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Non voglio dire che sarei sprofondato di nuovo nel sonno. Ma avrei potuto allontanarmi dai Satan’s Night Out e vagare per qualche anno stordito, nel tentativo di ritrovare la lucidità.

Gli uomini, Alex, il giovane batterista esile e delicato, e il fratello Larry, più alto e biondo, riconobbero il mio nome quando dissi che era Lestat.

Non soltanto lo riconobbero, ma lo collegarono a una massa d’informazioni sul mio conto che avevano letto in un libro.

Anzi, trovarono delizioso che io non fingessi d’essere un vampiro qualunque. Oppure il conte Dracula. Erano tutti stanchi e nauseati del conte Dracula. Giudicavano meraviglioso che io fingessi d’essere il vampiro Lestat.

«Io fingo d’essere il vampiro Lestat?» chiesi.

Risero della mia esagerazione, del mio accento francese.

Li guardai, tutti, per un lungo istante, cercando di scrutare i loro pensieri, Naturalmente non mi ero aspettato che mi credessero un vampiro autentico. Ma aver letto di un vampiro inventato con un nome insolito come il mio? Come lo si poteva spiegare?

Stavo perdendo la sicurezza. E quando la perdo, i miei poteri si riducono. La stanzetta sembrava diventare ancora più piccola. E c’era qualcosa di minaccioso negli strumenti, l’antenna, i fili.

«Mostratemi il libro», dissi.

Andarono a prendere nell’altra stanza un «romanzo» tascabile che stava cadendo a pezzi. La rilegatura era andata, la copertina era strappata e le pagine erano tenute insieme da un elastico.

Provai un brivido sovrannaturale quando vidi la copertina, Intervista col vampiro. Parlava di un ragazzo mortale che convinceva uno dei non-morti a raccontare la sua storia.

Con il loro permesso andai nell’altra stanza, mi stesi sul letto e cominciai a leggere. Quando arrivai a metà, presi con me il volume e uscii. Rimasi immobile sotto un lampione con il libro, fino a quando lo finii. Poi lo riposi con cura nella tasca.

Non tornai dai tre del complesso per sette notti.

Durante gran parte di quel tempo ripresi a vagare rombando nella notte sulla mia Harley-Davidson, con le Variazioni Goldberg di Bach suonate a pieno volume. E mi domandavo: Lestat, adesso che cosa vuoi fare?

Per il resto del tempo studiavo con impegno rinnovato. Leggevo le grosse storie tascabili e i lessici della musica rock, le cronache dei suoi divi. Ascoltavo gli album e meditavo in silenzio sui videotape dei concerti. E quando la notte era deserta e silenziosa, sentivo le voci di Intervista col vampiro che cantavano per me, come se uscissero dalla tomba. Rilessi molte volte il libro. E poi, in un momento di collera riprovevole, lo feci a pezzi.

Alla fine presi una decisione.

M’incontrai con la mia giovane avvocatessa, Christine, nell’ufficio in cima al grattacielo dove c’era soltanto la luce del centro cittadino. Era incantevole, sullo sfondo della vetrata con gli edifici indistinti che formavano un panorama aspro e confuso dove ardevano mille torce.

«Non mi basta più che il mio piccolo complesso rock abbia successo», le dissi. «Dobbiamo creare una fama che porti il mio nome e la mia voce nei luoghi più remoti del mondo.»

Con calma e intelligenza, come fanno gli avvocati, mi sconsigliò di rischiare il mio patrimonio. Tuttavia, mentre insistevo con sicurezza maniacale, sentivo che si lasciava sedurre e che lentamente il suo buon senso cedeva.

«I migliori registi francesi dei video rock», dissi. «Deve chiamarli da New York e Los Angeles. Il denaro non manca. E qui può senza dubbio trovare gli studi dove faremo il lavoro. I giovani produttori discografici che poi provvedono al missaggio sonoro… anche in questo caso, cerchi i migliori. Non importa quello che spenderemo. L’importante è che sia orchestrato tutto, e che manteniamo il segreto fino al momento della rivelazione, quando i nostri album e i nostri video verranno diffusi assieme al libro che mi propongo di scrivere.»

Alla fine, l’avvocatessa aveva la testa che girava per i sogni di ricchezza e di potere. La sua penna volava mentre prendeva appunti.

E io cosa sognavo mentre le parlavo? Una ribellione senza precedenti, una sfida grandiosa e terribile ai miei simili in tutto il mondo.

«I video», dissi. «Deve trovare registi che realizzino le mie visioni. Devono essere in sequenza, devono narrare la vicenda del libro. Le canzoni, in gran parte le ho già scritte. Deve procurarsi strumenti di qualità superiore… sintetizzatori, i migliori sound systems, chitarre elettriche, violini. Agli altri dettagli penseremo poi. I costumi da vampiri, il metodo di presentazione alle stazioni televisive rock, la gestione della nostra prima comparsa in pubblico a San Francisco… tutto a suo tempo. L’importante è che adesso faccia le telefonate, si procuri le informazioni che le occorrono per incominciare.»

Non tornai dai Satan’s Nìght Out fino a quando non furono stilati i primi accordi e non ebbi le firme. Le date furono fissate, gli studi vennero presi in affitto e furono scambiate le lettere d’intesa.

Poi Christine venne con me. Avevamo una colossale berlina per i miei cari, giovani suonatori di rock, Larry, Alex e Tough Cookie. Avevamo a disposizione capitali enormi, e avevamo i documenti da firmare.

Sotto le querce sonnolente della tranquilla via di Garden District, versai per loro lo champagne nei bicchieri di cristallo.

«Al Vampiro Lestat», cantammo al chiaro di luna. Sarebbe stato il nuovo nome del complesso, del libro che avrei scritto. Tough Cookie mi abbracciò. Ci baciammo teneramente tra le risate e l’odore del vino. Ah, il profumo del sangue innocente!

E quando se ne furono andati a bordo della berlina tappezzata di velluto, mi avviai tutto solo nella notte tiepida verso St. Charles Avenue, e pensai al pericolo che incombeva sui miei piccoli amici mortali.

Non ero io a costituirlo, naturalmente. Ma quando il lungo periodo di segretezza fosse finito, sarebbero apparsi ignari e innocenti nella luce della ribalta internazionale con il loro divo sinistro e avventato. Be’, li avrei circondati di guardie del corpo e di assistenti per tutti gli scopi immaginabili. Li avrei protetti dagli immortali come meglio potevo. E se gli immortali erano ancora come nei tempi andati, non avrebbero mai rischiato una lotta volgare con una simile forza umana.

Mentre percorrevo la via affollata, avevo gli occhi coperti da occhiali a specchio. Presi il vecchio, traballante tram di St. Charles.

E tra la folla della prima sera entrai nell’elegante libreria a due piani De Ville Books, e fissai il piccolo tascabile che stava su uno scaffale, Intervista col vampiro.

Mi chiesi quanti della nostra specie avessero «notato» il libro. Non aveva importanza, per il momento, che i mortali lo considerassero un’opera di fantasia. E gli altri vampiri? Se c’è una legge che i vampiri considerano sacra, è questa: non si parla di noi ai mortali.

Non si rivelano mai agli umani i nostri segreti, a meno che s’intenda far loro il Dono Tenebroso dei nostri poteri. Non si nominano mai gli altri immortali. Non si dice mai dove potrebbero essere i loro covi.

Il mio carissimo Louis, il narratore dell’Intervista col vampiro, tutto questo l’aveva fatto. Era andato molto al di là della mia piccola rivelazione segreta ai cantanti rock. L’aveva detto a centinaia di migliaia di lettori. Era quasi come se avesse disegnato una piantina e tracciato una «X» nel punto di New Orleans dove io dormivo, anche se non era chiaro cosa ne sapesse e quali fossero le sue intenzioni.

Comunque, gli altri gli avrebbero dato la caccia per ciò che aveva fatto. E ci sono sistemi molto semplici per annientare i vampiri, soprattutto ora. Se Louis esisteva, era un fuorilegge e viveva sotto la minaccia di un pericolo rappresentato dalla nostra specie, un pericolo quale nessun mortale avrebbe mai potuto costituire.