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La mia voce non era molto alta, ma lo fece tacere, e fece tacere gli altri. E il turbamento che era in me si dissolse lentamente in un’altra emozione, non meno dolorosa ma più facile da contenere.

C’erano soltanto i rumori che giungevano dal boulevard. Nicki irradiava una collera tetra, e i suoi occhi lampeggiavano mentre mi guardava.

«Sei un bugiardo, un bugiardo spregevole», disse.

«Non vi è nulla di splendido», replicai io. «Non vi è nulla di sublime. Ingannare i mortali, beffarli, e poi uscire da qui la notte per prendere le vite altrui nella stessa maniera vecchia e meschina, una morte dopo l’altra in tutta la sua inevitabile crudeltà e in tutto il suo squallore, perché possiamo vivere. E l’uomo può uccidere un altro uomo! Suona il tuo violino per l’eternità. Danza, se vuoi. Da’ loro ciò per cui pagano, se questo ti tiene impegnato, e divora l’eternità. È bello e ingegnoso. Un boschetto nel Giardino Selvaggio. Niente di più.»

«Bugiardo schifoso!» disse Nicki fra i denti. «Sei il buffone di Dio, ecco che cosa sei. Tu possedevi i Segreti Tenebrosi che s’innalzavano al di sopra di ogni cosa e rendevano tutto insignificante: e che cosa hai fatto, nei mesi in cui hai regnato solo dalla torre di Magnus, che cosa hai fatto se non tentare di vivere come un uomo buono? Un uomo buono!»

Era abbastanza vicino per baciarmi, e il sangue della sua saliva mi spruzzava il viso.

«Protettore delle arti», ringhiò. «Dispensatore di doni alla tua famiglia e a noi!» Indietreggiò e mi guardò sprezzante.

«Bene, prenderemo il teatrino che hai dipinto d’oro e ornato di velluti», disse. «E servirà le forze del diavolo più splendidamente di quanto siano mai state servite dalla vecchia congrega.» Si voltò a guardare Eleni e gli altri. «Irrideremo tutte le cose sacre. Li guideremo alla volgarità e alla profanità. Sbalordiremo e incanteremo. Ma soprattutto prospereremo grazie al loro oro e al loro sangue, e diventeremo forti in mezzo a loro.»

«Sì», disse il ragazzo che stava dietro di lui. «Diventeremo invincibili.» La sua faccia aveva un’espressione fanatica mentre guardava Nicolas. «Avremo nomi e luoghi nel loro mondo.»

«E avremo potere su di loro», disse l’altra donna. «E una posizione dalla quale potremo studiarli e conoscerli e perfezionare i nostri metodi per annientarli quando decideremo di farlo.»

«Voglio il teatro», mi disse Nicolas. «Lo voglio. L’atto di proprietà, il denaro per riaprirlo. I miei assistenti, come vedi, sono pronti ad ascoltarmi.»

«Puoi averlo, se vuoi», risposi. «È tuo, se mi toglierai di torno la tua malignità e la tua ragione a pezzi.»

Mi alzai e mi avviai verso di lui. Credevo che intendesse bloccarmi il passo, ma accadde qualcosa d’inspiegabile. Quando mi resi conto che non si sarebbe mosso, la mia collera montò e saettò da me come un pugno invisibile. Lo vidi balzare indietro come se il pugno l’avesse colpito. E sbattè contro il muro, con forza.

Avrei potuto andarmene in un istante. Sapevo che Gabrielle aspettava solo di seguirmi. Ma non lo feci. Mi fermai e mi voltai a guardarlo. Era ancora contro il muro come se non potesse muoversi. E mi fissava con un odio puro, per nulla attenuato dal ricordo dell’amore, com’era sempre stato.

Ma io volevo capire. Volevo capire veramente cos’era accaduto. Mi avvicinai di nuovo a lui in silenzio e questa volta ero io a minacciare, erano le mie mani che sembravano chele. Sentivo la sua paura. Tutti erano pieni di paura, tranne Eleni.

Mi fermai quando gli arrivai vicinissimo, e lui mi guardò. Fu come se sapesse esattamente che cosa gli chiedevo.

«È un malinteso, amor mio», disse. Acido sulla lingua. Il sudore di sangue aveva ripreso a scorrere, gli occhi luccicavano come se fossero bagnati. «Era per far soffrire gli altri, non capisci? che suonavo il violino, per farli infuriare e assicurarmi un’isola dove loro non potessero regnare. Avrebbero visto la mia rovina, incapaci di porvi rimedio.»

Non risposi. Volevo che continuasse.

«E quando abbiamo deciso di andare a Parigi, ho pensato che avremmo sofferto la fame e saremmo piombati in basso, sempre più in basso. Era ciò che volevo: mentre loro volevano che io, il figlio prediletto, salissi molto in alto. Pensavo che saremmo discesi in basso. Era ciò che doveva accadere.»

«Oh, Nicki…» mormorai.

«Ma tu non sei disceso in basso, Lestat», continuò inarcando le sopracciglia. «La fame, il freddo… non ti hanno fermato. Hai avuto successo!» La rabbia appesantì di nuovo la sua voce. «Non sei morto ubriaco nelle fogne. Hai sovvertito tutto! E per ogni aspetto della nostra dannazione preventivata trovavi l’esuberanza, e non c’era fine all’entusiasmo e alla passione che irradiavano da te… e la luce, sempre la luce! E nell’esatta proporzione della luce che s’irradiava da te, c’era in me la tenebra! ogni esuberanza mi trafiggeva e creava la sua esatta proporzione di tenebra e di disperazione! E poi la magia, quando hai avuto la magia… ironia delle ironie, mi hai protetto proprio da quella! E non hai fatto altro che usare i tuoi poteri satanici per simulare le azioni di un uomo buono!»

Mi voltai. Li vidi sparsi nelle ombre e, più lontana, vidi la figura di Gabrielle. Vidi la luce sulla sua mano quando la sollevò e mi fece cenno di andar via.

Nicki mi toccò le spalle. Sentii l’odio trasfondersi attraverso il suo tocco. Era ripugnante venire toccato con odio.

«Come un raggio di sole spensierato hai disperso i pipistrelli della vecchia congrega!» bisbigliò. «E a che scopo? Che cosa significa, il mostro assassino pieno di luce?»

Mi voltai, lo colpii, lo scagliai nel camerino. La sua destra fracassò lo specchio, la testa sbattè contro il muro.

Per un momento rimase immobile come un oggetto rotto contro la massa dei vecchi costumi. Poi i suoi occhi ritrovarono la decisione, il viso si addolcì in un lento sorriso. Si raddrizzò e adagio, come avrebbe fatto un mortale indignato, si assestò la giacca e i capelli scomposti.

Mi ricordava i miei gesti, sotto il Cimitero degli Innocenti, quando i miei catturatori mi avevano buttato nella polvere.

E venne verso di me con la stessa dignità. Il sorriso era la cosa più orribile che avessi mai visto.

«Ti disprezzo», disse. «Ma con te ho finito. Ho avuto il potere da te e so come usarlo, mentre tu non lo sai, e finalmente sono in un regno dove io ho deciso di trionfare! Nella tenebra, ora siamo eguali. E tu mi darai il teatro, perché me lo devi e tu sei generoso, no? dispensi monete d’oro ai figli affamati… e allora non guarderò mai più la tua luce.»

Mi girò intorno e tese le braccia verso gli altri.

«Venite, belli miei, venite, dobbiamo scrivere commedie e occuparci dei nostri affari. Avete tante cose da imparare da me. Io so come sono veramente i mortali. Dobbiamo dedicarci seriamente all’invenzione della nostra arte tenebrosa e splendida. Creeremo una congrega che rivaleggerà con tutte le altre. Faremo ciò che non è mai stato fatto.»

Gli altri mi guardavano, spaventati ed esitanti. E in quel momento di silenzio e di tensione, sentii il mio respiro profondo. La mia vista si ampliò. Vidi la sala velata dalle ombre e conobbi, in un ricordo illimitato, tutto ciò che era accaduto lì dentro. E vidi un incubo generare un altro incubo, vidi una vicenda che giungeva alla fine.

«Il Teatro dei Vampiri», sussurrai. «Abbiamo compiuto l’Opera Tenebrosa in questo piccolo locale.» Nessuno degli altri osava rispondere. Nicolas si limitava a sorridere.

E, mentre mi voltavo per uscire, alzai la mano in un gesto che li esortava tutti ad avvicinarsi a lui. Era il mio addio.

Non eravamo lontani dalle luci del boulevard quando mi fermai di colpo. Mille orrori senza parole mi assalirono… il timore che Armand venisse per annientarlo, che i fratelli e le sorelle appena incontrati si stancassero delle sue smanie e l’abbandonassero, che il mattino lo sorprendesse per le strade barcollante, incapace di trovare un nascondiglio per proteggersi dal sole. Alzai lo sguardo al cielo. Non riuscivo a parlare e a respirare.