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La musica raggiunse vertici impossibili; il suono si soffocò per un istante e riprese slancio. La mescolanza di sentimento e di logica pura lo sospinse oltre i limiti del sopportabile. E tuttavia continuò.

E gli altri apparvero lentamente dietro il sipario… prima la figura maestosa di Eleni, poi il ragazzo Laurent, e infine Félix ed Eugènie. Erano diventati acrobati e attori da strada, e ne portavano gli abiti: gli uomini con gli attillati calzoni bianchi sotto le giubbe arlecchinesche, le donne con i pantaloni a sbuffo e gli abiti tutti gale, e le scarpette da ballo ai piedi. Il belletto brillava sulle immacolate facce bianche, il kohl delineava gli abbaglianti occhi vampireschi.

Si avvicinarono a Nicki come se fossero attratti da una calamità. La loro bellezza fioriva ancora di più mentre avanzavano nella luce delle candele, i capelli splendevano, i movimenti erano agili e felini, l’espressione rapita.

Nicki si girò lentamente verso di loro mentre fremeva, e il canto divenne una supplica frenetica che ascendeva e ruggiva lungo la scala melodica.

Eleni lo fissava a occhi sgranati come se fosse inorridita e incantata. Poi levò le braccia sopra la testa in un lento gesto drammatico. Si tese, il suo collo divenne ancora più lungo e aggraziato. L’altra donna aveva fatto una piroetta e sollevato un ginocchio, con la punta del piede in basso, come in un primo passo di danza. Ma fu l’uomo che all’improvviso captò il ritmo della musica di Nicki: spostò la testa lateralmente e mosse gambe e braccia come se fosse una grande marionetta, controllata dall’alto per mezzo di quattro fili.

Gli altri lo videro. Conoscevano le marionette del boulevard. E tutti assunsero atteggiamenti meccanici, si mossero sussultando mentre i loro volti apparivano lignei, impenetrabili.

Una ventata di gioia mi investì, come se all’improvviso potessi respirare nel caldo rovente della musica; e gemetti di piacere mentre li guardavo saltare e sgambettare, con le punte dei piedi verso il soffitto, e piroettare sui fili invisibili.

Ma tutto stava cambiando. Nicolas suonava per loro, adesso, come loro danzavano per lui.

Avanzò d’un passo verso il palcoscenico, balzò tra le luci fumose e atterrò in mezzo agli altri. La luce guizzava sullo strumento, sul suo volto lustro.

Un nuovo elemento sarcastico contagiò la melodia interminabile, un ritmo sincopato che faceva vacillare la canzone, la rendeva più amara e nel contempo più dolce.

Le marionette rigide gli giravano intorno, scalpicciavano e saltellavano. Le dita allargate, le teste dondolanti, ballarono e si contorsero fino a che tutti abbandonarono la forma rigida, quando la melodia di Nicki si disciolse in una assillante tristezza e la danza divenne immediatamente liquida, lenta e disperata.

Sembrava che una sola mente li controllasse, che danzassero i pensieri di Nicki e non soltanto la sua musica. Anche lui cominciò a ballare mentre suonava a ritmo più svelto: diventò il violinista di campagna intorno al falò, e gli altri saltellavano in coppie come campagnoli innamorati. Le sottane delle donne ondeggiavano, gli uomini piegavano le gambe nel sollevare le loro compagne, e tutti si atteggiavano nelle pose dell’amore più tenero.

Immobile, fissavo quell’immagine: i danzatori preternaturali, il violinista mostro, le membra che si muovevano con lentezza inumana e grazia seducente. La musica era come un fuoco che ci consumava tutti.

Adesso urlava di dolore, d’orrore, della ribellione pura dell’anima contro ogni cosa. E ancora una volta loro tradussero la musica in immagini, con il viso contratto nel tormento, come la maschera della tragedia scolpita sull’arco che li sovrastava. E compresi che, se non avessi voltato le spalle allo spettacolo, avrei pianto.

Non volevo più vedere o sentire altro. Nicki ondeggiava come se il violino fosse una belva che non riusciva più a controllare. E colpiva le corde con l’archetto, violentemente.

I ballerini gli passavano davanti, gli passavano dietro, lo abbracciavano. E lo colsero all’improvviso quando alzò le braccia, con il violino tenuto sopra la testa.

Una risata acuta e penetrante eruppe dalla sua bocca, una risata che gli faceva fremere il petto e gli scuoteva braccia e gambe. Poi abbassò la testa e mi fissò. E con tutta la potenza della sua voce urlò:

«ECCO IL TEATRO DEI VAMPIRI! IL TEATRO DEI VAMPIRI! IL PIÙ GRANDE SPETTACOLO DEL BOULEVARD!»

Gli altri lo guardarono sgomenti. Ma ancora una volta, all’unisono, batterono le mani e gridarono. Spiccarono balzi in aria, prorompendo in strilli di gioia. Gli gettarono le braccia al collo e lo baciarono. Danzarono in cerchio attorno a lui e lo fecero piroettare. La risata saliva e saliva mentre Nicki li attirava vicini, rispondeva ai loro baci e alle lingue rosee che gli leccavano dal viso il sudore di sangue.

«Il Teatro dei Vampiri!» Si staccarono da lui e lo gridarono agli spettatori inesistenti e al mondo. S’inchinarono alle luci della ribalta e sgambettarono e strillarono, spiccarono salti fino alle travi e si lasciarono ricadere sul palcoscenico con un fragore di tempesta.

L’ultimo barlume di musica si disperse, sostituito dalla cacofonia delle grida, dal calpestio e dalle risate, come un clangore di campane.

Non ricordo di aver voltato loro le spalle. Non ricordo di aver salito i gradini del palcoscenico e di essere passato oltre. Ma devo averlo fatto.

Perché mi ritrovai seduto sul tavolo basso e stretto del mio camerino, con la schiena contro l’angolo, il ginocchio piegato, la testa contro il vetro freddo dello specchio. E Gabrielle era lì.

Respiravo ansimando, e quel suono mi turbava. Vedevo gli oggetti, la parrucca che avevo portato in palcoscenico, lo scudo di cartapesta, ed evocavano in me emozioni fortissime. Ma soffocavo. Non riuscivo a pensare.

Poi Nicki apparve sulla soglia, e sospinse da parte Gabrielle con una forza che sbalordì lei e me, e mi puntò contro l’indice. «Dunque, non ti piace, mio signore e protettore?» chiese mentre avanzava. Le parole fluivano in un torrente ininterrotto, e sembravano un’unica, grande parola. «Non ne ammiri lo splendore, la perfezione? Perché non doti il Teatro dei Vampiri delle monete del reame che possiedi in grande abbondanza? Come dicevi? ‘Il male nuovo, la putredine nel cuore della rosa, la morte in mezzo alla realtà’…»

Dal mutismo era passato a una loquacità maniacale, e anche quando smise di parlare i suoni sommessi e privi di senso continuarono a uscirgli dalle labbra come acqua da una sorgente. Il viso era tirato e duro, reso lucido dalle gocciole di sangue che vi aderivano e macchiavano il collo della camicia bianca.

E dietro di lui giungeva la risata quasi innocente degli altri… con l’eccezione di Eleni, che spiava al di sopra della sua spalla e si sforzava di comprendere ciò che accadeva tra di noi.

Nicki si avvicinò, quasi ridendo, sogghignando, e mi colpì il petto con l’indice. «Ebbene, parla. Non capisci l’ironia sublime, la genialità?» Si battè il pugno sul cuore. «Verranno ai nostri spettacoli, riempiranno d’oro le nostre casse e non immagineranno mai che cosa fiorisce quasi sotto gli occhi dei parigini. Ci nutriamo di loro nei vicoli, e loro ci applaudono davanti al palcoscenico illuminato…»

Dietro di lui, il ragazzo rise. Il tintinnio di un tamburello, la voce esile dell’altra donna che cantava. Una lunga risata maschile… come un nastro che si snodasse e seguisse il suo movimento intorno ai fondali.

Nicki si avvicinò tanto che la luce dietro di lui sparì. Non potevo vedere Eleni.

«Il male magnifico!» disse. Era minaccioso, e le mani bianche sembravano le chele di un mostro marino che da un momento all’altro poteva farmi a pezzi. «Servire il dio di legno scuro come non era mai stato servito, qui al centro della civiltà. E per questo hai salvato il teatro. Quest’offerta sublime è nata dal tuo mecenatismo.»

«È meschino», dissi io. «È semplicemente bella e ingegnosa e niente di più.»