«Se Satana non punisce», disse la megera, «puniremo noi, com’è nostro dovere e nostro diritto!»
Il ragazzo indicò la pira drappeggiata di nero e accennò agli altri di scostarsi.
I tamburi ripresero a suonare, rapidamente. Il cerchio si allargò, i portatori di torce si avvicinarono ai drappi.
Due degli altri strapparono i grandi teli di sargia nera che sollevarono nubi di polvere soffocante.
La pira era grande quanto quella che aveva divorato Magnus.
E in cima, dentro una rudimentale gabbia di legno, Nicolas era inginocchiato contro le sbarre. Ci fissava ciecamente, e il suo viso e i suoi pensieri non lasciavano capire che ci avesse riconosciuti.
I vampiri alzarono le torce perché lo vedessimo. Sentii la loro eccitazione ingigantire di nuovo, come quando ci avevano costretti a rifugiarci nella cripta.
Gabrielle mi ammoniva di restare calmo, stringendomi la mano. La sua espressione non era cambiata.
C’erano segni bluastri sulla gola di Nicolas. Le trine della camicia erano luride, le brache erano strappate. Era coperto di lividi, dissanguato, quasi in punto di morte.
La paura esplose silenziosa nel mio cuore. Ma sapevo che era ciò che volevano vedere, e la suggellai dentro di me.
La gabbia non è niente. Posso sfondarla. E ci sono soltanto tre torce. Il problema è: quando e come muoverci. Non saremmo periti così, comunque.
Fissai con freddezza Nicolas, le fascine, i ciocchi tagliati rozzamente. La collera traboccò. Il viso di Gabrielle era una perfetta maschera d’odio.
Il gruppo parve percepirlo e sembrò allontanarsi un poco, per poi riavvicinarsi tra confusione e incertezza.
Ma stava accadendo qualcos’altro. Il cerchio tornò a stringersi.
Gabrielle mi toccò il braccio.
«Sta arrivando il capo», disse.
Chissà dove, si era aperta una porta. I tamburi rullarono più forte, e sembrò che coloro che erano imprigionati oltre le pareti precipitassero in un dolore senza fondo e supplicassero di venire perdonati e liberati. I vampiri intorno a noi ripeterono freneticamente quelle grida. Dovetti fare uno sforzo per non tapparmi le orecchie.
Un istinto fortissimo mi disse di non guardare il capo. Ma non potevo resistere. Lentamente mi voltai per osservarlo e per valutare i suoi poteri.
2.
Era avviato verso il centro del grande cerchio, con le spalle rivolte alla catasta. Aveva al fianco una strana vampira.
E, quando lo guardai nella luce delle torce, provai lo stesso sconvolgimento dell’attimo in cui era entrato in Notre-Dame.
Non era dovuto soltanto alla sua bellezza, ma all’innocenza sorprendente del viso fanciullesco. Si muoveva con tanta leggerezza che non vedevo i suoi piedi compiere i passi. Gli occhi immensi ci guardavano senza collera e i capelli, per quanto velati di polvere, irradiavano barbagli rossastri.
Cercai di sondare la sua mente, di scoprire perché un essere tanto sublime dovesse comandare quegli spettri miserabili quando avrebbe potuto vagare in tutto il mondo. Tentai di riandare a ciò che avevo quasi scoperto mentre stavamo davanti all’altare della cattedrale, io e l’essere. Se l’avessi compreso, forse avrei potuto sconfiggerlo come desideravo.
Mi sembrava di vedere che reagiva a me, in una risposta silenziosa, un lampo paradisiaco nell’abisso dell’inferno, nella sua espressione innocente, come se il diavolo conservasse ancora il viso e la forma dell’angelo dopo la caduta.
Ma c’era qualcosa che non andava. Il capo non parlava. I tamburi continuavano a rullare freneticamente, ma senza convinzione. La vampira dagli occhi scuri non ululava come i suoi simili. E poi anche gli altri smisero.
E la donna che era entrata con il capo, una strana creatura abbigliata come un’antica regina, con una veste lacera e una cintura intrecciata, cominciò a ridere.
La congrega, o quello che era, ne fu comprensibilmente sbalordita. Uno dei suonatori di tamburo si fermò.
La regina rise ancora più forte. I denti bianchi balenarono tra il velo sudicio dei capelli arruffati.
Un tempo era stata molto bella. E non era l’età mortale a devastarla. Piuttosto, sembrava folle: la bocca era atteggiata in una smorfia orribile, gli occhi erano sbarrati, il corpo era piegato in un arco dall’ilarità, come Magnus mentre danzava intorno alla propria pira funebre.
«Non vi avevo avvertito?» urlò. «Non vi avevo avvertito?»
Lontano, dietro quella, Nicolas si mosse nella gabbia. Sentivo che la risata era un affronto per lui. Ma mi guardava, e la sensibilità d’un tempo era impressa su quei lineamenti distorti. La paura lottava in lui con la malizia, e questa si aggrovigliava allo stupore e alla disperazione.
Il capo dai riccioli fulvi fissava la regina vampira con un’espressione indecifrabile, e il ragazzo con la torcia si fece avanti e ordinò alla donna di tacere. Nonostante gli stracci, aveva un aspetto piuttosto regale.
La regina gli voltò le spalle e si girò verso di noi. Cantilenò le parole con una voce roca e asessuata che lasciò il posto a un’ilarità senza freno.
«L’ho detto mille volte, eppure non avete voluto ascoltarmi», dichiarò. La veste le ondeggiava addosso mentre lei fremeva. «Avete detto che ero pazza, vittima del tempo, una Cassandra delirante corrotta da una permanenza troppo lunga su questa terra. Ebbene, come vedete tutte le mie predizioni si sono avverate.»
Il capo non la degnò di una risposta.
«E c’è voluto questo essere…» La regina si avvicinò a me. La sua faccia era un’orrenda maschera comica, come lo era stata quella di Magnus. «Questo cavaliere scapestrato per dimostrarvelo, una volta per tutte.»
Sibilò, trasse un lungo respiro e si piazzò eretta. E per un momento, nell’immobilità, divenne bellissima. Avrei voluto pettinarle i capelli, lavarli con le mie mani, e abbigliarla di un abito moderno, vederla nello specchio del mio tempo. La mia mente fu travolta all’improvviso da quell’idea, della prospettiva di riscattarla, di eliminare il travestimento malefico.
Credo che, per un secondo, arse in me il concetto di eternità. Compresi cosa significava l’immortalità. Per lei tutto era possibile, o almeno così mi parve in quel momento.
Mi guardò e captò le visioni; e la bellezza del suo volto si intensificò. Ma già stava ritornando l’umore della follia.
«Puniteli», urlò il ragazzo. «Invocate il giudizio di Satana. Accendete il fuoco.»
Ma nessuno si mosse.
La vecchia canticchiava con le labbra chiuse, una bizzarra melodia con la cadenza dell’eloquio. Il capo rimase a occhi sgranati, come prima.
Il ragazzo, preso dal panico, avanzò verso di noi. Snudò le zanne e contrasse la mano.
Gli strappai la torcia e gli sferrai con noncuranza un colpo al petto che lo scagliò attraverso il cerchio polveroso e lo fece scivolare sulle fascine contro la pira. Spensi la torcia sul pavimento.
La regina vampira proruppe in una risata stridula che parve atterrire gli altri. Ma la faccia del capo non cambiò.
«Non intendo accettare il giudizio di Satana», dissi guardandomi intorno. «A meno che conduciate qui Satana in persona.»
«Sì, diglielo, figliolo! Costringili a risponderti», fece trionfante la vecchia.
Il ragazzo s’era rialzato.
«Conoscete le loro colpe!» ruggì, rientrando nel cerchio. Era furioso e irradiava potere; e mi rendevo conto che era impossibile giudicarli dalle loro forme mortali. Forse il ragazzo era un anziano, la minuscola megera era una bambinella, e il capo dall’aspetto fanciullesco il più vecchio di tutti.