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Per qualche momento andai avanti e indietro. Il boulevard offriva l’abituale panorama delle sere primaverili: centinaia di persone che passeggiavano, le carrozze, musici, giocolieri e acrobati, i teatri illuminati con le porte aperte per invitare gli spettatori. Perché dovevo lasciare tutto per parlare con quegli esseri? Rimasi in ascolto. Erano quattro e mi attendevano disperatamente. Avevano una paura terribile.

Decisi. Girai il cavallo, entrai nel vicolo e mi spinsi fino in fondo, dove stavano in gruppo contro il muro.

C’era il ragazzo dagli occhi grigi, e questo mi sorprese. Aveva un’espressione attonita. Dietro di lui c’era un vampiro alto e biondo, in compagnia di una bella donna, e tutti e due erano avvolti in cenci come lebbrosi. A parlare fu la vampira graziosa dagli occhi scuri, quella che aveva riso della mia battuta sulla scala, nel sepolcro degli Innocenti.

«Devi aiutarci!» mormorò.

«Davvero?» Cercai di tener tranquilla la cavalla che non gradiva la loro compagnia. «Perché devo aiutarvi?» chiesi.

«Lui sta distruggendo la congrega», disse la donna.

«Ci distrugge…» interloquì il ragazzo. Ma non mi guardava. Fissava le pietre davanti a sé, e io captavo dalla sua mente lampi di ciò che stava accadendo… la pira accesa. Armand che spingeva nel fuoco i suoi seguaci.

Tentai di cacciare quelle visioni dalla mente, ma ormai mi provenivano da tutti. La vampira graziosa mi guardò negli occhi cercando di rendere più nitide le immagini… Armand che mulinava una trave carbonizzata per sospingere gli altri nelle fiamme e la usava per tenerli bloccati nel fuoco quando cercavano di fuggire.

«Buon Dio, eravate dodici!» dissi. «Non potevate opporvi?»

«L’abbiamo fatto e adesso siamo qui», rispose la donna. «Ne ha bruciati sei, e gli altri sono fuggiti. In preda al terrore, abbiamo cercato i rifugi più strani per passare la giornata. Non avevamo mai dormito lontano dalle nostre sacre tombe, prima. Non sapevamo cosa sarebbe accaduto. E quando ci siamo svegliati, lui era là. È riuscito ad annientarne altri due. Siamo rimasti noi soli. Ha persino aperto le camere murate e ha bruciato gli affamati. Ha fatto franare la terra per bloccare le gallerie d’accesso al nostro luogo di raduno.»

Il ragazzo alzò gli occhi. «Sei stato tu», sussurrò. «Sei stato tu la nostra rovina.»

La donna si parò davanti a lui. «Devi aiutarci», disse. «Forma una nuova congrega con noi. Aiutaci a esistere come tu esisti.» Lanciò al ragazzo un’occhiata impaziente.

«Ma la vecchia, la regina?» domandai.

«È stata lei a iniziare tutto», rispose amaramente il ragazzo. «Si è gettata nel fuoco. Ha detto che andava a raggiungere Magnus. Rideva. È stato allora che Armand ha spinto gli altri tra le fiamme mentre noi fuggivamo.»

Chinai la testa. Dunque la regina non c’era più, e tutto ciò che aveva saputo era svanito con lei; e aveva lasciato soltanto il figlio perverso e vendicativo, convinto della falsità di tutto ciò che lei sapeva.

«Devi aiutarci», disse la donna dagli occhi scuri. «Vedi, è suo diritto, come capo della congrega, annientare coloro che sono deboli e non possono sopravvivere.»

«Non poteva permettere che la congrega precipitasse nel caos», disse l’altra vampira che stava dietro al ragazzo. «Senza la fede nelle Tradizioni Tenebrose, gli altri avrebbero commesso errori e allarmato la popolazione mortale. Ma se tu ci aiuti a formare una nuova congrega, e perfezionarci nelle nuove usanze…»

«Noi siamo i più forti della congrega», disse l’uomo. «E se riusciremo a tenerlo a bada abbastanza a lungo e a continuare senza di lui, forse ci lascerà in pace.»

«Ci annienterà», mormorò il ragazzo. «Non ci lascerà mai in pace. Resterà in attesa del momento in cui ci separeremo…»

«Non è invincibile», disse l’uomo. «E ha perduto ogni convinzione. Ricordalo.»

«E tu hai la torre di Magnus, che è un posto sicuro», disse il ragazzo in tono disperato.

«No, non posso dividerla con voi», dissi io. «È una battaglia che dovete vincere da soli.»

«Ma potrai guidarci…» insistè l’uomo.

«Non avete bisogno di me», replicai io. «Che cosa avete già imparato dal mio esempio? Cosa avete imparato da quel che ho detto la scorsa notte?»

«Abbiamo imparato di più da ciò che gli hai detto più tardi», interloquì la donna dagli occhi scuri. «Ti abbiamo sentito parlare di un male nuovo, un male per questi tempi, destinato a muoversi nel mondo in un attraente aspetto umano.»

«Quindi assumete quell’aspetto», dissi io. «Prendete gli indumenti delle vostre vittime e il denaro che hanno in tasca. Allora potrete muovervi tra i mortali, come me. Con l’andare del tempo guadagnerete abbastanza denaro per acquistare una piccola fortezza, un rifugio segreto. Non sarete più mendicanti o fantasmi.»

Vedevo la disperazione sui loro volti. Tuttavia ascoltavano attenti.

«Ma la nostra pelle, il timbro delle voci…» disse la donna dagli occhi scuri.

«Potete ingannare i mortali. È facilissimo. Basta un poco di abilità.»

«Ma come incominceremo?» chiese il ragazzo con voce spenta, come se si lasciasse coinvolgere con riluttanza. «Che sorta di mortali fingeremo di essere?»

«Scegli tu!» dissi. «Guardati intorno. Camuffatevi da zingari se volete… non dovrebbe essere troppo diffìcile. Oppure da saltimbanchi.» Lanciai un’occhiata in direzione della luce del boulevard.

«Saltimbanchi!» esclamò la donna dagli occhi scuri con un guizzo d’eccitazione.

«Sì, attori girovaghi. Acrobati. Fingetevi acrobati. Li avete visti, no? Potrete coprire il pallore dei volti con il cerone, e nessuno noterà i vostri gesti stravaganti e le vostre espressioni. Non potreste scegliere un travestimento più vicino alla perfezione. Sul boulevard vedrete ogni altra varietà dei mortali che abitano in questa città. Imparerete tutto ciò che avete bisogno di sapere.»

La donna rise e guardò gli altri. L’uomo rifletteva, l’altra donna era assorta, il ragazzo incerto.

«Con i vostri poteri diventerete facilmente giocolieri e acrobati», disse. «Per voi sarà uno scherzo. E potrete farvi vedere da migliaia di persone che non indovineranno mai cosa siete.»

«Non è ciò che è accaduto a te sul palcoscenico di questo teatrino», disse freddamente il ragazzo. «Hai ispirato terrore a tutti i presenti.»

«Perché avevo deciso di farlo», risposi. Un tremito di sofferenza. «È la mia tragedia. Ma quando voglio posso ingannare chiunque e lo potete anche voi.»

Mi frugai nelle tasche e tirai fuori una manciata di corone d’oro. Le diedi alla donna dagli occhi scuri, che le prese con entrambe le mani e le guardò come se la bruciassero. Alzò la testa e vidi nei suoi occhi l’immagine di me stesso che, sul palcoscenico del teatro di Renaud, eseguivo i terrificanti esercizi mettendo in fuga gli spettatori.

Ma aveva in mente un altro pensiero. Sapeva che il teatro era abbandonato, che avevo fatto partire la compagnia.

E per un secondo riflettei, lasciando che la sofferenza raddoppiasse e mi travolgesse, e mi chiesi se gli altri potevano sentirla. Che importanza aveva, dopotutto?

«Sì, ti prego», disse la donna dagli occhi scuri. Mi toccò la mano con le dita fresche e bianche. «Lasciaci entrare nel teatro! Ti prego.»

Si voltò a guardare l’ingresso posteriore.

Lasciarli entrare. Lasciarli ballare sulla mia tomba.

Ma poteva darsi che lì vi fossero ancora vecchi costumi, abbandonati dagli attori che avevano avuto a disposizione tutto il denaro necessario per comprarsene altri più belli. Vecchi barattoli di cerone bianco. L’acqua nelle botti. Mille tesori dimenticati nella fretta della partenza.

Ero stordito e non riuscivo a pensare a tutto; non volevo ricordare ciò che era accaduto là dentro.

«Sta bene», dissi, e guardai da un’altra parte, come se fossi distratto da qualcosa senza importanza. «Potete andare nel teatro se volete. Potete usare tutto ciò che c’è dentro.»