualcosa. Non era Marius, ne sono convinta…»

«Aveva qualcosa di barbarico», aveva detto Louis. «Quasi, ma non esattamente…»

«Sì, quasi selvaggio», aveva risposto Gabrielle lanciandogli un’occhiata. «E, anche se fosse stato Marius, cosa ti fa pensare che non ti abbia salvato solo per potersi vendicare a modo suo?»

«No», avevo detto con una risata sommessa. «Marius non vuole la vendetta, altrimenti se la sarebbe già presa. Lo so.»

Ma mi emozionava troppo guardarla… il suo passo, i suoi gesti. E i lisi indumenti da safari. Dopo duecento anni era ancora l’esploratrice intrepida. Si mise a cavalcioni della sedia come un cowboy, quando sedette, e appoggiò il mento sulle mani, sopra la spalliera.

Avevamo tante cose da dirci, e io ero troppo felice per avere paura.

E poi era orribile avere paura, perché adesso mi rendevo conto di aver commesso un altro grave errore di calcolo. L’avevo compreso per la prima volta quando la Porsche era esplosa con Louis all’interno. Quella mia piccola guerra avrebbe messo in pericolo tutti coloro che amavo. Ero stato sciocco a pensare di poter attirare su di me soltanto tutto il veleno.

Dovevamo parlare. Dovevamo essere astuti. Dovevamo essere molto prudenti.

Ma per il momento eravamo al sicuro, le avevo detto. Lei e Louis non sentivano la minaccia, lì: non ci aveva seguiti fin nella valle. E io non l’avevo mai avvertita. E i nostri giovani, stupidi nemici immortali si erano dispersi, convinti che avessimo il potere di incenerirli a volontà.

«Sai, ho immaginato il nostro incontro mille e mille volte», aveva detto Gabrielle. «Ma non l’ho mai immaginato così.»

«Io penso che sia andata splendidamente», aveva detto. «E non credere neppure per un momento che non avrei potuto tirarci fuori dai guai. Stavo per strangolare quello con la falce e buttarlo oltre l’auditorium. E ho visto l’altro che si avvicinava. Avrei potuto spezzarlo in due. Una delle cose che mi dispiacciono, in quel che è successo, è che non ho avuto la possibilità…»

«Monsieur, sei un diavolo», aveva detto Gabrielle. «Sei impossibile. Sei… come ti aveva chiamato Marius…, il più dannato degli esseri. Sono perfettamente d’accordo.»

Avevo riso, felice. Che dolce adulazione, adorabile nel francese antiquato.

E Louis era rimasto affascinato da lei, mentre stava nell’ombra e la guardava, reticente e pensoso come sempre. Era di nuovo immacolato, come se fossimo appena usciti dall’ultimo atto della Traviata per guardare i mortali che bevevano champagne ai tavoli dei caffè mentre passavano sferragliando le carrozze eleganti.

Avevo sentito che s’era formata la nuova congrega, un’energia magnifica, la negazione della realtà umana, noi tre insieme contro tutte le tribù e tutti i mondi. E un profondo senso di sicurezza, di slancio inarrestabile… come potevo spiegarglielo?