Sapevo che dovevamo entrare nella camera interna attraverso il passaggio segreto prima che si arrampicassero sul muro esterno. Non dovevano vederci mentre spostavamo la pietra.
Chiusi tutte le porte dietro di me più rapidamente che potei, e portai Gabrielle su per la scala.
Quando raggiungemmo la camera segreta e rimettemmo a posto la pietra, udii i loro ululati e le loro strida, all’esterno, e lo strusciare contro i muri.
Presi una bracciata di legna da ardere e la buttai sotto la finestra.
«Presto, le fascine!» dissi.
Ma una mezza dozzina di facce bianche era già arrivata alle sbarre. Le grida echeggiavano mostruosamente nella piccola cella. Per un momento non potei far altro che fissarli mentre indietreggiavo.
Si aggrappavano alle grate di ferro come tanti pipistrelli, ma non erano pipistrelli. Erano vampiri, vampiri come noi, in forma umana.
Gli occhi scuri ci fissavano sotto i ciuffi di capelli sporchi, e gli ululati diventavano più forti e rabbiosi, le dita strette alle sbarre erano incrostate di sudiciume. I loro indumenti non erano altro che stracci incolori. E il lezzo che emanavano era quello di un cimitero.
Gabrielle lanciò le fascine e indietreggiò di scatto quando i vampiri tentarono di afferrarla. Snudarono le zanne. Urlarono. Cercarono di raccogliere la legna da ardere e di ributtarcela. Tirarono insieme la grata come per svellarla.
«Prendi l’esca, la selce e l’acciarino», gridai. Sollevai uno dei pezzi di legno più robusti e lo lanciai contro la faccia più vicina. Il mostro cadde dal muro. Erano esseri deboli. Lo sentii urlare mentre precipitava, ma gli altri afferrarono il pezzo di legno e lottarono contro di me, mentre facevo cadere un altro di loro. Gabrielle, intanto, aveva acceso le fascine.
Le fiamme s’innalzarono. Le urla cessarono, lasciarono posto a esclamazioni affannose.
«Al fuoco! Indietro! Giù, via, idioti! Giù, giù! Le sbarre scottano! Via, presto!»
Parlavano un francese normalissimo. Anzi, c’era un flusso crescente di imprecazioni in gergo.
Scoppiai a ridere, battei i piedi e li additai, mentre guardavo Gabrielle.
«Maledetto bestemmiatore!» urlò uno dei mostri. Poi le fiamme gli lambirono le mani e cadde ululando.
«Maledetti i profanatori, i fuorilegge!» erano le grida che salivano dal basso, in coro. «Maledetti i fuorilegge che hanno osato entrare nella Casa di Dio!» Ma stavano ridiscendendo in fretta a terra. I pesanti ceppi prendevano fuoco e le fiamme salivano al soffitto.
«Tornate al vostro cimitero, branco di buffoni!» dissi. Avrei buttato il fuoco addosso a loro, se avessi potuto avvicinarmi alla finestra.
Gabrielle era immobile e socchiudeva gli occhi, in ascolto.
Dal basso continuarono a giungere grida e ululati. Un nuovo coro di maledizioni contro coloro che violavano le sacre leggi e bestemmiavano e destavano la collera di Dio e di Satana. Attaccavano le porte e le finestre del piano terreno e facevano gesti stupidi come scagliare sassi contro i muri.
«Non possono entrare», disse Gabrielle a voce bassa, continuando a restare in ascolto. «Non possono sfondare la porta.»
Non ne ero tanto certo. La porta era vecchissima e arrugginita. Non restava che attendere.
Mi accasciai sul pavimento e mi appoggiai al sarcofago con le braccia contro il petto, la schiena curva. Non ridevo più.
Anche Gabrielle sedette contro il muro, con le gambe allungate. Ansava un poco e i capelli si scioglievano dalla treccia. Era come il cappuccio di un cobra intorno al suo viso, e le ciocche si incollavano alle guance bianche. La fuliggine aderiva ai suoi indumenti.
Il caldo del fuoco era opprimente. La camera priva d’aria era invasa dai vapori e le fiamme scacciavano la notte. Ma potevamo respirare, e soffrivamo soltanto per la paura e lo sfinimento.
A poco a poco compresi che Gabrielle aveva ragione, per quanto riguardava la porta. Non erano riusciti a sfondarla. Sentivo che si stavano allontanando.
«Che la collera di Dio punisca i profanatori!»
Sentii un movimento che veniva dalla scuderia. Vidi con la mente il povero ragazzo mortale e mezzo scemo che, atterrito, veniva trascinato fuori dal nascondiglio, e la mia rabbia ingigantì. Mi mandavano con il pensiero immagini della scena, l’assassinio di quel povero ragazzo. Maledetti.
«Non muoverti», disse Gabrielle. «È troppo tardi.»
Spalancò gli occhi e poi di nuovo li socchiuse mentre stava in ascolto. Era morto, quel povero infelice.
Sentii la morte come se avessi visto un uccellino scuro involarsi all’improvviso dalla scuderia. Gabrielle stava tesa come se anche lei lo vedesse; poi si abbandonò come se avesse perso conoscenza, sebbene così non fosse. Mormorò una frase che mi parve: «velluto rosso», ma non afferrai bene le parole.
«Vi punirò per ciò che avete fatto, banda di delinquenti!» dissi a voce alta, e lanciai il pensiero contro di loro. «Giuro che la pagherete.»
Ma sentivo le mie membra farsi sempre più pesanti. Il calore del fuoco era come una droga. E gli strani avvenimenti di quella notte facevano sentire il loro effetto.
Ero esausto e, nel bagliore del fuoco, non riuscivo a immaginare l’ora. Per un istante sognai, credo, e mi svegliai con un brivido, senza sapere quanto tempo fosse passato.
Alzai lo sguardo e scorsi la figura di un giovane ultraterreno, un giovane squisito che camminava avanti e indietro.
Naturalmente era solo Gabrielle.
6.
Mi dava un’impressione di forza quasi straripante mentre camminava avanti e indietro. Tuttavia, quella forza era contenuta nella grazia. Sferrò un calcio ai ceppi e guardò i tizzoni neri fiammeggiare per un momento. Potevo vedere il cielo. Rimaneva forse un’ora.
«Ma chi sono?» domandò. Stava davanti a me, a gambe larghe, e muoveva le mani in gesti liquidi. «Perché ci hanno chiamati fuorilegge e bestemmiatori?»
«Ti ho detto tutto quel che so», confessai. «Fino a stanotte non credevo che possedessero facce, membra e voci.»
Mi rialzai e mi spolverai gli abiti.
«Ci hanno maledetti perché siamo entrati nelle chiese!» disse Gabrielle. «Hai colto le immagini che irradiavano? E non sapevano come avessimo potuto farlo. Loro non oserebbero.»
Per la prima volta notai che tremava. C’erano altri piccoli segni d’allarme, il fremito degli occhi, i gesti con cui continuava a scostarsi dal viso i capelli sciolti.
«Gabrielle», dissi, cercando di assumere un tono autorevole e rassicurante, «l’importante è andarcene da qui, ora. Non sappiamo quando si svegliano quegli esseri, e tra quanto torneranno dopo il tramonto. Dobbiamo scoprire un altro nascondiglio.»
«La cripta delle segrete», disse lei.
«Una trappola peggiore di questa, se sfondano la porta», dissi. Guardai di nuovo il cielo e scostai la pietra del passaggio. «Vieni», esclamai.
«Ma dove stiamo andando?» chiese Gabrielle. Per la prima volta in quella notte appariva quasi fragile.
«In un villaggio più a est», risposi. «È evidente che il rifugio più sicuro sarà la chiesa.»
«E lo faresti?» chiese lei. «Andresti in chiesa?»
«Certo! Come hai appena detto, i mostriciattoli non oseranno entrare. E le cripte sotto l’altare devono essere buie e profonde come una tomba.»
«Ma, Lestat… proprio sotto l’altare!»
«Madre, mi sorprendi», dissi. «Alcune delle mie vittime le ho prese sotto il tetto di Notre-Dame.» Ma mi venne un’altra idea. Corsi alla cassapanca di Magnus e cominciai a frugare nel tesoro. Presi due rosari, uno di perle e un altro di smeraldi. Tutti e due avevano i soliti crocifissi.
Gabrielle mi guardava, pallida e tesa.
«Prendi questo», le dissi porgendole il rosario di smeraldi. «Tienilo addosso. Se e quando li incontreremo, mostragli il crocifisso. Se ho ragione, li metterà in fuga.»