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Ebbro nella luce del mattino al ricordo di quei baci mentre, solo, apriva una porta dopo l’altra e scopriva libri e mappe e statue di granito e marmo, e l’altro apprendista lo trovava e lo conduceva con pazienza al lavoro… lo lasciava osservare mentre macinavano i pigmenti colorati, gli insegnava a mescolare il colore puro con il tuorlo d’uovo, e a stendere la lacca del tuorlo d’uovo sui pannelli, e lo portava sull’impalcatura mentre lavoravano con scrupolose pennellate ai margini dell’immensa rappresentazione di sole e nubi, e gli mostrava le grandi facce e le mani e le ali degli angeli che solo il pennello del Maestro avrebbe toccato.

Ebbro mentre sedeva al lungo tavolo con loro, se s’ingozzava dei cibi deliziosi che prima non aveva mai assaggiato e del vino che non scarseggiava mai.

E finalmente si addormentava per svegliarsi nel crepuscolo, quando il Maestro stava accanto al letto enorme, affascinante come una creatura di sogno nei panni di velluto rosso, con i folti capelli bianchi che scintillavano alla luce della lampada e la felicità più schietta nei fulgidi occhi color cobalto. Il bacio mortale.

«Ah, sì, non sarò mai separato da te, sì… non aver paura.»

«Presto, mio tesoro, presto saremo veramente uniti.»

Torce sfolgoranti in tutta la casa. Il Maestro sull’impalcatura con il pennello in mano: «Stai lì, alla luce, non muoverti». Ore e ore trascorse immobile nella stessa posizione: e poi, prima dell’alba, vedeva le sue sembianze dipinte, la faccia dell’angelo, il Maestro che sorrideva mentre si avviava nel corridoio interminabile…

«No, maestro, non lasciatemi, lasciate che rimanga con voi, non andate…»

Di nuovo giorno, e il denaro nelle sue tasche, monete d’oro, e la grandiosità di Venezia con i rii verde scuro murati tra i palazzi, e gli altri apprendisti che lo tenevano per il braccio, e l’aria pura e il cielo azzurro sopra piazza San Marco, come qualcosa che nell’infanzia aveva soltanto sognato, e di nuovo il palazzo all’imbrunire, e il Maestro chino con il pennello, che lavorava in fretta mentre gli apprendisti osservavano per metà inorriditi e per metà affascinati, il Maestro che alzava la testa, lo vedeva e posava il pennello e lo conduceva fuori dall’enorme studio mentre gli altri lavoravano fino a mezzanotte, il Maestro che gli prendeva il viso tra le mani quando, di nuovo soli nella camera da letto, gli dava il bacio segreto che non doveva essere mai rivelato a nessuno.

Due anni? Tre anni? Non c’erano parole per ricreare lo splendore di quel tempo… le flotte che lasciavano il porto per andare in guerra, gli inni che s’innalzavano davanti agli altari bizantini, le rappresentazioni della passione e dei miracoli recitate sui palchi nelle chiese e nella piazza, con l’entrata dell’inferno e i diavoli piroettanti, e i mosaici dorati sui muri di San Marco e il Palazzo Ducale, e i pittori che si aggiravano per le strade, Giambono, Uccello, i Vivarini e i Bellini; e i giorni festivi e le processioni, e sempre le ore piccole nelle stanze del palazzo, a luce di torcia, solo con il Maestro quando gli altri dormivano chiusi nelle loro camere. Il pennello del Maestro che volava sulla tavola come se scoprisse il dipinto anziché crearlo… sole e cielo e mare che si stendevano sotto le ali dell’angelo.

E quei momenti terribili e inevitabili, quando il Maestro si alzava urlando e scagliava tutt’attorno i barattoli dei colori e si portava le mani agli occhi come se volesse strapparseli.

«Perché non posso vedere? Perché non posso vedere meglio dei mortali?»

L’abbraccio al Maestro. L’attesa dell’estasi del bacio. Segreto Tenebroso. Il Maestro che usciva furtivamente un po’ prima dell’alba.

«Lasciate che venga con voi, Maestro.»

«Presto, mio tesoro, amor mio, mio piccolo, quando sarai abbastanza forte e abbastanza alto e in te non vi saranno più difetti. Ora vai, e godi tutti i piaceri che ti aspettano, trova l’amore di una donna e l’amore di un uomo nelle notti che seguiranno. Dimentica l’amarezza che hai conosciuto nel bordello e assapora queste cose, finché c’è ancora tempo.»

E raramente la notte si concludeva senza che quella figura tornasse, poco prima del sorgere del sole, questa volta animata e calda mentre si chinava su di lui per dargli quell’abbraccio che l’avrebbe sostenuto durante le ore del giorno fino al mortale bacio del crepuscolo.

Armand imparò a leggere e a scrivere. Portava i quadri alla destinazione finale, nelle chiese e nelle cappelle dei grandi palazzi, incassava i pagamenti e contrattava l’acquisto dei pigmenti e degli olii. Rimproverava i servitori quando i letti non erano rifatti e i pasti non erano pronti. Era amato dagli apprendisti e piangendo li mandava ai nuovi compiti quando avevano finito. Leggeva poesie al Maestro mentre questi dipingeva; e imparò a suonare il liuto e a cantare.

E nei periodi tristi, quando il Maestro lasciava Venezia per molte notti, era lui che governava in sua assenza, e nascondeva agli altri il proprio dolore, sapendo che sarebbe cessato al ritorno del Maestro e soltanto allora.

E finalmente una notte, quando persino Venezia dormiva…

«Ecco il momento, bellissimo. Il momento che tu venga a me e sia come me. È questo che vuoi?»

«Sì.»

«Vivere in segreto per sempre del sangue del malfattori, come faccio io, e custodire questi segreti sino alla fine del tempo.»

«Pronuncio il voto… per stare con voi, mio Maestro, sempre, voi siete il creatore di tutto ciò che sono. Non c’è mai stato un desiderio più grande.»

Il pennello del Maestro indicava il dipinto che saliva al soffitto, sopra le impalcature.

«Quello è l’unico sole che tu vedrai nell’avvenire. Ma un millennio di notti sarà tuo, per vedere la luce come non l’ha mai vista nessun mortale, per rapirla alle stelle lontane come se fossi Prometeo, un’illuminazione infinita che ti permetterà di comprendere tutte le cose.»

E poi, quanti mesi? Quanti mesi in potere del Dono Tenebroso?

La vita notturna, quando si aggiravano insieme nelle calli buie e lungo i canali, identificati con i pericoli dell’oscurità senza averne timore… e l’antica estasi dell’uccisione… mai, mai, però le anime innocenti. No, sempre il malfattore, scrutato fino a rivelare Set, il fratricida… e poi il male assorbito dalla vittima umana e trasformato in estasi, mentre il Maestro faceva da guida nel festino condiviso.

E poi la pittura, le ore solitàrie con il miracolo della nuova abilità, il pennello che a volte sembrava muoversi da solo sulla superficie smaltata, e loro due che dipingevano furiosamente il trittico, mentre gli apprendisti mortali dormivano tra i barattoli di colore e le bottiglie di vino, e un solo mistero turbava la serenità, il fatto che il Maestro, come in passato, ogni tanto dovesse lasciare Venezia per un viaggio che sembrava interminabile a quanti restavano in attesa.

La separazione era ancora più terribile. Andare a caccia solo, senza il Maestro, giacere solo nella cantina profonda dopo la caccia, ad aspettare. Non sentire l’eco della risata del Maestro né il battito del suo cuore.

«Ma dove andate? Perché non posso venire con voi?» supplicava Armand. Non erano accomunati dal segreto? Perché quel mistero non gli veniva spiegato?

«No, mio adorabile, non sei pronto per questo onere. Per ora deve essere soltanto mio, come lo è stato per più di mille anni. Un giorno mi aiuterai a fare ciò che devo, ma solo quando sarai pronto per la conoscenza, quando avrai dimostrato che desideri veramente sapere, e quando sarai abbastanza potente perché nessuno possa sottratti la conoscenza contro la tua volontà. Fino ad allora, devi comprenderlo, non posso far altro che lasciarti. Vado a occuparmi di Coloro-che-devono-essere-conservati, come ho sempre fatto.»