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«Basta!» mormorò. «Il Cimitero degli Innocenti esiste da quando esisto io!» La faccia da adolescente era tesa. La vecchia regina appariva imperturbabile.

«Non capisci?» dissi. «È un’epoca nuova e ha bisogno di un nuovo male. E quel male nuovo sono io.» Tacqui, osservandolo. «Io sono il vampiro per questi tempi.»

Non aveva previsto la mia affermazione. E vidi in lui per la prima volta un barlume di comprensione terribile, il primo riflesso di una paura autentica.

Feci un piccolo gesto di accettazione. «L’episodio nella chiesa del villaggio, stanotte», dissi cautamente. «È stato volgare, lo riconosco. Le mie azioni sul palcoscenico… anche peggio. Ma sono stati errori. E sai bene che non sono questi la causa del tuo rancore. Dimenticali, per il momento, e cerca di vedere la mia bellezza e il mio potere. Cerca di vedere il male che io sono. Mi aggiro nel mondo in vesti di mortale… il peggiore dei demoni, il mostro che somiglia esattamente a tutti gli altri.»

La vampira rise, melodiosamente. Lui irradiava soltanto sofferenza, lei il calore dell’affetto.

«Pensa, Armand», insistetti. «Perché la morte dovrebbe stare in agguato nelle ombre? Perché dovrebbe attendere alle porte? Non v’è stanza da letto o sala da ballo dove io non possa entrare. La morte nella luce del focolare, la morte in punta di piedi nel corridoio… ecco ciò che sono. Tu mi parli dei Doni Tenebrosi… io li uso. Sono il Signore della Morte abbigliato di sete e merletti, venuto a spegnere le candele, la putredine nel cuore della rosa.»

Nicolas si lasciò sfuggire un gemito sommesso.

Credetti di sentire Armand sospirare.

«Non v’è luogo dove possano nascondersi da me», continuai, «gli esseri senza Dio e senza poteri che vogliono distruggere il Cimitero degli Innocenti. Non c’è serratura che possa impedirmi di entrare.»

Mi fissava in silenzio. Sembrava triste e calmo. I suoi occhi erano un po’ oscurati, ma non turbati dalla malizia e dalla rabbia. Rimase in silenzio per un lungo istante. Poi…

«Una missione splendida», disse, «perseguitarli senza pietà vivendo in mezzo a loro. Ma continui a non capire.»

«Perché?» chiesi.

«Non puoi durare nel mondo vivendo tra gli uomini. Non puoi sopravvivere.»

«È ciò che faccio», risposi semplicemente. «Gli antichi misteri hanno lasciato il posto a un nuovo stile. E chi sa che cosa verrà poi? Non vi è nulla di avventuroso in ciò che sei, mentre c’è una grande avventura in ciò che io sono.»

«Non puoi essere tanto forte», disse Armand. «Non sai ciò che dici: hai appena incominciato a esistere, sei giovane.»

«Ma questo figlio è fortissimo», mormorò la regina. «E anche la sua bella compagna appena nata. Questi due sono demoni dalle grandi idee e dalla ragione possente.»

«Non potete vivere tra gli uomini!» insisteva Armand.

Il suo viso si colorò per un secondo. Ma adesso non era mio nemico: era un anziano turbato che si sforzava di rivelarmi una verità decisiva. E nello stesso tempo sembrava un bambino implorante. In quella lotta stava la sua essenza, genitore e figlio, e mi implorava di ascoltare ciò che aveva da dire.

«E perché no? Ti dico che il mio posto è tra gli uomini. È il loro sangue che mi rende immortale.»

«Ah, sì, immortale, ma non hai ancora incominciato a capire», disse Armand. «Non è altro che una parola. Pensa al destino del tuo creatore. Perché Magnus si è buttato fra le fiamme? È una verità antichissima per noi, e tu non l’hai neppure intuita. Se vivi tra i mortali, il trascorrere degli anni ti porterà alla follia. Vedere gli altri invecchiare e morire, vedere regni che sorgono e cadono, perdere tutto ciò che comprendi e ami… chi può sopportarlo? Ti spinge al delirio e alla disperazione. Solo i tuoi simili immortali sono la tua protezione, la tua salvezza. Le consuetudini antiche, non capisci? E non sono mai cambiate!»

S’interruppe, sconvolto di aver usato la parola «salvezza» che riverberava nella grande camera mentre le sue labbra la ripetevano.

«Armand», cantilenò sommessamente la vecchia regina, «sappiamo che la follia può colpire i più anziani, sia che si attengano alle vecchie usanze, sia che le abbandonino.» Fece un gesto come per aggredirlo con gli artigli bianchi, e proruppe in una risata stridente quando lui la fissò con freddezza. «Io ho seguito le vecchie usanze come te e per lo stesso tempo, eppure sono pazza, no? Forse è per questo che le ho rispettate tanto bene!»

Armand scosse irosamente la testa. Non era forse lui, la prova vivente che non era così?

Ma la regina si accostò a me, mi prese il braccio e mi fece girare il volto verso di lei.

«Magnus non ti ha detto nulla, figlio?» chiese.

Sentii un potere immenso irradiarsi da lei.

«Mentre altri restavano in questo luogo sacro», disse la regina, «io mi avventurai sui campi coperti di neve in cerca di Magnus. Ora la mia forza è grande ed è come se avessi le ali. Mi arrampicai fino alla sua finestra, lo trovai nella sua camera, e insieme salimmo sugli spalti. Nessuno ci vedeva, tranne le stelle lontane.»

Si fece più vicina e mi strinse più forte. «Magnus sapeva molte cose», disse. «E non è la follia a esserti nemica, se sei davvero forte. Il vampiro che lascia la sua congrega per dimorare fra gli umani deve affrontare un inferno spaventoso, prima che sopravvenga la pazzia. Finisce irresistibilmente per amare i mortali! Finisce per comprendere ogni cosa nell’amore.»

«Lasciami», sussurrai. Il suo sguardo mi tratteneva con la stessa forza delle sue mani.

«Con il passare del tempo conosce i mortali come non possono conoscersi tra loro», continuò imperturbabile la regina inarcando le sopracciglia. «E viene alla fine, il momento in cui non sopporta di togliere la vita o di fare soffrire, e soltanto la follia o la sua morte possono placare la sofferenza. È il destino dei vecchi, che Magnus mi aveva descritto. Magnus che, alla fine, visse tutte queste afflizioni.»

Mi lasciò. Si allontanò da me come un’immagine in uno specchio.

«Non credo a ciò che dici», mormorai. Ma il mormorio era come un sibilo. «Magnus? Amava i mortali?»

«Naturalmente tu non li ami», disse la regina con il suo sorriso buffonesco.

Anche Armand la fissava come se non capisse.

«Ora le mie parole non hanno significato», soggiunse la vampira. «Ma tu hai tutto il tempo del mondo per capire!»

Una risata, una risata ululante che riecheggiava sulla volta della cripta. Altre grida che provenivano dalle pareti. La regina rovesciò all’indietro la testa e continuò a ridere.

Armand la guardava inorridito. Sembrava che vedesse la risata come una luce scintillante.

«No, è soltanto una menzogna, una semplificazione orrenda!» dissi. La testa mi martellava. Gli occhi mi dolevano. «Questa idea dell’amore è un concetto dato all’idiozia morale!»

Mi portai le mani alle tempie. Dentro di me cresceva una sofferenza atroce che offuscava la vista e rendeva più nitido il ricordo della segreta di Magnus, i prigionieri mortali, defunti tra i cadaveri putrefatti di coloro che li avevano preceduti.

Armand mi guardava come se lo torturassi nello stesso modo in cui la vecchia regina lo torturava con le sue risate. E le risate continuarono. Armand tese le mani verso di me, come se volesse toccarmi e non osasse.

Tutta l’estasi e tutte le sofferenze che avevo conosciuto in quegli ultimi mesi si fusero dentro di me. All’improvviso provai l’impulso d’incominciare a ruggire come avevo fatto quella notte sul palcoscenico del teatro di Renaud. Erano sensazioni che mi sgomentavano. Mormoravo ancora una volta, a voce alta, sillabe prive di senso.

«Lestat!» mormorò Gabrielle.

«Amare i mortali?» dissi. Fissavo il volto inumano della vecchia regina, inorridito nel vedere le ciglia nere irte come spine intorno agli occhi scintillanti, la carne come marmo animato. «Amare i mortali? E sono necessari trecento anni?» Fissai Gabrielle. «Fin dalla prima notte, quando li ho tenuti stretti a me, io li ho amati. Li amo mentre bevo la loro vita e la loro morte. Buon Dio, non è questa l’essenza del Dono Tenebroso?»