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La mia voce crebbe di volume come quella sera a teatro. «Oh, che cosa siete e non siete? Che cosa abominevole è che questa sia la somma della vostra sapienza, la semplice capacità di sentire!»

Indietreggiai, girando gli occhi su quella tomba gigantesca, la volta di terra umida sopra le nostre teste. Quel luogo si stava trasformando da realtà in allucinazione.

«Dio, perdete la ragione con l’Opera Tenebrosa», domandai, «con i rituali, e la prigionia dei novizi nella tomba? Oppure eravate già mostri quand’eravate vivi? Com’è possibile che noi non amiamo i mortali a ogni respiro?»

Non vi fu risposta, se non le grida dementì degli affamati. Nessuna risposta. Solo il battito fioco del cuore di Nicki.

«Bene, ascoltatemi comunque», dissi.

Puntai l’indice prima verso Armand, quindi verso la vecchia regina. «Non ho mai promesso l’anima al diavolo per questo! E quando ho creato costei, l’ho fatto per salvarla dai vermi che divorano i cadaveri intorno a noi. Se amare i mortali è quell’inferno di cui parlate, io vi sono già. Ho incontrato il mio fato: lasciatemi a esso. Tutti i conti sono chiusi.»

La mia voce s’era spezzata. Ansimavo. Mi passai le mani tra i capelli. Armand sembrava luminoso, mentre si avvicinava a me. Il suo viso era un miracolo di purezza apparente e di reverenza.

«Cose morte, cose morte…» dissi. «Non avvicinarti. Parlare di follia e d’amore in questo luogo fetido. E quel vecchio mostro, Magnus, che li rinchiudeva nella segreta. Come li amava, i suoi prigionieri? Come i bambini amano le farfalle quando gli strappano le ali!»

«No, figlio. Tu credi di comprendere, ma non è così», cantilenò imperturbata la vampira. «Hai appena incominciato ad amare.» Proruppe in una risata sommessa, melodiosa. «Ti dispiace per loro, ecco tutto. E per te stesso, perché non puoi essere contemporaneamente umano e inumano. Non è così?»

«Menzogne!» esclamai. Mi avvicinai a Gabrielle, la cinsi con un braccio.

«Comprenderai tutto nell’amore» continuò la vecchia regina, «quando sarai un essere perverso e odioso. Questa è la tua immortalità, figlio. Una comprensione sempre più profonda.» Alzò le braccia e riprese a ridere.

«Maledetti», dissi. Sollevai Gabrielle e Nicki e, indietreggiando, li trascinai verso la porta. «Siete già all’inferno», dissi, «e all’inferno intendo lasciarvi.»

Tolsi Nicolas dalle braccia di Gabrielle. Corremmo verso la scala.

Dietro di noi, la vecchia regina si era abbandonata a una risata convulsa, frenetica.

E io, forse umano come Orfeo, mi fermai e mi voltai.

«Lestat, presto!» mi sussurrò Nicolas all’orecchio. E Gabrielle mi rivolse un cenno disperato perché mi affrettassi.

Armand non si era mosso, e la vecchia regina gli stava accanto e continuava a ridere.

«Addio, figlio coraggioso», gridò. «Percorri arditamente la Strada del Diavolo. Percorri la Strada del Diavolo più a lungo che puoi.»

La congrega si disperse come una folla di spettri impauriti sotto la pioggia fredda, quando uscimmo dal sepolcro. Sconcertati, rimasero tutti a guardarci mentre attraversavamo correndo il Cimitero degli Innocenti e ci avventuravamo nelle vie affollate di Parigi.

Pochi minuti più tardi rubammo una carrozza e lasciammo la città per l’aperta campagna.

Guidavo implacabilmente la pariglia. Tuttavia ero così stanco che la forza soprannaturale sembrava soltanto un’idea. A ogni boschetto e a ogni curva della strada mi aspettavo di vedere i demoni immondi che tornavano ad accerchiarci.

Ma riuscii a procurarmi in una locanda il cibo e il vino necessari per Nicolas, e le coperte per tenerlo caldo.

Perse i sensi molto prima che arrivassimo alla torre. Lo portai di peso su, nella cella dove mi aveva tenuto Magnus.

Aveva la gola ancora gonfia e livida per i morsi. E, sebbene dormisse profondamente quando lo adagiai sul letto di paglia, sentivo in lui la sete, la sete terribile che avevo provato dopo che Magnus aveva bevuto il mio sangue.

Bene, c’era vino in abbondanza per lui, e cibo, quando si fosse svegliato. E sapevo che non sarebbe morto, anche se non capivo come lo sapessi.

Non riuscivo a immaginare come sarebbero state per lui le ore del giorno. Ma sarebbe stato al sicuro, quando avessi girato la chiave nella serratura. E, per quanto fosse stato importante per me o dovesse esserlo nel futuro, nessun mortale poteva vagare libero nel mio covo mentre io dormivo.

Non riuscivo a pensare ad altro. Ero come un mortale in crisi di sonnambulismo.

Lo stavo ancora fissando e ascoltavo i suoi sogni vaghi e confusi, i sogni degli orrori del Cimitero degli Innocenti, quando entrò Gabrielle. Aveva finito di seppellire lo sventurato mozzo di stalla, e sembrava di nuovo un angelo polveroso, con i capelli aggrovigliati e pieni di frammenti delicati di luce.

Guardò Nicki per un lungo momento, poi mi attirò fuori dalla stanza. Quando ebbi chiuso a chiave la porta, mi condusse nella cripta. Mi cinse con le braccia e mi strinse, come se anche lei fosse esausta.

«Ascoltami», disse infine. Indietreggiò e mi prese il volto fra le mani. «Lo porteremo lontano dalla Francia appena ci risveglieremo. Nessuno crederà alle sue storie pazzesche.»

Non risposi. Stentavo a comprendere i suoi ragionamenti e le sue intenzioni. Mi girava la testa.

«Potrai fare il burattinaio con lui», disse Gabrielle. «Come hai fatto con gli attori di Renaud. Potrai mandarlo nel Nuovo Mondo.»

«Dormi», sussurrai. Le baciai la bocca aperta, la tenni abbracciata con gli occhi chiusi. Rivedevo la cripta, sentivo le strane voci inumane. Tutto questo non sarebbe cessato.

«Dopo che sarà partito, potremo parlare degli altri», disse con calma Gabrielle. «Decideremo se lasciare Parigi per qualche tempo…»

Mi staccai da lei e andai al sarcofago, mi appoggiai per un momento al coperchio di pietra. Per la prima volta nella mia vita di immortale aspiravo al silenzio della tomba e alla sensazione che la realtà fosse sottratta alle mie mani.

Mi sembrò che Gabrielle, poi, dicesse qualcos’altro. Non farlo!

4.

Non appena mi svegliai lo sentii gridare. Batteva contro la porta di quercia e mi malediceva perché lo tenevo prigioniero. Il rumore riempiva la torre e il suo odore mi giungeva attraverso i muri di pietra: succulento, oh, così succulento, l’odore della carne viva e del sangue, la sua carne e il suo sangue.

Gabrielle dormiva ancora.

Non farlo!

Una sinfonia di cattiveria, una sinfonia di demenza che passava attraverso i muri, una filosofìa che si sforzava di contenere le immagini atroci e la tortura, di circondarle con il linguaggio…

Quando arrivai alla scala fu come essere travolto nel vortice delle sue grida e del suo odore umano.

E vi si mescolavano tutti gli odori che ricordavo… il sole pomeridiano su una tavola di legno, il vino rosso, il fumo di un fuocherello.

«Lestat! Mi senti? Lestat!» Il tuono dei pugni battuti contro la porta.

Il ricordo della fiaba dell’infanzia: l’orco che dice di sentire nel suo covo l’odore del sangue umano. Orrore. Sapevo che l’orco avrebbe trovato l’umano. Lo sentivo mentre lo cercava, passo passo. L’umano ero io.

Ma adesso non lo ero più.

Fumo e sale e carne e sangue caldo.