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Mi voltai lentamente e lo guardai, come per sfidarlo a restare. Era vecchio e gli opachi occhi grigi mi fissavano con ostinata indignazione; e mentre lo guardavo, proruppi in un gran ruggito a bocca aperta. Pareva che il grido provenisse dalla mia anima; divenne sempre più forte fino a quando i pochi rimasti nella platea si coprirono di nuovo le orecchie tremando; e persino Nicolas, che correva verso di me, vacillò sotto quel suono e si premette le mani contro la testa.

E l’uomo restava lassù, vecchio e indignato e tenace, con la fronte aggrottata sotto la parrucca grigia.

Indietreggiai e spiccai un balzo attraverso la sala vuota e atterrai nel palco davanti a lui. Spalancò la bocca e sbarrò gli occhi.

Sembrava deformato dall’età, con le spalle curve e le mani nodose; ma lo spirito che traspariva dai suoi occhi trascendeva la vanità e il compromesso. Indurì la bocca e sporse il mento. Estrasse dalla giacca la pistola e la puntò verso di me reggendola con entrambe le mani.

«Lestat!» gridò Nicki.

Ma risuonò lo sparo e la palla mi colpì con forza. Non mi mossi. Restai saldo come prima stava il vecchio, e la sofferenza dilagò in me e si arrestò, e lasciò una tensione terribile in tutte le mie vene.

Il sangue scorse. Scorse come non avevo mai visto scorrere il sangue. Intrise la camicia, e lo sentii colare sulla schiena. Ma la tentazione in me diventò più forte e ancora più forte, e un formicolio cominciò a fremere sulla superficie del dorso e del petto.

L’uomo mi fissava allibito. La pistola gli cadde dalle mani. Rovesciò la testa, con gli occhi ciechi, e si accasciò sul pavimento.

Nicki aveva salito correndo le scale. Si precipitò nel palco gemendo istericamente. Credeva di aver assistito alla mia morte.

E io ascoltavo il mio corpo, nella solitudine terribile che mi perseguitava da quando Magnus aveva fatto di me un vampiro. Sapevo che le ferite non c’erano più.

Il sangue si asciugava sul panciotto di seta, si asciugava sulla giacca perforata. Il mio corpo pulsava dove il proiettile mi aveva trapassato, e nelle mie vene c’era la stessa tensione. Ma la ferita non c’era più.

E Nicolas ritrovò la lucidità nel guardarmi, si accorse che ero illeso sebbene la ragione gli dicesse che non poteva essere vero.

Gli passai accanto e mi avviai verso le scale. Si gettò contro di me e io lo respinsi. Non sopportavo di vederlo, non sopportavo il suo odore.

«Stammi lontano!» dissi.

Ma Nicki mi passò il braccio intorno al collo. Aveva la faccia gonfia ed emetteva un suono impressionante.

«Lasciami, Nicki!» dissi minacciosamente. Se l’avessi respinto con un movimento troppo brusco, gli avrei disarticolato le braccia, gli avrei spezzato la schiena.

Spezzargli la schiena…

Gemette e balbettò. Per una frazione di secondo agghiacciante, i suoni che emetteva furono terribili come il lamento della mia cavalla morente sulla montagna, schiacciata come un insetto nella neve.

Quasi non sapevo cosa stavo facendo, quando mi svincolai dalle sue mani.

La folla si disperse urlando mentre uscivo nel boulevard.

Renaud accorse, nonostante gli sforzi di quelli che cercavano di trattenerlo.

«Monsieur!» Mi afferrò la mano per baciarla, poi si fermò nel vedere il sangue.

«Non è niente, mio caro Renaud», gli dissi, sorpreso dalla fermezza gentile della mia voce. Ma qualcosa mi distrasse mentre riprendevo a parlare: era qualcosa che avrei dovuto ascoltare, pensai vagamente. Tuttavia continuai.

«Non preoccupatevi, caro Renaud», dissi. «Sangue da palcoscenico, nient’altro che un’illusione. È stata tutta un’illusione. Una nuova varietà teatrale. Il dramma del grottesco, sì, del grottesco.»

Ma ritornò quella distrazione: era qualcosa che percepivo nella calca intorno a me, tra la gente che spingeva per venirmi vicino ma non troppo; e Nicolas sgranava gli occhi, sbigottito.

«Continuate con le commedie», dissi, sebbene fossi quasi incapace di concentrarmi sulle mie parole. «I vostri acrobati, le tragedie, il vostro teatro più civile, se volete.»

Tirai fuori le banconote dalla tasca e gliele misi nella mano tremante. Rovesciai molte monete d’oro sul marciapiedi. Timorosi, gli attori accorsero per raccoglierle. Guardai la folla in cerca della causa della strana distrazione: non era Nicolas che, sulla soglia del teatro deserto, mi guardava con l’anima spezzata.

No, era qualcosa di familiare e sconosciuto insieme, qualcosa che aveva a che fare con le tenebre.

«Scritturate i migliori interpreti», continuai. «i musicisti migliori, i più grandi pittori di scene.» Altre banconote. La mia voce stava ridiventando alta, la voce di vampiro. Rividi le smorfie, le mani che si alzavano: ma avevano paura di farsi vedere mentre si tappavano le orecchie. «Non c’è limite, non c’è limite a ciò che potete fare.»

Mi allontanai, trascinandomi dietro il roquelaure. La spada sferragliava goffamente perché non era affibbiata bene. Qualcosa nella tenebra.

E quando raggiunsi il primo vicolo e mi misi a correre, compresi che cosa avevo udito, che cosa mi aveva distratto. Era la presenza, innegabilmente tra la folla.

Lo sapevo per una semplice ragione: ora correvo per le viuzze secondarie più velocemente di quanto potesse un mortale. E la presenza non si faceva distanziare, e la presenza era più di una!

Quando ne fui certo, mi fermai.

Ero a un miglio dal boulevard e il vicolo tortuoso era stretto e nero.

E li udii prima che, all’improvviso, si decidessero a tacere.

Ero troppo ansioso e depresso per continuare quel gioco con loro. Ero troppo stordito. Gridai la stessa domanda: «Chi siete? Parlate!» I vetri delle finestre vicine tremarono. I mortali si girarono nei letti. Lì non c’era un cimitero. «Rispondete, branco di vigliacchi! Parlate se avete una voce, o lasciatemi in pace per sempre!»

E compresi, anche se non saprei dirvi come, che potevano sentirmi e rispondere, se volevano. Compresi che ciò che avevo sempre sentito era la prova insopprimibile della loro vicinanza e della loro intensità. Ma potevano velare i loro pensieri, e l’avevano fatto. Voglio dire, possedevano un intelletto e un eloquio.

Esalai un lungo respiro.

Il loro silenzio mi feriva; ma ero ferito mille volte di più da quanto era appena accaduto. E, come avevo fatto in passato, voltai loro le spalle.

Mi seguirono. Stavolta mi seguirono, per quanto mi muovessi rapidamente.

E non persi quello strano fremito della loro presenza fino a che non arrivai a Place de Grève ed entrai nella cattedrale di Notre-Dame.

Trascorsi il resto della notte nella cattedrale, rannicchiato in un angolo buio presso il muro di destra. Ero affamato a causa del sangue perduto e, ogni volta che un mortale si avvicinava, sentivo una tensione foltissima nei punti delle ferite.

Ma attendevo.

E, quando si avvicinò una giovane mendicante con un bambino, compresi che era giunto il momento. Lei vide il sangue raggrumato, e si preoccupò di portarmi all’ospedale vicino, l’Hôtel-Dieu. Aveva il viso scavato per la fame, ma cercò di sollevarmi con le braccia esili.

La guardai negli occhi fino a quando li vidi velarsi. Sentivo il calore dei suoi seni attraverso i cenci. Il corpo morbido e succulento si abbandonò contro di me come in un dono, mentre la stringevo contro i broccati e i pizzi insanguinati. La baciai e mi nutrii del suo calore mentre le scostavo gli stracci sporchi dalla gola, e mi chinai per bere con tanta destrezza che il bimbo addormentato non se ne accorse. Poi, con dita tremanti, aprii la camicia lacera del piccino. Anche quel piccolo collo era mio.