Lanciai il cavallo. I mostri sfrecciavano sul tetto come ratti. Le loro voci si levavano in un ululato fioco che i mortali non avrebbero potuto udire.
Gabrielle soffocò un grido quando vedemmo le braccia e le gambe bianche scendere dai muri davanti a noi e sentimmo, alle nostre spalle i tonfi dei loro piedi sulle pietre.
«Avanti!» gridai. Sguainai la spada e mi avventai verso le due figure lacere che erano balzate sul nostro percorso. «Via, via, esseri dannati!» gridai, mentre sentivo le loro urla.
Per un momento vidi le loro facce angosciate. Quelli che stavano in alto sparirono, quelli dietro di noi parvero indebolirsi. Continuammo la corsa, allungando le distanze tra noi e gli inseguitori fino a quando uscimmo nella deserta Place de Grève.
Ma i mostri si stavano radunando ai margini della piazza; e questa volta udivo i loro pensieri. Uno domandava quali poteri avevamo e perché dovevano aver paura di noi, e un altro insisteva perché ci attaccassero.
In quel momento una forza s’irradiò da Gabrielle, sicuramente, perché li vidi indietreggiare quando lanciò un’occhiata nella loro direzione e strinse più forte la spada.
«Fermali, allontanali», disse sottovoce. «Sono terrorizzati.» Poi la sentii imprecare. Dalle ombre dell’Hôtel-Dieu venivano volando verso di noi almeno altri sei demoni, con le membra bianche avvolte in cenci, i capelli scomposti, le bocche aperte in gemiti terribili. Incitavano gli altri. La malvagità che ci attorniava stava acquistando forza.
Il cavallo s’impennò e per poco non ci buttò a terra. Gli stavano ordinando di fermarsi, come io gli comandavo di procedere.
Afferrai Gabrielle alla vita, balzai da cavallo e corsi verso la porta di Notre-Dame.
Un vociare orribile, irridente si levò silenzioso nelle mie orecchie… gemiti e grida e minacce.
«Non osate, non osate!» La malignità si spalancò sopra di noi come il calore di una fornace. I loro piedi trepestavano tutto intorno e sentivo le mani che cercavano di afferrare la mia spada e la giacca.
Ma sapevo con certezza che cosa sarebbe accaduto quando avessimo raggiunto la chiesa. Mi slanciai spingendo davanti a me Gabrielle, e varcammo insieme la soglia della cattedrale, scivolando, e finimmo lunghi distesi sulle pietre.
Urla. Orribili urla che salivano e salivano, e poi un grande frastuono come se l’orda fosse stata dispersa da un colpo di cannone.
Mi rialzai, ridendo fragorosamente. Ma non rimasi ad attendere accanto alla porta. Gabrielle s’era alzata e mi trascinava via. Avanzammo nella navata buia, oltre le arcate maestose fino a quando ci avvicinammo alle candele; cercammo un angolo vuoto accanto a un altare secondario e cademmo in ginocchio.
«Come quei dannati lupi», dissi. «Una maledetta imboscata.»
«Sttt, taci un momento», disse Gabrielle aggrappandosi a me. «Altrimenti i nostri cuori immortali scoppieranno.»
9.
Dopo un lungo momento la sentii irrigidirsi. Guardava verso la piazza.
«Non pensare a Nicolas», disse. «Loro attendono e ascoltano. Odono tutto ciò che passa nelle nostre menti.»
«Ma loro che cosa pensano?» bisbigliai. «Che cosa passa nelle loro teste?»
La sentii concentrarsi.
La strinsi a me e guardai la luce argentea che entrava dalla porta aperta. Anch’io li sentivo, adesso: ma era solo un suono sommesso e tremulo.
Mentre guardavo la pioggia, fui sopraffatto da un fortissimo senso di pace. Era quasi sensuale. Mi sembrava che avremmo dovuto arrenderci, che fosse assurdo resistere ancora. Tutto si sarebbe risolto se fossimo usciti e ci fossimo consegnati. Non avrebbero torturato Nicolas, che avevano in loro potere; non l’avrebbero fatto a pezzi.
Vedevo Nicolas nelle loro mani. Indossava soltanto la camicia di pizzo e le brache perché gli avevano tolto la giacca. E lo sentivo urlare mentre gli slogavano le braccia. Gridai «No!» e mi tappai la bocca con le mani per non svegliare i mortali presenti nella chiesa.
Gabrielle mi toccò le labbra con le dita. «Non lo stanno facendo», disse sottovoce. «È solo una minaccia. Non pensare a lui.»
«Dunque è ancora vivo», sussurrai.
«È ciò che vogliono farci credere. Ascolta!»
Ritornarono il senso di pace, e l’appello a raggiungerli, la voce che diceva: «Uscite dalla chiesa. Arrendetevi, vi diamo il benvenuto e non vi faremo alcun male se verrete a noi».
Mi voltai verso la porta e mi alzai. Ansiosamente, anche Gabrielle si alzò e mi trattenne con un gesto. Non osava neppure parlarmi mentre guardavamo entrambi la grande arcata di luce argentea.
«Mentite», dissi io. «Non avete nessun potere su di noi! Era una corrente di sfida che passava dalla porta lontana. Arrenderci a voi? Se lo facessimo, che cosa vi impedirebbe di tenerci prigionieri tutti e tre? Perché dovremmo uscire? In questa chiesa siamo al sicuro; possiamo nasconderei nelle cripte sepolcrali più profonde. Possiamo andare a caccia tra i fedeli, bere il loro sangue nelle cappelle e nelle nicchie senza farci mai scoprire, e mandare le nostre vittime a morire stordite per le strade. E voi che cosa fareste, voi che non potete neppure varcare la soglia? Inoltre, non crediamo che abbiate Nicolas. Mostratecelo. Fatelo venire alla porta a parlare.»
Gabrielle era confusa. Mi scrutava, ansiosa di sapere che cosa dicevo. Udiva chiaramente i mostri mentre io non li sentivo mentre emettevo quegli impulsi.
Mi sembrava che le loro emanazioni si fossero indebolite; ma non erano cessate.
Continuarono come se io non avessi risposto, come se fosse qualcuno che mormorava. Promettevano di nuovo la tregua, e sembravano parlare d’estasi, assicuravano che in quel grande piacere di partecipazione tutti i conflitti si sarebbero risolti. Era di nuovo un appello sensuale, bellissimo.
«Miserabili vigliacchi, tutti quanti», sospirai. Questa volta pronunciai le parole perché sentisse anche Gabrielle. «Mandate Nicolas nella chiesa.»
Il brusio delle voci si assottigliò. Io continuai: ma là fuori c’era un silenzio cavernoso, come se altre voci tacessero e ne restassero appena una o due. Poi sentii i suoni fievoli e caotici del contrasto e della ribellione.
Gabrielle socchiuse gli occhi.
Silenzio. Là fuori c’erano soltanto i mortali che attraversavano la Place de Grève lottando contro il vento. Non avevo creduto che i mostri si sarebbero ritirati. E adesso, che cosa dovevamo fare per salvare Nicki?
Battei le palpebre. Mi sentivo improvvisamente stanco; era quasi un senso di disperazione. E pensai, confusamente: «È ridicolo, io non dispero mai. Altri possono farlo, io no. Io continuo a lottare, qualunque cosa accada. Sempre».
E, mentre ero sopraffatto dallo sfinimento e dalla collera, vedevo Magnus che balzava nel fuoco, vedevo la sua smorfia prima che le fiamme lo consumassero e lo facessero scomparire. Era disperazione?
Quel pensiero mi paralizzò. Mi fece inorridire come mi aveva fatto inorridire allora la realtà. E provai la sensazione stranissima che qualcuno mi parlasse di Magnus. Perciò avevo pensato a lui!
«Troppo ingegnoso…» sussurrò Gabrielle.
«Non ascoltare. Giocano con i nostri pensieri», dissi.
Ma mentre guardavo la porta aperta vidi apparire una figura minuscola. Era compatta: la figura di un ragazzo, non di un uomo.
Avrei desiderato che fosse Nicolas, ma compresi subito che non era lui. Era più piccolo sebbene più massiccio. E non era umano.
Gabrielle si lasciò sfuggire un mormorio di stupore che sembrava quasi una preghiera.
Non era vestito, quell’essere, come vestivano gli uomini. Portava un’elegante tunica con cintura, e le gambe ben modellate erano fasciate dalle calze. Le maniche erano ampie e pendule. Era vestito come Magnus, per la precisione; e per un momento pensai che fosse Magnus, ritornato per magia.