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Sembrò che passasse un tempo lunghissimo. Ero disorientato. Armand aveva ripreso a parlare, ma in silenzio.

Non ti soddisfano mai, quelli che crei. Nel silenzio, lo straniamento e il risentimento ingigantiscono.

Volevo muovermi ma non mi muovevo. Continuavo a guardarlo mentre proseguiva.

Tu mi desideri e io ti desidero, e in tutto questo reame noi soli siamo degni l’uno dell’altro. Non lo sai?

Le parole sembravano protrarsi, amplificarsi, come una nota di violino prolungata per l’eternità.

«È una pazzia», sussurrai. Pensai a tutte le cose che mi aveva detto, tutto ciò che mi aveva rimproverato, gli orrori descritti dagli altri, i suoi seguaci buttati nel fuoco.

«È una pazzia?» chiese Armand. «Allora vai dai tuoi amati silenziosi. Persino in questo momento si dicono ciò che non possono dire a te.»

«Menti…» dissi.

«E il tempo rafforzerà la loro indipendenza. Ma lo apprenderai da solo. Mi troverai abbastanza facilmente quando vorrai venire a me. Dove posso andare, dopotutto? Che cosa posso fare? Mi hai reso nuovamente orfano.»

«Io non…»

«Sì», disse Armand. «Sei stato tu. Hai demolito tutto.» Non c’era collera nella sua voce. «Ma posso attendere che venga a me, attendere che mi rivolga le domande cui io solo posso rispondere.»

Lo fissai a lungo, non so per quanto. Era come se non potessi muovermi e non potessi vedere altro che lui: il grande senso di pace che avevo conosciuto in Notre-Dame, l’incantesimo che irradiava erano di nuovo operanti. Le luci delle candele erano troppo fulgide. Non c’era altro che luce intorno a lui: era come se si avvicinasse a me e io a lui, anche se nessuno dei due si muoveva. Mi attirava, mi attirava a sé.

Mi voltai barcollando e persi l’equilibrio. Ma uscii dalla stanza. Mi precipitai nel corridoio e mi arrampicai dalla finestra sul retro, fino al tetto.

Raggiunsi al galoppo l’Ile de la Cité come se fossi inseguito. E il mio cuore non smise di battere all’impazzata fino a quando mi fui lasciato Parigi alle spalle.

Le Campane dell’Inferno squillavano.

La torre era immersa nell’oscurità, sullo sfondo del primo barlume di luce mattutina. La mia piccola congrega era già scesa a riposare nella cripta.

Non aprii le tombe per guardarli, sebbene lo desiderassi disperatamente, solo per vedere Gabrielle e toccarle la mano.

Salii verso gli spalti per vedere il miracolo fiammeggiante del mattino, lo spettacolo che non avrei più dovuto vedere fino al suo compimento. Il suono delle Campane dell’Inferno, la mia musica segreta…

Ma mi giungeva un altro suono. Lo riconobbi mentre salivo la scala. Mi sorprese che avesse il potere di arrivare fino a me. Era come un canto che s’inarcava su una distanza immensa, basso e dolce.

Una volta, anni prima, avevo sentito un giovane contadino che cantava mentre percorreva la strada in uscita dal villaggio, verso nord. Non sapeva che qualcuno l’ascoltasse. Si credeva solo in aperta campagna e la sua voce aveva una potenza e una purezza che le conferivano una bellezza ultraterrena. Le parole della vecchia canzone non avevano importanza.

Era la voce che ora mi chiamava. La voce solitària, echeggiante sulle miglia che ci separavano, e raccoglieva in sé tutti i suoni.

Mi spaventai ancora. Tuttavia aprii la porta in cima alla scala e uscii sul tetto di pietra. La brezza mattutina era serica, di sogno era il brillio delle ultime stelle. Più che un baldacchino, il cielo era una nebbia che saliva sopra di me, e le stelle ascendevano e rimpicciolivano.

La voce remota divenne più acuta, come una nota cantata in alta montagna, e mi toccava il petto dove avevo posato la mano.

Mi trapassava come un raggio trapassa l’oscurità, e cantava: Vieni a me. Tutto ti sarà perdonato se verrai a me. Sono più solo di quanto sia mai stato.

E con la voce giunse un senso di possibilità illimitata, di meraviglia e di attesa che portava con sé la visione di Armand, solo sulla soglia di Notre-Dame. Il tempo e lo spazio erano illusioni. Era circonfuso d’una luce pallida, una figura agile negli stracci regali, e tremolava mentre svaniva. C’era soltanto pazienza nei suoi occhi. Non c’era più la cripta sotto il Cimitero degli Innocenti, lo spettro lacero e grottesco nella biblioteca di Nicki, che gettava via i libri come conchiglie vuote quando aveva finito di leggerli.

M’inginocchiai, credo, e appoggiai la testa alle pietre scabre. Vedevo la luna come un fantasma che si dissolveva. Il sole doveva averla toccata, perché mi ferì e dovetti chiudere gli occhi.

Ma provavo euforia ed estasi. Era come se il mio spirito conoscesse la gloria dell’Opera Tenebrosa senza che scorresse il sangue, nell’intimità della voce che mi squarciava e cercava la parte più tenera e segreta della mia anima.

Che cosa vuoi da me? Avrei voluto ripetere. Come può esservi perdono quando c’è stato tanto rancore, così poco tempo fa? La tua congrega distrutta. Orrori che non voglio immaginare… Avrei voluto ripetere tutto.

Ma non riuscivo a formulare le parole, come prima. E questa volta sapevo che, se avessi osato tentare, la beatitudine si sarebbe dispersa e l’angoscia sarebbe stata peggiore della sete di sangue.

Eppure, mentre stavo immobile nel mistero di quella sensazione, scoprivo immagini e pensieri che non erano miei.

Mi vedevo mentre mi ritiravo nella segreta e sollevavo i corpi inanimati dei mostri che amavo. Mi vedevo portarli sul tetto della torre e abbandonarli indifesi al sole che sorgeva. Le Campane dell’Inferno suonavano invano l’allarme per loro. E il sole li prendeva e li trasformava in braci dalle chiome umane.

La mia mente arretrò a quella visione, arretrò con il disappunto più straziante.

«Silenzio», mormorai. Ah, la sofferenza di quella delusione, la possibilità… «Sei sciocco a pensare che io potrei fare simili cose.»

La voce svanì, si allontanò da me. E sentii la solitudine in ogni poro della pelle. Era come se mi fosse stata sottratta ogni copertura e fossi destinato a restare per sempre nudo e infelice come in quel momento.

E percepii in lontananza una convulsione di forza, come se lo spirito che aveva prodotto la voce si avvolgesse su se stesso come una grande lingua.

«Tradimento!» dissi a voce più alta. «Ma… oh, la tristezza, l’errore del tuo calcolo! Come puoi dire che mi desideri?»

Era sparito. Assolutamente. E lo rivolevo, con disperazione, anche se soltanto per lottare con me. Rivolevo quel senso di possibilità, lo splendido bagliore.

E vidi il suo viso in Notre-Dame, fanciullesco e quasi dolce, come il viso d’un santo di Leonardo. Un orrido senso di fatalità passò sopra di me.

6.

Non appena Gabrielle si svegliò, la condussi lontana da Nicki, nella quiete della foresta, e le dissi quanto era accaduto la notte precedente. Le dissi tutto ciò che Armand aveva affermato e suggerito. Imbarazzato, parlai del silenzio che esisteva fra lei e me, e della certezza che non sarebbe cambiato.

«Dobbiamo lasciare Parigi al più presto», dissi alla fine. «Quell’essere è troppo pericoloso. E coloro ai quali ho ceduto il teatro… sanno soltanto ciò che lui gli aveva insegnato. Lasciamo Parigi a loro. E prendiamo la Strada del Diavolo, per usare le parole della vecchia regina.»

Avevo previsto che s’infuriasse contro Armand. Invece rimase calma.

«Lestat, ci sono troppi interrogativi senza risposta», disse. «Voglio sapere com’era nata la vecchia congrega, voglio sapere tutto ciò che Armand conosce di noi.»