«Ma cosa accadrà se nella chiesa non troveremo un posto sicuro?»
«Come posso saperlo? Torneremo qui!»
Sentivo la paura che cresceva dentro di lei e s’irradiava mentre esitava e guardava dalla finestra le stelle che impallidivano. Era passata attraverso il velo della morte con la promessa dell’eternità e adesso era di nuovo in pericolo.
Le presi dalla mano il rosario, la baciai, e poi glielo misi nella tasca della giacca.
«Gli smeraldi simboleggiano la vita eterna, madre», dissi.
Sembrava di nuovo un ragazzo, mentre gli ultimi bagliori del fuoco le delineavano la guancia e la bocca.
«È come ho detto prima», mormorò. «Tu non hai paura di niente, vero?»
«Che importanza ha, se ho paura o no?» Scrollai le spalle, le presi il braccio e la guidai verso il passaggio. «Siamo esseri che gli altri temono», dissi. «Non dimenticarlo.»
Quando arrivammo alla scuderia, vidi che il ragazzo era stato assassinato barbaramente. Il corpo straziato giaceva sulla paglia come se vi fosse stato scagliato da un titano. L’occipite era fracassato. E per beffarsi di lui o di me, l’avevano vestito di una lussuosa giacca di velluto rosso. Velluto rosso… Erano le parole che aveva mormorato Gabrielle quando era stato commesso il delitto. Io avevo veduto solo la morte. Distolsi gli occhi disgustato. E i cavalli non c’erano più.
«La pagheranno», dissi.
Le presi la mano. Ma lei continuò a fissare il corpo del ragazzo come se l’attirasse. Mi lanciò un’occhiata.
«Ho freddo», mormorò. «Sto perdendo le forze. Devo assolutamente andare dov’è buio. Lo sento.»
La condussi oltre la collina, verso la strada.
Non c’erano mostriciattoli urlanti nascosti nel camposanto della chiesa, naturalmente. Non avevo pensato che ci fossero. Da molto tempo la terra delle vecchie tombe non era stata smossa.
Gabrielle non aveva la forza di parlare.
La portai quasi di peso alla porta laterale della chiesa e spezzai la serratura senza fare rumore.
«Ho freddo e mi bruciano gli occhi», disse sottovoce. «Un posto buio.»
Tuttavia, mentre stavo per condurla all’interno, si fermò.
«E se loro avessero ragione?» disse. «Se la Casa di Dio non fosse posto per noi?»
«Assurdità, sciocchezze. Dio non è nella Casa di Dio.»
«Taci!» gemette.
La trascinai attraverso la sacrestia e poi davanti all’altare. Si coprì il viso, e poi alzò gli occhi verso il crocifisso sopra il tabernacolo. Gettò un’esclamazione soffocata. Ma si schermò gli occhi per ripararli dalle finestre di vetri istoriati. Il sole che sorgeva e che io neppure sentivo la stava già bruciando.
La sollevai come avevo fatto la notte precedente. Dovevo trovare una vecchia cripta, in disuso da anni. Mi avviai verso l’altare della Beata Vergine, dove le iscrizioni erano quasi cancellate dal tempo. M’inginocchiai, agganciai le unghie intorno a una lastra di pietra, La sollevai e scoprii un sepolcro profondo con un’unica bara imputridita.
Portai Gabrielle con me nel sepolcro e rimisi a posto le pietre.
C’era una tenebra totale. La bara si schiantò sotto il mio peso, e sentii sotto la mano un teschio sgretolato. Sentii l’angolosità delle altre ossa contro il petto. Gabrielle parlò come se fosse in trance.
«Sì. Lontano dalla luce.»
«Siamo al sicuro», mormorai.
Scostai le ossa e feci un nido con il legno corroso e la polvere, troppo vecchi per conservare l’odore della putrefazione umana.
Ma non mi addormentai ancora per un’ora o più.
Continuavo a pensare al mozzo di stalla, straziato e buttato là con quella lussuosa giacca di velluto rosso. Avevo già visto la giacca e non ricordavo dove. Era una delle mie? Erano entrati nella torre? No, non era possibile. Avevano fatto confezionare una giacca identica? Erano arrivati a tanto per farsi beffe di me? No. Com’era possibile che quegli esseri facessero una cosa simile? Eppure… quella giacca. Aveva qualcosa di particolare…
7.
Non appena aprii gli occhi, sentii un canto sommesso e bellissimo. E, come spesso il suono può fare anche nei suoi frammenti più preziosi, mi riportò all’infanzia, a una notte d’inverno quando tutta la mia famiglia era andata nella chiesa del nostro villaggio ed era rimasta per ore fra le candele accese, a respirare l’aroma pesante e sensuale dell’incenso mentre il prete guidava la processione reggendo alto l’ostensorio.
Ricordavo la bianca ostia rotonda dietro il vetro, la raggerà d’oro e di gemme che la circondava, e il baldacchino ricamato che ondeggiava pericolosamente mentre i chierichetti dalle cotte di pizzo si affannavano a sorreggerlo.
E mille benedizioni avevano impresso nella mia mente le parole del vecchio inno:
E, mentre giacevo tra i resti della bara spezzata sotto la lastra di marmo bianco, nella grande chiesa di campagna, e Gabrielle era ancora avvinghiata a me nella paralisi del sonno, mi resi conto a poco a poco che lassù, in quel momento, c’erano centinaia di umani che cantavano lo stesso inno.
La chiesa era piena di gente! E non potevamo uscire da quel nido d’ossa fino a che non se ne fossero andati tutti quanti.
Intorno a me, nel buio, sentivo esseri che si muovevano. Sentivo l’odore dello scheletro sgretolato su cui giacevo. Sentivo anche l’odore della terra, e sentivo l’umidità cruda e il freddo.
Le mani di Gabrielle erano mani morte che mi stringevano. Il suo viso era inflessibile come osso.
Cercai di non pensarci e di rimanere assolutamente immobile.
Centinaia di umani respiravano e sospiravano sopra di noi. Forse erano mille. E avevano appena incominciato a cantare il secondo inno.
E adesso che cosa viene? mi chiesi fremendo. Le litanie, la benedizione. Quella notte non avevo il tempo di restare là a rimuginare. Dovevo uscire. L’immagine della giacca di velluto rosso riapparve con un senso irrazionale d’urgenza e una fitta di sofferenza altrettanto inesplicabile.
E all’improvviso Gabrielle aprì gli occhi. Non lo vidi, naturalmente. La tenebra era totale. Lo sentii. Sentii le sue membra che riprendevano vita.
E appena si mosse, subito s’irrigidì allarmata. Le premetti la mano sulla bocca.
«Taci», mormorai. Ma sentivo che era in preda al panico.
Dovette ricordare tutti gli orrori della notte precedente, e il fatto che era chiusa in un sepolcro con uno scheletro spezzato, e giaceva sotto una pietra che avrebbe potuto sollevare a stento.
«Siamo nella chiesa», le bisbigliai. «Siamo al sicuro.»
Il canto proseguì. «Tantum ergo sacramentum, veneremur cemui.»
«No, è una benedizione», gemette Gabrìelle, Cercava dì restare immobile; ma all’improvviso non resistette più e dovetti tenerla stretta con entrambe le braccia.
«Dobbiamo uscire», mormorò, «Lestat, per amor di Dio, c’è il Santissimo Sacramento sull’altare!»
I resti della bara di legno scricchiolarono contro la pietra. Rotolai addosso a Gabrielle e la bloccai con il mio peso.
«Non muoverti, capito?» dissi. «Non possiamo far altro che aspettare!»
Ma il suo panico mi stava contagiando. Sentii i frammenti d’osso sbriciolarsi sotto le mie ginocchia, respirai l’odore della stoffa marcia. Sembrava che il lezzo della morte penetrasse le pareti del sepolcro. Sapevo che non avrei potuto sopportarlo.