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Più avanti c’era una luce di torce; e tra un coro di gemiti luttuosi giungevano altre grida, lontane ma piene di sofferenza. Tuttavia qualcosa, al di là delle grida sconvolgenti, aveva attirato la mia attenzione.

Tra tutta quella sozzura percepivo la vicinanza di un mortale. Era Nicolas ed era vivo: potevo udire la corrente vulnerabile dei suoi pensieri mescolata al suo dolore. E c’era qualcosa di orribilmente stravolto nei suoi pensieri. Erano un caos.

Non potevo sapere se Gabrielle l’aveva captato.

All’improvviso venimmo scagliati insieme nella polvere. Gli altri indietreggiarono.

Mi alzai e sollevai Gabrielle. E vidi che eravamo in una grande camera a cupola, scarsamente illuminata da tre torce che i vampiri tenevano disposte a triangolo. Noi eravamo al centro.

Qualcosa di nero e immenso nel fondo della camera; odore di legna e di pece, di stoffe umide e muffite, e di un mortale vivo: Nicolas.

I capelli di Gabrielle si erano sciolti e le ricadevano sulle spalle mentre si aggrappava a me e si guardava intorno con occhi cauti e calmi, almeno in apparenza.

Intorno a noi si levavano i gemiti, ma le suppliche più penetranti giungevano dagli altri esseri che avevamo udito in precedenza, le creature nelle viscere della terra.

E compresi che erano vampiri sepolti, quelli che urlavano, urlavano invocando il sangue, invocavano il perdono e la liberazione, e persino le fiamme dell’inferno. Il suono era insopportabile quanto il lezzo.

Non percepivo un pensiero autentico irradiato da Nicki, ma solo il lucore tremulo e informe della sua mente. Stava sognando? Era impazzito?

Il rullo dei tamburi era fortissimo e vicino; tuttavia le urla trapassavano continuamente il suono, senza ritmo e senza preavviso. I lamenti di coloro che ci stavano più vicini si spensero, ma i tamburi continuarono: d’un tratto mi parve che il rullo provenisse dall’interno della mia mente.

Tentai disperatamente di non premermi le mani sulle orecchie, e mi guardai intorno.

S’era formato un grande cerchio: c’erano almeno dieci esseri. Vedevo giovani e vecchi, uomini e donne, un bambino… e tutti erano abbigliati con resti di indumenti umani, incrostati di terra, i piedi scalzi e i capelli sporchi. C’era la donna che mi aveva parlato sulla scala, e il suo corpo ben modellato era avvolto in una veste lurida, gli occhi neri scintillavano come gemme nella sporcizia mentre ci studiava. E al di là di questa avanguardia ce n’erano due che, nell’ombra, battevano sui tamburi.

In silenzio invocai la forza. Cercai di udire Nicolas senza pensare a lui. Un voto solenne: Farò in modo che usciamo tutti di qui, anche se al momento non so esattamente come.

Il rullo dei tamburi rallentava, diventava una cadenza disgustosa che mi serrava la gola con una morsa di paura. Uno dei portatori di torcia si avvicinò.

Sentivo l’aspettativa degli altri, l’eccitazione palpabile mentre la fiamma si accostava a me.

Strappai la torcia all’essere e gli torsi la mano destra fino a costringerlo in ginocchio. Con un calcio violento lo stesi; e, quando gli altri si avventarono, roteai la torcia per tenerli lontani.

Poi, con un gesto di sfida, buttai la torcia a terra.

Il gesto li colse alla sprovvista. Percepii un silenzio improvviso. L’eccitazione si era dileguata; o meglio era diventata qualcosa di più paziente e meno frenetico.

I tamburi battevano con insistenza; ma sembrava che i vampiri li ignorassero. Fissavano le fibbie delle nostre scarpe, i nostri capelli e le nostre facce, con un’ansia che appariva minacciosa e famelica. E il bambino, con un’espressione angosciata, tese la mano per toccare Gabrielle.

«Indietro!» sibilai. Obbedì e raccolse da terra la torcia.

Ma ora lo sapevo con certezza: eravamo circondati dall’invidia e dalla curiosità, ed era il nostro vantaggio più forte.

Girai lo sguardo dall’uno all’altro. Lentamente, incominciai a scuotermi il sudiciume dalla giacca e dalle brache, mi assestai il mantello sulle spalle. Quindi mi passai la mano tra i capelli e incrociai le braccia. Ero l’immagine della dignità più virtuosa, mentre mi guardavo intorno.

Gabrielle sorrise lievemente. Stava composta, con la mano sull’impugnatura della spada.

Tutti gli altri erano sbalorditi. La femmina dagli occhi scuri sembrava affascinata. Le strizzai l’occhio. Sarebbe stata piacente se qualcuno l’avesse buttata sotto una cascata e ce l’avesse tenuta per mezz’ora; glielo dissi, in silenzio. La femmina indietreggiò di due passi e si chiuse la veste sul seno. Interessante. Molto interessante, davvero.

«Qual è la spiegazione di tutto questo?» chiesi, fissandoli a uno a uno come se fossero individui molto bizzarri. Gabrielle sorrise di nuovo.

«Che cosa volete essere?» chiesi. «Immagini di spettri che vanno in giro scuotendo le catene e infestando i cimiteri e gli antichi castelli?»

Si scambiavano occhiate un po’ inquiete. I tamburi non suonavano più.

«La mia balia mi raccontava spesso storie di diavoli», dissi. «Mi diceva che da un momento all’altro potevano schizzar fuori dalle armature per portarmi via.» Battei con forza il piede e avanzai. «È questo che siete?» Arretrarono urlando.

Ma la donna dagli occhi neri non si mosse.

Risi sommessamente.

«E i vostri corpi sono come i nostri, no?» Domandai. «Lisci, privi di difetti. E nei vostri occhi vedo un riflesso dei miei poteri. È molto strano…»

Erano confusi. E gli ululati che provenivano dai muri sembravano più fiochi, come se i vampiri sepolti ascoltassero nonostante la sofferenza.

«È così piacevole vivere tra il sudiciume e il fetore?» Chiesi. «Lo fate per questo?»

Paura. Di nuovo invidia. Si chiedevano come eravamo riusciti a sottrarci al loro destino.

«Il nostro capo è Satana», disse in tono brusco la donna dagli occhi neri. Era la voce di una persona colta. Doveva essere stata ragguardevole, quand’era mortale. «E serviamo Satana come è doveroso.»

«Perché?» chiesi educatamente.

Costernazione generale.

Un vago barlume di Nicolas. Un agitarsi senza direzione. Aveva sentito la mia voce?

«Con la tua sfida attirerai la collera di Dio su tutti noi», disse il ragazzo, il più giovane di tutti, che non poteva aver avuto più di sedici anni quanto era stato fatto vampiro. «Per vanità e perversione, tu dispregi le Usanze Tenebrose. Vivi tra i mortali! Ti aggiri nei luoghi della luce.»

«E perché non lo fate anche voi?» chiesi. «Dovrete andare in paradiso volando sulle ali candide, quando si sarà concluso questo vostro soggiorno penitenziale? È questo che vi ha promesso Satana? La salvezza eterna? Al vostro posto non ci conterei.»

«Finirai nell’abisso infernale per i tuoi peccati!» disse un’altra, una minuscola megera. «Non avrai più il potere di compiere il male sulla terra.»

«E quando dovrebbe accadere?» chiesi. «Sono ciò che sono da sei mesi e Dio e Satana non mi hanno mai dato fastidio. Siete voi a darmene!»

Rimasero paralizzati per un momento. Perché non eravamo morti folgorati quando eravamo entrati nelle chiese? Come potevamo essere ciò che eravamo?

Molto probabilmente avrei potuto disperderli in quel momento. Ma Nicki? Se i suoi pensieri avessero avuto un orientamento, avrei avuto un’immagine esatta di ciò che stava al di là dell’enorme mucchio di stoffa nera e ammuffita.

Continuai a osservare i vampiri.

Legna, resina… là c’era sicuramente una pira. E quelle maledette torce.

La donna dagli occhi scuri si avvicinò. Non c’era malizia, in lei: era soltanto affascinata. Ma il ragazzo la spinse da parte, esasperandola. Si avvicinò tanto che sentii sulla faccia il suo alito:

«Bastardo!» Disse. «Sei stato fatto vampiro dal reietto Magnus, in una sfida alla congrega, in una sfida alle Leggi Tenebrose. E così pure hai dato il Dono Tenebroso a questa donna, con la stessa avventatezza e vanità con cui era stato dato a te.»